Un grido urbano, sentimenti misti
di Margherita Carbonaro
Se ne sta lì dal 7 marzo 2022, in Via dell’Indipendenza ucraina, a Riga. È alto una decina di metri e largo sei, e sta appeso sulla facciata del Museo di storia della medicina di Riga, proprio di fronte all’ambasciata russa. Per non vederlo dalle stanze dell’ambasciata bisogna certamente chiudere le tende, bloccare la luce del sole. Ma probabilmente, dopo tanti mesi, impiegati e funzionari e addetti alle pulizie hanno imparato a vederlo e, contemporaneamente, a non guardarlo. Il Putin in giacca e cravatta, su sfondo rosso, è opera dell’artista lettone Krišs Salmanis. È nato come copertina del settimanale «Ir», dieci giorni dopo l’attacco russo all’Ucraina. Da più di undici mesi può essere scaricato dal sito di Salmanis, accompagnato dal motto, in diverse lingue: ko sēsi, to pļausi (lettone), что посеешь, то и пожнешь (russo), що посієш, те й пожнеш (ucraino), you reap what you sow (inglese). Ovvero: raccoglierai quel che hai seminato. Pare che per diversi mesi sia stata l’immagine più scaricata in Lettonia.
Nel 2022 sono stata a Riga in giugno e poi a fine estate, e ogni volta sono andata in Via dell’Indipendenza ucraina (che naturalmente prima non si chiamava così ma – come è avvenuto anche in altre città – il Comune di Riga nella primavera dell’anno scorso l’ha ufficialmente ribattezzata assegnandole questo nome. Lui, il volto-cranio, era sempre lì, sempre identico e ormai solitario, perché le manifestazioni di solidarietà verso l’Ucraina (molto forti e partecipate nei primi mesi, e alle quali, peraltro, avevano presenziato anche moltissimi lettoni di madrelingua russa) a quel punto si erano progressivamente esaurite. A fine estate ne restavano però le tracce nelle onnipresenti bandiere gialloazzurre, visibili perfino sugli sportelli degli autobus cittadini e sulle targhette con il nome delle cassiere dei supermercati Rimi. Quella testa su sfondo rosso sembrava pietrificata, non più passibile di trasformarsi ma tutt’al più di andare seccamente in frantumi – e nello stesso tempo il ghigno dei denti serrati pareva mutarsi con immensa lentezza e inesorabilità, serrandosi sempre più parodisticamente, mentre gli occhietti si infossavano sempre più nelle orbite.
Forse nel frattempo l’inverno ha sbiadito un po’ il rosso sangue della primavera, o ha smangiato lo smalto dei denti o ha accelerato il degrado del ghigno. «Io sono un artista, ma questa non è un’opera d’arte. È solamente un grido» così ha affermato lo stesso Salmanis. Così – non arte – l’ha giudicato evidentemente la giuria, che suscitando anche critiche non l’ha nemmeno nominato per il prestigioso premio Purvītis per le arti visive. È però in lizza per il premio annuale «Kilograms kultūras» (Un chilogrammo di cultura), indetto dalla televisione di stato lettone, nella categoria «Pārsteigums» (sorpresa, stupore), premio che i voti del pubblico assegnano alla cosa o evento che ha creato maggiore sorpresa o stupore nel corso del 2022. Finalisti: il Putin di Salmanis; la grande manifestazione di agosto nell’arena di Mēžaparks, intitolata “Danza il canto, risuona la danza”, che ha visto sul palco 6000 partecipanti a un evento basato su motivi di canti e balli popolari lettoni; oppure il thriller mitologico (e cosa sarà mai un thriller mitologico?…) Upurga.
Era possibile votare online, e anch’io l’ho fatto: ho dato il mio voto al volto-cranio – ma non nascondo il fastidio, o imbarazzo che sia, provato all’idea di dover contrastare la fascinazione esercitata sul pubblico lettone da Upurga. Qualcosa, confesso, non mi quadra. So che il passo è lungo prima di arrivare all’irrealtà che vedo rappresentata ogni volta che vado alla pagina online delle notizie sul primo canale – pervyj kanal – della televisione di stato russa: nel servizio con cui si apre il telegiornale compare generalmente lui, il volto-cranio, però in versione non rinsecchita ma piuttosto gonfiata. Non ossa, ma carne quasi tumefatta. Parla in tono paterno, insieme benevolo e severo, rivolgendosi a qualche rappresentante dei suoi sudditi – ascolta, prende appunti, commenta e ascolta ancora, promette di fare il possibile per assecondare i desideri del suo popolo. È buono e comprensivo, sorride senza digrignare i denti, come un nonno affettuoso.
Cliccando per dare il mio voto provo insomma una strana sensazione di irrealtà.
Le votazioni online sono aperte fino alla mezzanotte di oggi, ora lettone (cioè un’ora prima di Roma e un’ora dopo Mosca), primo febbraio duemila e ventitré. Vincerà il volto-cranio, il canto-danza o Upurga? I vincitori saranno annunciati fra due settimane.
In ogni caso auspico che il Putin di Salmanis resti sulla facciata del museo fin quando sarà necessario che resti, per ricordare quello che ancora succede. E, quindi, che resti il minor tempo possibile, e che l’immagine scompaia insieme al suo modello. Ma rispecchia bene i tempi che stiamo vivendo – mi ricorda da Riga l’amica Rita – il paradosso manifestato dalla necessità di votare per un’opera che l’artista stesso non definisce un’opera ma un grido.
Margherita Carbonaro – Nata nel 1964 a Milano da padre italiano e madre lettone, ha tradotto molte opere di autori di lingua tedesca, contemporanei e classici del Novecento; fra questi Hermann Hesse, Herta Müller, Thomas Mann, Max Frisch, Uwe Timm, Christoph Ransmayr, Terézia Mora. Per Mondadori ha appena tradotto con Anna Ruchat Mondi, raccolta di poesie di Gertrud Kolmar (2023). Nel 2022 ha ricevuto il Premio alla carriera del Premio Italo-Tedesco per la traduzione. Nel 2012 per l’editore Metropol ha scritto La vita è qui / Das Leben ist hier: Wolfsburg, una storia italiana / Wolfsburg, eine italienische Geschichte, un libro che attraverso oltre 50 testimonianze racconta dei tanti giovani italiani che dal 1962 in poi sono emigrati a Wolfsburg, la città della Volkswagen.
Da alcuni anni Margherita Carbonaro si occupa anche di letteratura lettone, che desidera far conoscere in Italia. Per Iperborea ha tradotto il romanzo Come tessere di un domino di Zigmunds Skujiņš (2017), considerato un classico moderno della letteratura lettone; nello stesso anno è uscito presso Voland Il latte della madre di Nora Ikstena, una delle maggiori autrici contemporanee del paese baltico. Di Regīna Ezera, grande dame della prosa lettone, autrice di una ventina di opere che si distinguono per singolare finezza psicologica, ha tradotto Il Pozzo (2019). Per le sue traduzioni dal lettone Margherita Carbonaro ha ricevuto nel 2018 il Premio Sudraba tintnīca (Calamaio d’argento). Nel 2021 ha ricevuto il Premio nazionale per la traduzione promosso dal Ministero della Cultura italiano, per le sue traduzioni dal tedesco e dal lettone.
Dopo aver abitato per diversi anni a Berlino e a Pechino, vive ora fra la Germania meridionale e l’Italia, e soggiorna frequentemente anche a Riga.
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