Margherita Carbonaro suggerisce di leggere e tradurre Jānis Joņevs
di Carbonaro & Joņevs
Immagine di copertina: Jānis Joņevs.
Come sono i rapporti fra i russi e i lettoni in Lettonia? Che genere di minoranza rappresentano i russi che vivono in Lettonia? Filoeuropea, filorussa, filoputiniana, filobruxellina? Sono emarginati dalla società lettone, come spesso affermano i media in Europa occidentale? La realtà osservata da lontano si lascia facilmente tagliare con l’accetta. Quanto più ci si avvicina, appaiono la complessità, le sfumature, e quindi emerge anche la ricchezza delle situazioni. Mi riprometto di tornare su questo tema. Intanto offriamo qui alla lettura alcuni brani tratti dal testo di Jānis Joņevs apparso recentemente sulla rivista «The Passenger» (nel numero dedicato ai Paesi Baltici, febbraio 2023) nella traduzione di Rita Tura.
Jānis Joņevs è una delle voci più significative e brillanti del mondo letterario lettone contemporaneo. Nato nel 1980 a Jelgava, appartiene alla generazione di chi ha trascorso l’infanzia in Unione Sovietica e ha vissuto gli anni dell’adolescenza nella Lettonia già indipendente degli anni Novanta. Proprio quest’ultimo periodo è lo sfondo storico di Jelgava 94, storia di un bravo ragazzino travolto dallo heavy metal, racconto di un’adolescenza nella provincia lettone degli anni Novanta, luogo dove non c’è spazio per l’incanto (vedi il film che ne è stato tratto per la regia di Jānis Ābele). Una delle migliori qualità della scrittura di Joņevs è l’ironia, sempre elegantemente dosata. Il libro ha avuto un enorme successo in Lettonia, è stato tradotto in quindici lingue, ed è ancora alla ricerca di un editore in Italia.
Jānis Joņevs ha pubblicato anche un libro per bambini, Slepenie svētki (Feste segrete, 2014), e una raccolta di racconti, Tīģeris (Tigre). Nel 2022 è uscito Decembris (Dicembre), docufiction poliziesco su una serie di omicidi avvenuti alla fine degli anni Novanta.
Margherita Carbonaro
Di Margherita Carbonaro leggi Da Daugavpils. Città di (im)possibilità e anche Da Riga, in via dell’Indipendenza ucraina.
«Sì, no, forse»
Di Jānis Joņevs
traduzione di Rita Tura
Partirò dai risentimenti e dalle generalizzazioni. Ho sempre abitato in Lettonia. Sono lettone. Noi sappiamo bene di essere una piccola nazione e quando andiamo all’estero siamo pronti alle domande e ai fraintendimenti. Spesso ci confondono con i lituani ma non importa, noi sorridiamo e rispondiamo che l’affermazione è quasi esatta.
Però ogni lettone si indispettisce se gli chiedono: «La Lettonia è in Russia? Tra di voi parlate russo?» No, la Lettonia non è in Russia. Però sì, è vicino. I lettoni non parlano russo, ma lettone. Eppure quasi la metà della popolazione della Lettonia parla il russo.
Un’altra domanda che mi fa rabbrividire è: «Perché non vi piacciono i russi?» A me, in verità, i russi piacciono, ed è questa domanda che non mi piace. Ma capisco cosa intendono. E avrei delle risposte.
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Non ricordo di aver vissuto dei veri scontri per questioni etniche, ma sapevo che cose di questo genere accadevano. Alla fine degli anni Ottanta scoppiavano grandi risse tra russi e lettoni, mia madre mi raccontava che quando lei andava a scuola capitava spesso. Russi contro lettoni. Ma succedeva così tra tutti i popoli «amici». Armeni contro azeri. Georgiani contro osseti. Russi contro ceceni, contro lituani, contro tutti. Da noi si stava ancora relativamente tranquilli. Ai miei tempi la questione economica era molto più importante. Certo, capitava di sentire: «Be’, non ti piacciono i russi?» oppure «Cos’hai contro i lettoni?», ma le parole più frequenti erano: «Caccia fuori un rublo!». Di rubli in quel periodo ne giravano pochi.
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Nel 1990 la Lettonia proclamò la propria indipendenza. Mosca la riconobbe un anno dopo. Avevamo vinto. La riconquista dell’indipendenza, il periodo che chiamiamo «le barricate» è stato il tempo dell’amore per la Lettonia, di un romanticismo genuino, la rinascita della coscienza nazionale. Abbiamo buttato giù i monumenti a Lenin, abbiamo sostituito le targhe con i nomi delle vie che prima erano in due lingue: adesso in una sola. Nelle scuole il russo non era più una materia obbligatoria. Quel «Dammi un rublo!» che sentivi per strada era diventato «Dammi un lats!».
Però da noi non è successo come succede spesso quando la gente riprende la propria libertà. Non c’è stata nessuna rivolta organizzata contro quelli che erano consideranti gli occupanti. Quando i lettoni hanno finalmente riconquistato il potere, i russi non sono stati espulsi o repressi. Una parte di loro se n’è andata via volontariamente, per esempio i militari con le loro famiglie, gli altri hanno continuato a vivere in un paese del tutto diverso.
Esiste però una cosa che ci rinfacciano ancora oggi. Insomma, prima qui eravamo tutti cittadini dell’Unione Sovietica. Adesso saremo tutti cittadini lettoni? Non così in fretta. Il nostro nuovo governo aveva paura che, concedendo la cittadinanza a tutti, l’avrebbero presa anche quelli che ci volevano parte della Russia. E per via democratica saremmo tornati esattamente lì, nel punto da cui eravamo appena scappati. Quindi solo le persone i cui antenati risiedevano in Lettonia prima del 1940 (l’inizio della prima occupazione sovietica) hanno ricevuto la cittadinanza. Gli altri hanno ricevuto passaporti da non-cittadini, in inglese «alien’s passport». «Come mai» dicevano tanti di loro, «anche noi eravamo favorevoli alla Lettonia indipendente e adesso siamo extraterrestri?» Un risentimento che perdura ancora oggi. Un pretesto per i fascisti in Russia che parlano di apartheid in Lettonia – ogni tanto sparate del genere si sentono.
Vorrei precisare che i non-cittadini lettoni godono di tutta la protezione e del sostegno da parte dello stato, soltanto non possono partecipare alle elezioni. Chi vuole, però, può diventare cittadino superando un (semplice) esame di storia e lingua lettone. Il numero dei non cittadini diminuisce ogni anno, anche se rappresentano ancora più di un quarto dei russi in Lettonia. Gli altri sono cittadini e usufruiscono del loro diritto al voto.
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A che punto è l’integrazione? Io abito a Riga, la capitale della Lettonia. Circa la metà degli abitanti della città è tuttora russofona. Li sento per strada. Le ragazze russe si vestono in modo più provocante, più sgargiante – non tanto, giusto un po’. Li vedo nei supermercati, spesso si rivolgono ai commessi in lettone. Tutto qui. Non incontro i russi ai concerti e ai festival. Che locali frequentano? Non lo so. Recentemente ho trovato un locale davvero bilingue, il Laska bar (il nome è russo), ma è l’unico che conosco. Come passa il tempo quest’altra metà di Riga? Di cosa chiacchiera e discute, cosa le piace, cosa guarda, ascolta e legge? Non lo so. Hanno la loro stampa, la loro televisione. A volte mi sembra di conoscere meglio i russi della Russia che non quelli che stanno qui accanto. Soltanto a Capodanno si sente esplodere un’onda di fuochi d’artificio alle 23 – quando a Mosca è già mezzanotte. Noi non ci facciamo troppo caso.
Le sottoculture sono sempre una soluzione. Nella musica underground si incontrano le etnie, e delle ottime band russo-lettoni hanno calcato i palchi – Pčeli, Fimoz, e adesso anche Nikto. Ai loro concerti russi e lettoni si incontrano, poi ognuno va per la propria strada.
Nel centro storico di Riga c’è una stradina che si chiama Rozena iela. È la via più stretta della città. Così stretta da attirare i poeti. Della Rozena iela scrisse il poeta lettone Juris Kunnoss. Ma sui muri della via, fisicamente, scrivono dei poetastri anonimi: è almeno dagli anni Novanta che i palazzi di Rozena iela vengono usati per una specie di corrispondenza in forma di graffiti. Cancellate di continuo, le scritte riappaiono sempre. E questa via è troppo stretta per non incontrarsi: le scritte sono sia in lettone che in russo. Ogni tanto vado lì ad assistere a questo raro incontro. Le scritte in lettone mi sembrano più pratiche: «Annija, se hai bisogno di lui, riprenditelo!». Quelle in russo, invece, sono più esistenzialiste: «Solo chi chiede il permesso può sentirsi dire di no». Non ho mai incrociato gli autori delle scritte. Forse compaiono solo con la luna piena. Forse sono tutti diventati grandi e si incontrano in un posto dove c’è più spazio.
(Per gentile concessione dell’autore e dell’Editore che ringraziamo)
Jānis Joņevs, foto di Umberto Agnello ©
In aggiunta leggi Noi e Loro. Intervista a Jānis Joņevs di Massimiliano De Ritis del 2 maggio 2023.
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