Elogio della cultura in tempi di guerra
di Paolo Morawski
Immagine di copertina: Donetsk region, Palace of Culture ‘Youth’ in Mariupol. Formerly Palace of Culture of the Azovstal plant. The building of the former Continental hotel (1887–1910).
Tra le memorie della Seconda guerra mondiale di alcuni miei famigliari in Polonia c’è un episodio che mi è rimasto impresso. La sera, quando nelle città polacche occupata dai nazisti scattava il coprifuoco, soprattutto i più giovani si infilavano in una casa amica e tutta la notte ascoltavano musica e ballavano. Così facendo – mi spiegavano i diretti protagonisti – tra l’altro si fortificavano psichicamente. Nelle sottili emozioni degli ascolti musicali e nella forza vitale delle danze trovavano nuova linfa per resistere alla depressione, allo sconforto, all’angoscia e alla paura, quindi all’invasore. La resistenza è fisica quanto mentale, i due aspetti si rafforzano a vicenda – mi è stato spiegato. Col passare degli anni mi sono ovviamente reso conto che non tutti avevano avuto questa fortuna, non tutti possono raccontare di aver ballato ed essersi divertiti durante la guerra pur non essendosi sottratti a una qualche forma di lotta. Ma l’idea che si combatte col corpo ma anche nella testa non mi ha più abbandonato. Nei luoghi più impensabili, in prigione, nei campi di prigionia, nelle marce forzate, nelle case bombardate “far lavorare il cervello” poteva essere d’aiuto, poteva contribuire a sopravvivere meglio, più a lungo: pregando, leggendo, scrivendo diari, studiando, raccontando storie o tenendo lezioni ad altri, recitando a memoria versi e via dicendo. Ho spesso annotato queste considerazioni in varie letture.
Qualcosa di simile accade oggi in Ucraina. Piccoli indizi spingono a credere che la resistenza non-violenta all’occupazione, alle uccisioni e distruzioni ravvicinate e a distanza, sia molto più diffusa di quanto i media siano interessati a raccontarci. Ucraini che festeggiano al chiuso delle case o delle cantine-rifugio. Ucraini che si affacciano ai balconi gridando e cantando la loro voglia di vivere, esistere, resistere, combattere, vincere. Ucraini che raccontano barzellette feroci, che vanno a teatro o all’opera, che organizzano eventi culturali, mostre temporanee, concerti underground presso le stazioni della metropolitana o concerti all’aperto per esempio nei parchi con artisti di strada che suonano musica jazz, pop e ucraina. Ucraini che fanno di tutto per coltivare la “normalità” della vita quotidiana del loro spirito, pur in una situazione di catastrofica anormalità. Librerie ucraine che rimangono aperte. Ucraini che – interruzioni di corrente permettendo – telefonano ai quattro angoli del mondo, s’informano di quanto accade altrove, leggono e scrivono mail e messaggi, contribuiscono ai social, ai blog, alle pubblicazioni internazionali, fanno lezioni e conferenze a distanza, arricchiscono la scena artistica, animano siti e riviste online. Piacerebbe conoscere maggiormente queste inedite ramificazioni della resistenza culturale e mentale di tante ucraine e di tanti ucraini, proprio mentre la Russia – da quel che è dato di intravvedere – scivola sempre di più verso i lati oscuri della “cultura della guerra” che il Cremlino erge a cardine assoluto. Per il potere moscovita è, sarebbe, lo stato di guerra “contro i nazisti di Kiev e l’Occidente globale” a piegare, spiegare, giustificare tutto. La leadership putiniana vorrebbe semplificare all’estremo l’esistenza di milioni di russi riducendola a una scelta tra l’essere “pro” o “contro”.
Questa è anche una guerra tra culture, in cui l’Ucraina non solo si strappa con decisione dall’universo culturale-linguistico della Russia contemporanea (sul piano dell’importazione e del consumo dei prodotti culturali russi e in russo), ma boicotta tutto ciò che a torto o a ragione si riconduce all’imperialismo russo (dalle canzoni ai libri ai nomi delle vie). La guerra si combatte – ci viene in dettaglio spiegato qui e qui e qui e qui e qui e qui e ancora qui e qui e in ultimo qui – anche sul piano della difesa del patrimonio culturale. Preservando i luoghi della cultura, salvando opere d’arte, smontando vecchi monumenti, costruendo nuovo memoriali, onorando vecchi e nuovi “luoghi di memoria”, oltre che sostenendo la lingua e la produzione culturale ucraina (e in parte tatara). Sono molteplici gli aspetti da conoscere, da analizzare, su cui discutere anche da noi, a ovest dal fronte. Il campo culturale non è paragonabile a un campo minato, il campo culturale è per definizione dialogo (col passato, col presente, con la visione del futuro, con se stessi, con gli altri), sebbene si nutra anche di opposizioni (la costruzione europea non è forse nata dal rifiuto della guerra?). Il paradosso è che più la Russia post 1991 si è accanita sull’Ucraina, più la cultura ucraina si è rafforzata gettando le basi della sua (passata, attuale, prossima?) fioritura. Di contro, il rovescio della medaglia è che è difficile rimanere “aperti” quando si è sotto assedio, ma “chiudersi” su se stessi, se può rendere più coesi, è dannoso: non solo è sbagliato, alla lunga impoverisce. Per ora, nell’urgenza della guerra, la difesa culturale è elemento essenziale per cementare l’unità della società ucraina e indebolire eventuali sostegni a Putin e alla Federazione Russa.
Giustamente in Ucraina e nel mondo ci si preoccupa di chi la cultura la “fa”, la produce, la organizza, la dispensa: insegnanti scolastici, professori universitari, operatori culturali, intellettuali, studiosi e ricercatori, curatori di mostre, bibliotecari, archivisti, editori, architetti, artisti dai più svariati ingegni, giornalisti, divulgatori e altre personalità del mondo dei media e dello spettacolo, studenti. Si ragiona sull’impatto che la guerra ha sulla vita culturale ucraina ed europea. Ciò che personalmente mi colpisce è venire a sapere che in Ucraina, in maniera del tutto “spontanea e volontaria”, sono tantissime le persone “comuni” a trasportare al sicuro opere d’arte di valore inestimabile, a riempire centinaia di sacchi di sabbia da posizionare intorno a musei e monumenti, a recuperare brandelli della grande storia e della minuta vita locale. Inoltre, impressiona apprendere che sono i cittadini ucraini delle più diverse estrazioni sociali a cercare conforto e ispirazione nella cultura (nella loro cultura ma forse nella cultura tout court), a celebrarla, a farla prosperare in tempi così difficili come sono quelli attuali dominati dalle armi. Che la cultura e le “faccende dello spirito” possano aiutare le vittime ucraine a difendersi e a resistere, se non già a curarsi dalla guerra imposta dagli aggressori russi, non è l’ultima sorpresa di questo 2022.
Ragione per cercare di saperne di più.
Fonte immagine: “Shine” (2009) by Oleksiy Sai.
Sulla nuova generazione protagonista della scena artistica ucraina prima della guerra del 2022 interessanti spunti in Nadia Beard, Beyond borders: how today’s Ukrainian artists are setting their sights on the world, “The Calvet Journal”, 15 February 2020. Vedi anche la sezione “Arte”.