Serena Buti in dialogo con Alessandro Achilli sul corpo a corpo tra ucraino e italiano
di Alessandro Achilli e Serena Buti
Immagine di copertina: Leonid Vartyvanov, Sonmy. Diptich, 1989, dettaglio.
La guerra in Ucraina ha creato nella coscienza di molte persone un nuovo luogo, un nuovo popolo, che fino a poco fa era ai più pressoché sconosciuto. Il compito di soddisfare questa nuova ondata di curiosità (era in parte già avvenuto nel 2014), alimentata senz’altro dal bisogno di capire il presente, ha spinto gli editori a dare maggiore spazio alla letteratura ucraina nei propri cataloghi. Dietro a queste pubblicazioni si celano una serie di figure professionali più o meno esposte ai riflettori: oggi vorrei soffermarmi sulla figura del traduttore, e in particolare su un traduttore di letteratura ucraina, Alessandro Achilli. Ho cercato di costruire con Achilli un dialogo aperto su vari temi, senza avere la presunzione di voler risolvere i tanti interrogativi che ci pone questa guerra.
Alessandro Achilli è docente di slavistica presso l’Università di Cagliari, al lavoro di ricercatore accompagna quello di prolifico traduttore letterario. Scorrendo l’elenco delle opere da lui recentemente tradotte si può tracciare un sentiero nella più vasta ricezione della letteratura ucraina in Italia nell’ultimo anno. Ha curato di recente l’antologia Poeti d’Ucraina insieme a Yaryna Grusha Possamai (Mondadori, 2022); 10 poeti per Vasyl’ Stus e Marina Cvetaeva – Dentro di me sta già nascendo Dio – Inimitabile mente la vita insieme ad Antonio Lavieri (Mucchi Editore, 2022); la selezione delle poesie di Aleksandr Michajlovič Kabanov dal titolo Nella lingua del nemico e altre poesie sulla guerra in Ucraina (Interlinea, 2022); ha tradotto il romanzo Favole dal mio rifugio antiaereo di Oleksij Čupa (Il Margine-Erickson, 2023); e il pamphlet Il viaggio più lungo di Oksana Zabužko (Einaudi, 2022). Per Dimensione Kyiv (Rizzoli, 2023), ancora fresca di stampa, ha nuovamente collaborato come co-traduttore con Yaryna Grusha Possamai, curatrice di questa importante antologia. È stato tra i finalisti per l’assegnazione del Drahomán Prize 2022, il premio che viene conferito dal 2020 ai traduttori di letteratura ucraina nel mondo che è stato vinto quest’anno dal polacco Bohdan Zadura. Il giovane ricercatore porta avanti il proprio lavoro di divulgazione della letteratura ucraina anche su Facebook: sul suo profilo traduce poeti e poetesse dall’ucraino, dal russo e dal bielorusso, spesso condividendo direttamente i post dove i poeti scrivono i propri versi e allegando la sua traduzione in italiano.
Serena Buti: Prima di parlare nello specifico del tuo lavoro da ucrainista e traduttore, vorrei partire da un tema più generale, cioè dal tuo ruolo in quanto studioso di letteratura. Credi che il modo di approcciarsi ai testi tipico della formazione possa avere anche una valenza anche politica? Se sì, come vivi questo valore?
Alessandro Achilli: Ti ringrazio molto per questa domanda che è molto stimolante anche per me e mi aiuterà a capire delle cose di me su cui non ho ancora riflettuto molto. Partiamo dal discorso sul valore politico e culturale di quello che facciamo. Si vorrebbe essere in grado di scindere le cose, di pensare che noi che ci occupiamo di letterature abbiamo il privilegio di svolgere un lavoro principalmente culturale, che la politica è qualcosa che sì in certi casi potrebbe rientrare in quello che facciamo ma che in generale non dovrebbe essere ritenuta una priorità. Se ci si occupa di letteratura ucraina o più in generale di letterature slave orientali nel mondo di oggi, nel 2022-2023 ma probabilmente già a partire dal 2014, la politica e la cultura sono due ambiti che – piaccia o no – non si possono scindere, quello che facciamo è profondamente politico. Il nostro lavoro ha tra le sue finalità anche quella di dare visibilità a un ambito, a una cultura, a una lingua o più lingue, alle voci di autori e autrici. Quei testi senza il nostro lavoro una tale visibilità non ce l’avrebbero, o ne avrebbero molto meno, o potrebbero venire fraintesi. Tutto ciò fa sì che quello che noi ci ritroviamo a fare abbia un profondo valore politico, sarebbe molto bello se non fosse così, ce l’ha. E questo è qualcosa che potrebbe pesarci, è qualcosa di cui alcuni di noi farebbero anche a meno, perché ci riempie di una responsabilità che a volte è pesante perché ogni azione nel nostro ambito può avere delle ricadute: dobbiamo sempre pensare con grande attenzione al pubblico che abbiamo davanti e a come verrà recepito quello che facciamo. Nel corso degli ultimi mesi ho imparato molto da questo punto di vista, un esempio: mi era arrivata dall’editore Mucchi la proposta di co-curare, selezionare dei testi per un’antologia di traduzioni di poeti e poetesse italiani di una poesia di Vasyl’ Stus e Marina Cvetaeva, un lavoro che mi è piaciuto molto fare ma ahimè mi sono reso conto che questo lavoro non è stato recepito da una parte del pubblico come io mi aspettavo. È stata data una valenza politica a qualcosa che non ce la voleva avere, dato che si trattava di un libro con un pubblico molto ristretto: poeti e poetesse che leggono altri poeti e poetesse. Dal pubblico ucraino questo libro è stato recepito come se fosse un’antologia di massa che si trova in qualsiasi libreria, da qui l’idea che facendo questo libro noi volessimo riappacificare i russi e gli ucraini, o appiattire la cultura russa e quella ucraina sullo stesso piano. Insomma, è esperienza che si fa questa, non significa che direi di no a questo progetto oggi ma lo farei con una consapevolezza diversa. Questa responsabilità di cui parlo è una cosa pesante che però può dare anche soddisfazione, ad esempio quando vediamo che con un lavoro come l’antologia Poeti d’Ucraina si riesce ad attirare l’attenzione di testate come “Repubblica”, “il Corriere della Sera”, “La Stampa”, anche testate molto diverse tra loro come “Avvenire”, “il Manifesto”, addirittura “Il Secolo d’Italia”, allora si è contenti del fatto che voci poetiche ucraine arrivino sulle più diffuse e in certi casi importanti testate nazionali. La responsabilità è un onere e un onore allo stesso tempo.
SB: La traduzione è un tema fondamentale molto spesso trascurato. Vorrei sapere cosa è cambiato nel tuo lavoro di traduttore di letteratura ucraina dopo il 2014, se già c’era stato allora per te un cambiamento, e dopo l’invasione su larga scala nel 2022. Visto che prima che traduttore sei un lettore, vorrei chiederti anche se hai notato questi cambiamenti in primis in quanto lettore.
AA: La questione del cambiamento è fondamentale, è un’altra cosa che ho sentito su me stesso. Parli del 2014, nella risposta precedente ho prestato poca attenzione a questa data ma ovviamente è una data fondamentale per me, per tutti. Faccio un salto indietro, se me lo permetti. Quando avevo iniziato nel 2011 la mia tesi di dottorato su Vasyl’ Stus e sull’intertestualità russa e tedesca nella poesia di Stus, avevo proprio l’obiettivo di fare un lavoro che non fosse politico ma puramente letterario, volevo mettere da parte il mito di Stus come dissidente morto in un campo sovietico nell’85 e concentrami sul testo. Ero più giovane, sicuramente meno esperto e più illuso, credevo davvero che si potesse staccare lo Stus dissidente dallo Stus poeta e studioso di letteratura e traduttore a sua volta. Poi è arrivato il 2014, stavo completando la tesi di dottorato e tutto è cambiato. L’Ucraina ha cominciato la sua definitiva uscita da questo non ben identificato spazio postsovietico. Oggi chiaramente questo processo ha avuto un’accelerazione ulteriore, ma è nel 2014 che abbiamo iniziato a renderci conto che la presunta scissione tra politica e cultura di cui parlavamo prima è impossibile perché in Ucraina la cultura aveva iniziato – o, per meglio dire, aveva ripreso – ad avere una valenza politica molto forte. E questo è stato uno dei tanti effetti positivi dell’Euromajdan: la cultura ucraina ha ritrovato un pubblico più ampio, un supporto dallo Stato più ampio e un interesse anche all’estero più ampio. Questo l’ha fatta crescere e l’ha rafforzata ma ha modificato anche la nostra percezione di studiosi, lettori e traduttori stranieri della letteratura ucraina. La lettura, che è alla base sia del lavoro di studiosi e filologi che di quello di traduttori, si è fatta più attenta da questo punto di vista. Mentre prima si leggeva guardando solo agli aspetti filologici e più prettamente letterari, col 2014 abbiamo iniziato a dare attenzione seriamente ai significati politici, in senso vasto, dei testi. Per capire fino in fondo come può essere percepito politicamente un testo ci vuole tempo, ci vuole esperienza e io ne ho fatta tanta solamente l’anno scorso nel 2022. La questione che sollevavi di quanto sia importante leggere i testi con attenzione riguarda anche il casus di Cvetaeva e Stus, il libro che nasce dai loro versi è stato commentato, criticato, rifiutato senza leggerlo. Leggendolo ci si rende conto che le sue finalità non erano quelle per le quali è stato accusato.
Riavvicinandoci al discorso della traduzione, diciamo che fino all’anno scorso mi consideravo quasi esclusivamente lettore e studioso di letteratura ucraina. Avevo fatto delle traduzioni ma non in maniera sistematica. Ho tradotto tra il 2015 e il 2016 Il Principe giallo di Vasyl’ Barka, un lavoro pesante perché è un testo pesante dato l’argomento ma anche lo stile dello scrittore. Poi nel 2019 avevo tradotto Passeggiata nella zona di Markijan Kamyš, quello era stato un lavoro molto leggero. Diciamo, episodi saltuari. Poi nel 2022 il mondo editoriale italiano, e non solo, si è reso conto improvvisamente che la letteratura ucraina esiste veramente e vale la pena avvicinarla al lettore, quindi sono stato inondato di traduzioni da fare. Mi sono trovato a dover conciliare i tre momenti del mio lavoro: oltre alla didattica, quello di studioso e quello di traduttore. In alcuni casi il lavoro mi è stato commissionato, come la traduzione del romanzo Favole dal mio rifugio antiaereo di Oleksij Čupa, stessa cosa con il pamphlet Il viaggio più lungo di Oksana Zabužko, altro lavoro molto pesante. Nel caso di Poeti d’Ucraina è stato sicuramente diverso in quanto la proposta di produrre un’antologia di poesia ucraina contemporanea è venuta dall’editore e io e Yaryna abbiamo avuto massima libertà di scelta, ed è stato proprio un bel lavoro. Nonostante i tempi ristrettissimi con i quali abbiamo lavorato, in quel caso ci siamo goduti anche la lettura, dato che molte letture hanno preceduto la selezione finale. Poter selezionare autori e testi è stato bello perché mi ha dato la possibilità di realizzare quello che era un sogno da qualche anno: fare una bella antologia di poeti ucraini in italiano. Non pensavo che sarebbe mai arrivato quel giorno, invece – ahimè – grazie a quello che stava succedendo è sorta questa possibilità. Farlo con un grande editore e in una collana di prestigio è stato un ulteriore bonus.
Con il mio lavoro di traduttore ora sono a un bivio. L’anno scorso è stato faticoso, le proposte stanno arrivando ma mi rendo conto che ho bisogno di prendere fiato, il tempo della traduzione per me era il weekend, l’estate, la notte, questo non posso permettermelo quest’anno perché ho bisogno di dedicarmi alla ricerca. Probabilmente mi troverò a dover dire alcuni no, e questo è un problema perché non si vuole ostacolare questo processo di scoperta della letteratura ucraina in Italia, questo problema evidenzia un altro problema: la mancanza di traduttori dall’ucraino in Italia. Non sono l’unico, si sta formando qualcun altro, ma siamo sicuramente molto pochi. Quindi è importante che nel corso dei prossimi anni emerga qualche nuovo traduttore dall’ucraino. Si spera che questa non sia solo una moda del momento e che, quindi, servano in futuro altre braccia per tenere vivo l’interesse del pubblico verso la letteratura ucraina, sia per la prosa che per la poesia.
SB: Immagino che tu abbia un rapporto anche personale, oltre che professionale, con gli autori che traduci. Volevo sapere com’è cambiato questo rapporto, soprattutto nell’ultimo anno.
AA: Soprattutto lavorando a Poeti d’Ucraina ci siamo trovati a contattare gli autori, talvolta abbiamo discusso i testi con loro, quindi si è creato un rapporto molto ravvicinato. Con il 2022 questo avvicinamento della cultura ucraina a noi è passato anche dalla componente umana, e si è persa quella barriera – anche quel certo timore – che c’era prima di rivolgersi direttamente agli autori. La necessità di condivisione, ovviamente dalla nostra comodità di persone che vivono e possono continuare a vivere normalmente in Europa occidentale, la voglia di mostrare la nostra solidarietà a chi è in Ucraina in questo momento è passata anche da una maggiore vicinanza, da contatti più frequenti, da scambi di messaggi, telefonate o anche incontri dal vivo, soprattutto con poetesse e scrittrici ma anche con scrittori e poeti a festival e presentazioni. La letteratura ucraina è diventata qualcosa di molto meno libresco di quanto potesse essere prima, qualcosa di molto vicino, umano. Questo forse si ricollega a quanto dicevo prima. Prima cercavo di avere un rapporto puramente filologico con la materia e con gli autori, adesso questo rapporto è diventato molto più vivo, scindo molto meno il testo dall’autore/autrice di quanto facessi prima, guardo molto di più al contesto rispetto a dieci anni fa quando ero un dottorando un po’ idealista, un po’ avulso dalla realtà e ingenuo. Quindi anche a me la letteratura ucraina è diventata più vicina; e questo può suonare paradossale perché prima si poteva andare in Ucraina e durante il dottorato ci sono andato spesso, mentre adesso non ci vado dall’inizio del 2019, chissà quando ci andrò. Mi mancano la biblioteca, le librerie, gli archivi, ma grazie a Internet i rapporti umani con le scrittrici e gli scrittori sono molto più intensi. Vediamo che nonostante tutto c’è la possibilità di viaggiare, vediamo moltissime scrittrici e molti scrittori che viaggiano all’estero. Magari a volte vedendoli non ci rendiamo conto di quanto questa possa essere un’esperienza pesante per loro, sia a livello pratico, per tutte le ore di viaggio, sia a livello umano, perché sento che molto spesso per loro abbandonare l’Ucraina, anche se per una buona causa, è qualcosa di molto doloroso che dà adito anche a sensi di colpa. Non rimpiango il fatto che la letteratura ucraina sia diventata qualcosa in carne e ossa per me.
SB: In alcune interviste su Poeti d’Ucraina hai detto che lavorare su queste poesie è stato per te un compito talvolta doloroso. Volevo chiederti se credi che questo aspetto emotivo sia entrato nel lavoro di traduzione incidendovi una traccia in qualche modo.
AA: Direi di sì, penso soprattutto a Stus, con cui apriamo l’antologia. Tre delle quattro poesie che ho inserito sono prese dalla mia tesi di dottorato e dopo dalla mia monografia, però sicuramente ho fatto dei cambiamenti. Questo è normale quando si traduce in generale, ma sicuramente certi cambiamenti che ho fatto sono dovuti anche al mio diverso rapporto con i testi, con ciò di cui parlavamo prima. Nel caso di Poeti d’Ucraina questo vissuto umano ha agito soprattutto a livello di scelta. In particolare, per quanto riguarda gli ultimi testi, quelli dal 2014 a oggi e quelli degli ultimissimi mesi, magari ci sono dei testi che avrei voluto inserire e provare a tradurre, ma non l’ho fatto perché data la situazione e i tempi molto stretti non mi sentivo in grado di fare una traduzione umanamente all’altezza di quello che stava succedendo. In certi casi quindi c’era una certa ritrosia nello scegliere certi testi e autori, quindi posso aver selezionato dei testi meno intensi di altri perché in quella situazione non sentivo che sarei stato in grado di ricreare in italiano una poesia che fosse all’altezza degli originali. Come ci siamo più volte detti con Yaryna è stato anche terapeutico. Dopo il 24 di febbraio avevo sentito veramente il bisogno di tradurre poesia, mi sembrava un modo di uscire da una certa sensazione di impotenza, di incapacità di lavorare, da una temporanea – è durata poco – perdita di interesse verso il mio lavoro. Il tradurre mi ha aiutato in quella condizione di disperazione a ritrovare un legame con i testi, ha ricreato un ponte umano tra me e i testi. È stato un lavoro fondamentale che mi fa capire che sì questi due côté sono separati ma poi c’è sempre un legame tra di loro. Penso che l’attività di tradurre possa essere efficace anche come primo ingresso in un testo, perché la traduzione ti fa comprendere certi aspetti dei testi sia umani che strettamente testuali che rimarrebbero altrimenti non compresi fino in fondo.
SB: Parliamo di lingua. La lingua della poesia ucraina di oggi è una lingua che certamente porta il segno di ciò che sta accadendo. Volevo sapere se ti va di parlare di questa lingua poetica e di com’è tradurre questa lingua in un’altra che non attraversa le stesse esperienze.
AA: Anche in questo caso il discorso che faremo riguarda di più gli ultimi 11-12 mesi ma si può fare anche a partire dal 2014. Se prendiamo le tre macro-fasi della storia della letteratura e della poesia ucraina degli ultimi trent’anni abbiamo: la fase dai primi anni 1990 al 2014, in cui la poesia e la letteratura in lingua ucraina erano un fenomeno abbastanza di nicchia con un pubblico non troppo numeroso anche in Ucraina, quindi la poesia poteva permettersi certe cose che chi mira ad avere un pubblico di massa non può permettersi. Pensiamo a Serhij Žadan ad esempio: esordisce nei primi anni Novanta come poeta di ricerca, autore di una poesia che è sia postmoderna che neobarocca allo stesso tempo. È un poeta ucrainofono che vive nella russofona Charkiv, quindi non poteva contare su un grande pubblico. Non c’erano Internet né i social, scriveva per sé e per pochi altri in fin dei conti, poteva permettersi di essere abbastanza incomprensibile nella sua poesia, poteva giocare con la lingua, poteva essere barocco insomma (e sappiamo dell’importanza del Barocco nella letteratura ucraina). Tutto questo cambia con il 2014 (seconda fase): la letteratura ucraina riassume un valore politico molto forte e questo peso politico della scrittura passa anche per la volontà degli scrittori di essere letti e compresi, di allargare il proprio pubblico. Per (ri)creare un lettore e un cittadino ucraino bisogna essere comprensibili. Vediamo in sostanza la letteratura diventare uno strumento di nation-building. Ho osservato nella poesia ucraina dal 2014 in poi, oltre a un allargamento dei temi e degli stili, anche una volontà comunicativa molto forte. Si vuole arrivare al lettore, si vuole essere letti, capiti e amati. Dal febbraio del 2022 (terza fase) questa volontà non viene meno, però c’è anche uno shock e questo non può non influire sulla lingua. Questa lingua che si era resa più duttile, elastica, che voleva arrivare a un pubblico quanto più ampio possibile, si trova a fare i conti con il trauma della guerra. Ciò fa sì che in molti casi – lo vediamo nelle poesie pubblicate su Facebook e su Telegram negli ultimi mesi – si tratta di una forma poetica rotta, con degli anacoluti, in cui ci sono ancora meno punti di riferimento (come l’interpunzione) di quanti ce ne fossero prima. È una lingua che sfugge, che a volte si fa nuovamente fatica a comprendere perché riflette il trauma, la distruzione, il dolore, il disorientamento del presente. Non ha assolutamente una finalità elitaria come poteva essere prima del 2014, ma è una lingua che è nuovamente difficile in certi casi perché riflette le devastazioni del presente. Vedremo quale sarà l’evoluzione della poesia ucraina nei prossimi anni, ci auguriamo che avvenga una nuova normalizzazione quando tutto questo finirà, ma sicuramente a livello di storia letteraria nel futuro non potremo non notare la cesura nel 2022. Questo per ribadire quanto sia impossibile, velleitario, utopico e anche sbagliato scindere cultura e politica, testi e attualità, come alcuni di noi hanno in maniera ingenua provato a fare nel passato. In italiano non abbiamo lacune da colmare ma proprio in virtù di questa presunta libertà della nostra lingua possiamo sentirci a volte a disagio nel cercare di ricreare – per usare un termine già usato prima – dei testi che riflettono una determinata realtà storica e delle determinate difficoltà. Per me questo “tuffo” nella traduzione dell’anno scorso e questa professionalizzazione della traduzione anche poetica è stata un’occasione per avvicinarmi alla poesia italiana contemporanea di cui devo dire, mea culpa, prima ero abbastanza digiuno. Il fatto di dover cercare di produrre dei testi in italiano che riflettessero quanto più possibile i testi ucraini ha fatto sì che io avessi il bisogno di assorbire e comprendere meglio la poesia italiana di oggi di quanto non avessi fatto prima. Per questo sto leggendo sistematicamente molta poesia italiana contemporanea, lo faccio anche immaginando che questo possa darmi degli strumenti per tradurre meglio.
SB: Tu traduci anche dal russo e hai tradotto ucraini russofoni (in Poeti d’Ucraina ce ne sono tre o quattro, però penso ti sia già capitato prima). Volevo sapere se hai tradotto poeti che hanno cambiato lingua, cioè sono passati dallo scrivere in russo a scrivere in ucraino, e se noti un cambiamento nella lingua poetica quando c’è questo cambiamento di lingua.
AA: Mi viene in mente il caso di una poetessa a cui tengo molto e a cui spero si potrà dedicare un volume, Ija Kiva che troviamo anche in Poeti d’Ucraina. Il suo caso è veramente straordinario. Abbiamo pubblicato, grazie alla proposta del mio amico e collega Marco Puleri, sul numero del 2021 di “eSamizdat” un’intervista a Ija Kiva. In quell’intervista, condotta in russo, si parlava di tanti temi: della poesia ucraina contemporanea, della Bielorussia, di cui lei si è molto interessata, del polilinguismo in Ucraina. Allora, come in altre sedi, Ija aveva insistito molto sulla necessità di garantire agli scrittori ucraini russofoni degli spazi di pubblicazione. Eravamo nel dicembre 2021, due mesi dopo Ija ha sentito il bisogno fisico di abbandonare la lingua russa e di passare all’ucraino sia nella scrittura che nella vita quotidiana. Nell’antologia abbiamo inserito cinque testi, di cui uno con l’originale in russo e gli altri in ucraino. Ci sono altri due testi (e mezzo, considerando il testo plurilingue di Boris Chersonskyij) in russo. Quello che ci chiediamo a questo punto è quale sarà il futuro della letteratura russofona in Ucraina. Sicuramente avrà un peso ridotto rispetto al passato. Il mio contributo allo studio e alla diffusione della cultura russofona in Ucraina quest’anno è stato il volumetto di Aleksandr Kabanov che si intitola Nella lingua del nemico. Anche in questo caso non è stata una mia idea, mi ha contattato l’editore Interlinea di Novara che ha varie collane poetiche molto interessanti e di qualità. Hanno conferito a Kabanov il premio 2022 del Festival internazionale di poesia civile di Vercelli, gli ho fatto da interprete a distanza al festival, e poi ho tradotto una trentina abbondante di poesie di questo autore che conoscevo dagli studi sulla russofonia letteraria ucraina di Marco Puleri. Kabanov è originario di Cherson, vive a Kyjiv. Mi ha raccontato di aver pronta anche una raccolta in ucraino che spera di riuscire a pubblicare a breve, ma lui è tradizionalmente uno scrittore russofono. Così mi sono confrontato per la prima volta anche come traduttore di poesia russofona ucraina, è stato un esercizio utile, interessante e anche difficile. La poesia di Kabanov combina una evidente fedeltà al ritmo classico, alle rime e alle strutture classiche sillabotoniche della poesia slava orientale, però con una forte impoeticità a livello lessicale e tematico. Devo dire che è stato utile anche per mantenere un certo rapporto con la lingua russa quest’anno. È una lingua con la quale sono in costante contatto perché insegno russo all’università di Cagliari, però devo ammettere che anche io a partire dal febbraio 2022 a volte ho avuto difficoltà con la lingua russa come ce l’hanno avuta molti ucraini. Chiaramente io non sono ucraino, ma noi che ci interessiamo e ci occupiamo di Ucraina ci ritroviamo a riflettere su certi vissuti ucraini che sono in noi. Parlare con Kabanov e tradurre le sue poesie mi ha aiutato a ricordare che è il caso di scindere la lingua russa da quello che sta succedendo. Sono molto grato a questo libro perché è stato un tassello di vissuto umano che mi ha fatto crescere sotto certi punti di vista.
SB: torniamo a Ija Kiva. Lei era già bilingue, vedi delle differenze tra la sua poesia in russo e quella in ucraino?
AA: Ija Kiva nasce come poetessa russofona. Nella prima fase della sua produzione poetica del decennio scorso il russo prevale. Nella prima raccolta di poesia del 2018, Podal’še ot raja, la stragrande maggioranza dei testi è in russo, qualcuno è in ucraino, poi ci sono inserti in polacco e in altre lingue. La seconda, Perša storinka zymy, è invece esclusivamente in ucraino. Pur mantenendosi bilingue Ija Kiva ha rafforzato la componente ucrainofona negli anni immediatamente precedenti al 2022. Non sono ancora pronto a poterti dire che noto una differenza tra la Ija Kiva in russo e quella in ucraino, sono due voci poetiche – a volerle proprio scindere, ma non lo faccio – ambedue molto forti in cui si riconosce la stessa poetica, lo stesso vissuto dietro i testi. Il fatto che lei fino al febbraio 2022 funzionasse allo stesso modo nelle due lingue dimostra che la letteratura ucraina fino all’anno scorso poteva perfettamente funzionare anche in russo. Sapere che una poetessa che era così pienamente a suo agio nelle due lingue, che non era “più forte” in una o nell’altra, che aveva veramente una profondità poetica notevole in entrambe le lingue, abbia sentito di dover abbandonare il russo, questo per noi è qualcosa di significativo e profondo, oltre che drammatico. Questo esempio ci mostra come gli spazi di espressione della lingua russa in Ucraina probabilmente saranno molto ridotti perché anche alcune, non tutte, delle sue voci più forti hanno abbandonato questa lingua.
SB: Un’ultima domanda sulla lingua. Cosa significa scrivere in ucraino oggi? Si può instaurare attraverso la scelta dell’ucraino un dialogo col passato?
AA: Non sono uno scrittore ucraino, ma credo che la scelta di scrivere in ucraino vada a colmare dei vuoti e delle lacune che si sono forzatamente creati nel passato, dei vuoti che la storia ha scavato in una lingua letteraria che ha subito pesantemente le ingiurie della storia. Come sappiamo dall’Ottocento alla fine del Novecento – in certe zone occupate dell’Ucraina ancora oggi – non si è potuto per varie ragioni scrivere in ucraino, pertanto si è perso un patrimonio, si sono perse certe fasi dello sviluppo della letteratura. Si pensi al Modernismo interrotto degli anni 1930-1940 e nella prima metà degli anni ’50. D’altra parte, da quanto ho potuto capire e osservare negli ultimi mesi, e in casi come quello di Ija Kiva, il fatto di passare parzialmente o del tutto all’ucraino non è una scelta ma una necessità. Ija ha insistito sul fatto che la sua non è volontà politica ma bisogno interiore di togliere da sé quel “animaletto morto”, come l’ha chiamato lei riferendosi alla lingua russa.
SB: Quali sono le opere della letteratura ucraina del passato che potrebbero aiutarci a comprendere la situazione contemporanea e al contempo avviare un percorso di avvicinamento alla letteratura ucraina?
AA: Come si sarà capito io tengo particolarmente alla poesia. Due nomi assolutamente da tradurre in italiano sono secondo me quelli di due poeti dei tardi anni Venti, uno viveva in Unione Sovietica, l’altro nella Polonia rinata dopo la Prima guerra mondiale. Volodymyr Svidzins’kyj e Bohdan-Ihor Antonyč sono a mio avviso i due poeti che meglio incarnano quel Modernismo maturo a cui la poesia ucraina era giunta molto in fretta dopo le svariate difficoltà e i molti silenzi dei decenni post Ševčenko alla fine dell’Ottocento. La letteratura ucraina bruciò poi le tappe recuperando moltissime capacità stilistico-tematiche delle quali era rimasta priva. Qui abbiamo nomi di uno spessore notevole come sono quelli di Volodymyr Svidzins’kyj e Bohdan-Ihor Antonyč che non sono stati tradotti, forse Oxana Pachlovska ha tradotto qualcosa di Antonyč ma comunque c’è molto di più da fare.
Facendo un salto leggermente indietro, di un centinaio di anni, capiremmo qualcosa di molto importante: la letteratura ucraina non nasce oggi. La letteratura ucraina moderna ha radici molto più solide, chiaramente non ci sono un Dante, un Petrarca o un Cavalcanti, questo, sappiamo benissimo che non ci sono nemmeno in Russia… ma è un altro discorso. Poi ci sono tutta una serie di nomi a cui tengo tantissimo, sono quei poeti degli anni 1970 e ‘80 che in parte appaiono anche in Poeti d’Ucraina, come Mykola Vorobjov, Mihajlo Hrihoriv, che potrebbero benissimo dialogare con i nostri ermetici italiani e, dunque, sarebbero molto comprensibili al nostro, ristretto, pubblico di poesia. Forse vedo più facili da tradurre i modernisti degli anni 1920 e ‘30 ma sicuramente anche nella tarda età sovietica c’è moltissimo che merita maggiormente la nostra attenzione.
SB: E per quanto riguarda la prosa?
AA: Un’opera molto bella che è stata pubblicata e che mi auguro faciliterà la diffusione della prosa ucraina in Italia è l’antologia curata da Yaryna Grusha Possamai Dimensione Kyiv, alla quale ho collaborato come cotraduttore. C’è un po’ di poesia modernista e contemporanea, ma soprattutto c’è prosa e il volume contiene dei brani e degli estratti che credo meriterebbero una maggiore attenzione da parte dell’editoria italiana. Tra questi c’è Valer’jan Pidmohyl’nyj con il suo romanzo misto La città, forse il romanzo ucraino più importante degli anni Venti del Novecento. Poi c’è un prosatore che è Viktor Petrov-Domontovyč, di cui pure abbiamo inserito alcune pagine nell’antologia, che ci mostra quanto sempre negli anni Venti la letteratura ucraina fosse avanti non solo a livello di poesia ma anche di prosa sperimentale e modernista. Mi auguro che questa antologia appena uscita serva come ponte per far entrare meglio anche la prosa ucraina nel mercato editoriale italiano. C’è molta prosa contemporanea che merita e qualcosa in Italia già abbiamo: abbiamo un po’ di Andruchovyč, un po’ di Žadan, abbiamo un po’ di Zabužko. Come sappiamo la prosa rispetto alla poesia ci mette a volte un pochino di più a registrare i cambiamenti degli umori sociali, ma negli ultimi anni in Ucraina è uscita molta prosa oltre che poesia. Si tratta di una prosa che riflette anche l’esperienza di guerra, quindi c’è molto da scoprire. Penso però che per la prosa, ancor più che per la poesia, prima sarebbe bene andare a colmare a livello editoriale talune lacune della prima metà del Novecento per poi arrivare anche agli autori contemporanei.
SB: Immaginiamo le varie letterature europee come degli insiemi, l’insieme della letteratura ucraina si interseca con altri insiemi?
AA: Se un lettore di poesia polacca ama Bolesław Leśmian, allora il suo interesse per i due poeti che ho citato prima sarà ovvio. Un poeta come Antonyč è diventato un poeta ucraino ma è vissuto in un contesto polonofono e conosceva perfettamente la poesia polacca contemporanea. Si è riscoperto tra queste due letterature un legame fortissimo, si parla di posestry, di letterature sorelle. I polonisti, polonofili e polacchi hanno tantissimo da rintracciare nella cultura ucraina. Anche la cultura tedesca è molto presente in quella ucraina, forse è un caso – ma forse no – che tutti i grandi nomi della poesia ucraina contemporanea siano anche appassionati di letteratura tedesca e traduttori dal tedesco. Come Žadan che traduce Rilke, Brecht e altri tedeschi. Stessa cosa per Andruchovyč, altro grande appassionato e traduttore dal tedesco come, naturalmente, per Stus. Questa è ovviamente una questione di vicinanza e di contatti venuti dal passato. E il fenomeno ci mostra anche che tutti i tentativi di dividere radicalmente la cultura dell’Ucraina dell’est da quella dell’ovest lasciano il tempo che trovano. In fondo i riferimenti culturali sono gli stessi sia per un autore così profondamente ucraino-occidentale come Andruchovyč sia per uno scrittore così profondamente orientale, nato nella regione di Luhansk e legatosi a Charkiv, come Žadan. In ambedue i casi c’è tantissima Polonia, c’è il mondo germanofono, c’è anche tutto il resto ma sicuramente la Polonia e il mondo tedesco sono sempre stati i due biglietti da visita della cultura mondiale per gli scrittori ucraini; e anche attraverso queste due lingue e queste due culture, come già nei secoli precedenti, è filtrato tutto il resto della cultura europea in Ucraina.
SB: Concluderei aprendo una piccola parentesi sul tuo lavoro di traduzione dal bielorusso.
AA: Sì, per il momento si tratta solo di traduzioni sparse e saltuarie, anche perché la traduzione poetica dal bielorusso è per me un modo per migliorare piano piano la mia conoscenza della lingua, che purtroppo ancora non parlo. Ma la cultura poetica bielorussa contemporanea è ricca e non meno meritevole di essere conosciuta delle culture circostanti – e la ignoriamo ancora di più delle altre. Per esempio l’anno scorso è stata a Roma ospite dell’American Academy in Rome Valzhyna Mort, che in America ormai è un nome di primo piano, una poetessa a tutti gli effetti bielorusso-americana, che scrive in tutte e due le lingue e ha un peso in entrambe le culture. Mi ha scritto di non aver incontrato slavisti in Italia, il che è sicuramente un peccato. Forse si sarebbe dovuto “sfruttare” di più l’interesse mediatico per le proteste del 2020-2021 per prendere consapevolezza del fatto che esiste una cultura bielorussa a sé. Ora dovremo aspettare un’altra occasione perché il mondo culturale italiano si renda conto di questo.
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[…] il libro dalla copertina, dal momento che la selezione di poesie voluta dai curatori-traduttori, Alessandro Achilli e Yaryna Grusha Possamai, oltre a offrire al lettore italiano una prova tangibile della maturità […]
[…] a diversi atenei italiani, esperte ed esperti di Ucraina sotto i più disparati punti di vista: Alessandro Achilli (Università degli Studi di Cagliari), Maria Grazia Bartolini (Università degli Studi di Milano), […]
[…] e ucraina, oltre al fondamentale lavoro dei traduttori (competenti) di cui in parte ci siamo già occupati, è importante considerare anche le pubblicazioni destinate nello specifico al pubblico italiano e […]
[…] gentile concessione del traduttore Alessandro Achilli (già intervenuto su queste pagine) pubblichiamo di seguito uno dei componimenti di Ariel Rosé che verranno letti durante […]