Artisti deportati, poi arruolati e armati, dall’URSS all’Italia e oltre
di Paolo Morawski
Ieri, attraverso l’esempio di un sito polacco, «poli-logo» ha esplorato la possibilità di narrare questioni storiche culturalmente rilevanti con linguaggi multimediali digitali. Oggi l’esplorazione prosegue analizzando un altro sito-archivio polacco collegato a «Culture.pl» e riferito alla Seconda guerra mondiale: il sito “Artists in Arms” – cultura e arte sul cammino di guerra. E’ stato realizzato nel 2021 dall’Istituto Adam Mickiewicz in collaborazione con l’Instytut Polski i Muzeum im. gen. Sikorskiego di Londra, il Muzeum Narodowe di Cracovia e l’Instytut Literacki-Fundacja “Kultury” Paryskiej di Parigi, e con il cofinanziamento e sotto l’egida del Ministero della Cultura, del Patrimonio Nazionale e dello Sport della Repubblica di Polonia. L’occasione? L’80° anniversario della costituzione di quella “straordinaria formazione quale fu il II Corpo d’Armata Polacco (1941-1945) guidato dal generale Władysław Anders”.
Il sito del 2019 dedicato alla Polonia spartita e quello del 2021 qui visitato hanno le stesse caratteristiche e usano gli stessi linguaggi multimediali. Ma mentre i contenuti scritti erano nel 2019 più lievi, più epidermici, nel caso di “Artists in Arms” siamo in presenza (nel 2021) di un saggio-multimediale, con un più strutturato e dinamico impianto narrativo sia in verticale (scroll) sia in orizzontale: con le frecce laterali è possibile accedere a una maggiore varietà di angolazioni e approfondimenti. Al termine di ciascun approfondimento, si offrono ulteriori altre opzioni.
Il contesto problematico…
… viene giustamente richiamato. Il primo settembre 1939 la Polonia è invasa da ovest dall’esercito nazista, il 17 settembre da est dall’Armata Rossa da est. I due aggressori hanno stretto un accordo segreto in agosto e ora il territorio della Repubblica polacca è spartito tra il Terzo Reich e l’URSS. Nel 1940-1941 centinaia di migliaia di cittadini – militari ma anche civili, intere famiglie, decisori, dirigenti, professionisti, possidenti, politici, educatori, guardie e poliziotti, ecclesiastici, polacchi fuggiti a est davanti ai nazisti – che si trovano nella Polonia orientale sono deportati in URSS come “nemici”. Nel giugno 1941, Hitler, dopo essersi spartito nel 1930-1940 con Stalin le terre tra Mar Baltico e Mar Nero, invade l’URSS. Ora che gli ex alleati tedeschi sono suoi nemici e lo attaccano, Stalin “scopre” la Seconda guerra mondiale e subito intesse il dialogo con gli Alleati, quindi col governo polacco in esilio da lui fino a quel momento aborrito. La firma dell’accordo tra Sikorski (per la Polonia) e Mayski (per l’URSS) il 30 luglio 1941 sancisce l’inedita alleanza sovietico-polacca. Nell’agosto 1941, le autorità sovietiche emettono un decreto di “amnistia” per i cittadini polacchi. L’accordo sovietico-polacco consente agli ex carcerati polacchi di lasciare i Gulag e gli altri luoghi di esilio e di detenzione sovietici. Senza assistenza né guida potrebbero vagare in massa e perdersi nelle vaste pianure dell’Unione Sovietica. L’accordo Sikorski-Mayski ha tuttavia creato una base legale per la formazione di un esercito polacco in URSS sotto il comando del Gen. Wladyslaw Anders, esercito facente parte delle Forze Armate polacche dirette dal governo polacco in esilio a Londra. L’Esercito polacco che si forma nella Russia centrale è una delle formazioni militari più insolite della storia: è composto da ex galeotti fino a quel momento vessati dalle guardie carcerarie sovietiche, alcuni sono ex soldati dell’Esercito polacco, altri sono civili già strappati alle loro case. Li affianca una nutrita schiera di donne e bambini polacchi riemersi dagli sprofondi dell’URSS. Arrivati nei centri di raccolta organizzati da Anders in Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Kazakistan, i polacchi “salvati” sperimentano inizialmente condizioni di vita molto difficili a causa di denutrizione, sovraffollamento, malattie. Invece di aumentare le razioni alimentari con l’afflusso dei volontari polacchi, i sovietici le diminuiscono. Ai loro occhi, il nascente esercito polacco costituisce una grave minaccia perché è composto da “veri nemici dell’URSS pronti a vendicare le sofferenze subite”. Per fortuna arrivano gli aiuti internazionali (di Gran Bretagna, Stati Uniti e altri Paesi). Nella primavera-autunno 1942, il generale Anders ottiene da Stalin il permesso di trasferire l’esercito polacco (circa 80.000 persone) dall’Asia centrale sovietica nell’Iran inglese. Assieme all’esercito viaggiano circa 40.000 civili polacchi. Un’odissea più biblica che greca che lascerà molti morti per strada.
“Artists in Arms” abbina arte e guerra, rari materiali d’archivio e linguaggi digitali. La “guida ideale” dell’indagine multimediale che il sito propone è lo scrittore e pittore Józef Czapski, una personalità indubbiamente da riscoprire. Seguiamo i suoi diari, le sue riflessioni, i suoi appunti e disegni, le sue meditate istantanee di un’epoca che la scomparsa degli ultimi sopravvissuti consegna oggi definitivamente alla storia.
Tra le centinaia di migliaia di cittadini polacchi deportati in URSS o arrestati dalle autorità sovietiche c’erano diverse migliaia di soldati polacchi prigionieri di guerra, poi spariti senza lasciare traccia a partire dall’aprile del 1940. Józef Czapski, pittore, soldato e capitano di cavalleria dell’esercito polacco – che dal 1939 fu prigioniero di guerra nel campo sovietico di Starobielsk (Starobil’s’k, Ucraina sovietica), poi nel campo di internamento siberiano di Grjazovec, nel Oblast’ di Vologda, fino all’estate del 1941 – fu tra i pochi ufficiali dell’esercito polacco che scamparono al massacro di Katyn’ nel 1940. Successivamente fu proprio lui incaricato a cercare di risolvere “il torbido e ignoto destino dei suoi colleghi e l’enigma del suo stesso rilascio.” Dopo gli accordi Sikorski-Mayski, venne nominato infatti rappresentante ufficiale del governo polacco nella ricerca degli ufficiali polacchi scomparsi in Unione Sovietica. Nonostante il suo grande impegno tornò a mani vuote, non trovò nessuno degli ufficiali “mancanti”. (Sulla sorte dei prigionieri polacchi “scomparsi” perché uccisi dai sovietici leggi qui).
“Il progetto ‘Artists in Arms’ è rivolto a un pubblico internazionale e desidera far conoscere la storia della Polonia e dei polacchi durante la Seconda guerra mondiale attraverso la cultura e l’arte. Gli utenti possono scegliere tra tre versioni linguistiche: polacco, inglese e russo. Sono stati utilizzati rari materiali d’archivio provenienti dalle collezioni dell’Istituto Polacco e del Museo del Gen. Sikorski a Londra. Il progetto grafico, realizzato dallo studio Rzeczyobrazkowe, rievoca l’estetica del collage dell’epoca prebellica unito a un design moderno.”
Guarda l’arrivo di un gruppo di polacchi in Iran nel 1943 in un docu-fiction. Molti dei civili e orfani arrivati in Iran vennero inviati poi in insediamenti creati in Africa, Iran, India, Palestina, Messico e Nuova Zelanda.
“Tra gli ex prigionieri polacchi c’era un folto gruppo di artisti, esponenti del mondo della cultura e altre persone coinvolte in attività culturali. Il progetto dell’Istituto Adam Mickiewicz si concentra sui destini, appunto, di quelle persone seguendole nel mentre della loro lunga marcia attraverso tre continenti (Asia, Medio Oriente, Europa). In particolare il percorso si sofferma sul ruolo unico svolto dalle arti e dalla cultura nelle loro esperienze di guerra. Tutti gli ex prigioni confluiti prima nell’Esercito di Anders e poi nel 2 Corpo d’Armata polacco hanno condiviso il destino dei rifugiati, molti il trauma della perdita dei propri cari, le difficoltà del percorso di guerra e del vagabondaggio del dopoguerra, infine la vita lontano dalla loro patria”.
“Il racconto è dedicato agli artisti e rappresentanti del mondo della cultura, al loro cammino dalla russa Buzuluk fino all’italiana Bologna e oltre, nell’emigrazione a Parigi, Londra, Roma. I protagonisti di questo cammino sono coloro che innanzitutto cercano i propri compagni dispersi sulla «terra disumana», come lo scrittore e pittore Józef Czapski e la cantante Hanka Ordonówna, impegnata a salvare i bambini.
Assieme a loro, i poeti Władysław Broniewski e Marian Czuchnowski, gli scrittori Melchior Wańkowicz e Gustaw Herling-Grudziński, l’instancabile animatore della rivista dell’emigrazione polacca “Kultura” Jerzy Giedroyć, il regista Michał Waszyński, il poliedrico Henryk Wars, uno dei padri del jazz polacco. Nel complesso scopriamo un’intera galassia di pittori e grafici, attrici e cantanti (come Irena Jarosiewicz-Anders), compositori e musicisti, croniste e giornalisti impegnati attivamente nella lotta per i valori umani”.
Il progetto multimediale indaga con dovizia di dettagli sulla «piccola Polonia» che nacque tra l’Iraq e l’Italia per volontà del generale Władysław Anders. L’esercito polacco uscito dall’URSS nel giugno 1943 in Iraq si trasformò con altri apporti nel 2 Corpo d’Armata polacco comandato dallo stesso Anders. Di quella «piccola Polonia» si seguono varie diramazioni. Per esempio, per bambini e orfani si attivarono sin dall’inizio scuole e orfanotrofi; si stampavano giornali, riviste, pubblicazioni; si producevano spettacoli, programmi radiofonici, film e documentazione audiovisiva. Sullo sfondo, la riflessione sul senso profondo dell’esistenza di quella «piccola Polonia», che – caso raro – oltrepassava le funzioni puramente militari di un esercito composto come si è detto da ex-prigionieri polacchi dei Gulag sovietici, approdati attraverso dure vicissitudini in Iran (Persia), poi in Iraq, Palestina, Egitto e infine in Italia (Taranto, Brindisi, Napoli). Nella Penisola avrebbero vittoriosamente combattuto contro gli eserciti nazisti (a Montecassino, Ancona, Bologna).
Quella «Piccola Polonia» in movimento, va aggiunto, era ricca al suo interno di diversità culturali (polacchi ebrei, polacchi ucraini) e religiose (ebrei, ortodossi).
“In Palestina fiorì un alveare di cultura polacca emigrata. Il clima mediterraneo era una tregua per i soldati, stanchi dopo il caldo torrido del deserto iracheno. A Tel Aviv e Gerusalemme incontrarono i loro compatrioti, ebrei polacchi che si erano stabiliti lì prima della guerra. Grazie alla loro vicinanza culturale, poterono quasi sentirsi a casa (…) Secondo il censimento israeliano del 1926, gli immigrati dalla Polonia costituivano il 36,7% di tutti gli ebrei palestinesi. Secondo i dati del Consolato polacco, nel gennaio 1944, 30.000 ebrei emigrati dalla Polonia parlavano polacco in casa, tra cui un abitante su cinque di Tel Aviv. In Palestina, soprattutto a Tel Aviv, la maggior parte degli immigrati del periodo interbellico erano ebrei polacchi (…) ristoranti, caffè, negozi, sarti, barbieri e persino imprese commerciali e industriali su larga scala, polacche non solo nel nome, ma anche nei metodi di distribuzione e nel modo di servire i clienti. La lingua polacca si poneva come partner alla pari dell’ebraico e dell’inglese”. Col generale Anders “in Palestina arrivarono anche tremila soldati ebrei polacchi. Per coloro che erano stati educati con le storie della Terra Promessa, questo viaggio attraverso il Paese dei loro antenati fu un’esperienza forte (…) Per molti scrittori nelle file dell’esercito di Anders, il soggiorno in Palestina servì da ispirazione creativa. Per alcuni dei soldati ebrei polacchi fu l’ultima tappa sul sentiero della battaglia. Avrebbero avuto un ruolo importante nella nascita dello Stato di Israele”. Cominciarono infatti le diserzioni: ebrei polacchi che decidevano di restare in Israele. In proposito il generale Anders raccontò a posteriori: “Ho dato severe direttive di non perseguire i soldati ebrei che […] abbandonavano i ranghi. A mio avviso, gli ebrei che consideravano la lotta per la libertà in Palestina la loro prima responsabilità – ne avevano il diritto”. Alla fine, a combattere nei ranghi del 2 Corpo attraversando l’Egitto per raggiungere l’Italia continuò circa il 30% dei soldati ebrei dell’esercito di Anders.
I soldati polacchi in Italia rimasero fino al 1946, a guerra da tempo terminata, quando il governo britannico decise di trasferire il 2 Corpo polacco in Gran Bretagna. Temendo misure repressive da parte del nuovo regime comunista vassallo di Mosca, solo una piccola parte dei soldati dell’Esercito di Anders decise di tornare in Polonia. A fine 1946, erano circa 91.000 le persone legate al 2 Corpo che avevano deciso di stabilirsi in vari Paesi dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti. Molti non sarebbero mai tornati in Polonia.
Il 2 Corpo fu, come è stato più volte osservato, un’armata due volte “in esilio: perché́ la sua costituzione avvenne lontano dalla Polonia, in Medio Oriente; perché i suoi reduci dopo la fine delle ostilità̀ scelsero l’esilio come unica opzione per non tornare in una Polonia occupata dall’URSS” (Gabriela Pietras).
Cultura e guerra è un tema di valenza generale che “poli-logo” ha sfiorato qualche tempo fa in relazione all’Ucraina aggredita dalla Russia. Vedi anche, da altra dolorosa angolazione: Musiche-Memorie-Silenzi. Dei molti modi di ricordare la distruzione degli ebrei europei onorandoli. Sull’odissea del Secondo Corpo d’Armata polacco vedi la ricca raccolta di articoli in italiano pubblicati sulla rivista online “poloniaeuropae” qui (1-2010) e qui (2-2011). Sul ruolo e la personalità del generale Władysław Anders vedi l’intenso dialogo tra Józef Czapski e Gustaw Herling-Grudziński.