Romanzi e racconti di László Krasznahorkai
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Domenico Pinto, che dirige la libreria di Brindisi Lettera 22-Mondadori Bookstore, segnala, e lo ringraziamo, le opere dello scrittore ungherese László Krasznahorkai di cui è cultore. Molte delle sue opere sono già tradotte in italiano dall’editore Bompiani. Vedi l’intervista alla traduttrice Dóra Várnai.
László Krasznahorkai (o meglio Krasznahorkai László, come bisognerebbe scrivere secondo la regola che vale non solo per la lingua ungherese che antepone il cognome al nome) è nato a Gyula, in Ungheria, nel 1954. Autore di romanzi e raccolte di racconti, nel 2015 ha vinto l’International Man Booker Prize. Bompiani ha pubblicato Satantango, finalista al Premio Gregor Von Rezzori e al Premio Strega Europeo 2017, Melancolia della resistenza, Il Ritorno del Barone Wenckheim, vincitore del National Book Award for Translated Literature nel 2019, Guerra e guerra, poi Seiobo è discesa quaggiù, infine Herscht 07769.
- In generale vedi di Lorenzo Alunni, L’apocalisse permanente: su László Krasznahorkai. Un percorso tra quattro romanzi dello scrittore ungherese László Krasznahorkai, “Il lavoro culturale”, 4 febbraio 2016: “Nell’osservare l’umanità attraverso i libri di László Krasznahorkai, con la sua prosa allo stesso tempo ipnotica e decisa, ci accorgiamo che c’è sempre qualcosa di frapposto fra noi e il mondo reale, qualcosa che non ci permette di capirlo veramente, o forse di non vederlo senza essere ingannati da illusioni ottiche. È forse l’unico modo per descrivere davvero quel senso di apocalisse permanente che i suoi personaggi vivono. E noi con loro (…) la letteratura di László Krasznahorkai è, nonostante tutto, una letteratura di speranza”.
- Leggi sul versante delle sue premonizioni: Preannunciare un destino avverso: cosa possono dirci i romanzi di László Krasznahorkai sulla crisi dei rifugiati?, di John McIntyre, “The Calvert Journal”, traduzione di Carlotta Spiga in “Grafias altri mondi letterari”, 3 maggio 2017: “nonostante l’autore affermi il contrario, i suoi libri hanno preannunciato molto di quanto avvenuto in Ungheria negli ultimi anni”.
- Leggi in inglese di Diána Vonnák, László Krasznahorkai: where to start with his literature, “The Calvert Journal”, 16 September 2021: “«Non siamo preparati alla realtà», ha detto [László Krasznahorkai] in un’intervista, quando gli è stato chiesto del suo universo narrativo che spesso sembra essere una versione inclinata e spezzata del mondo che condividiamo. Ha insistito sul fatto che molto rimane non visto o invisibile e che ciò che chiamiamo realismo in letteratura è poco più di una convenzione di ottiche ristrette e restrizioni tematiche. La realtà, per lui, è più prepotente e ineludibile, resistente ai tentativi sobri che sperano di escludere l’indigente come distopico, o l’uomo motivato come pazzo. Insiste sul fatto che i suoi personaggi sono reali e nega con veemenza che ciò possa essere inteso in senso figurato”.
Titolo originale: Sátántangà (1985).
Dalla scheda di presentazione Bompiani (2016): “Il comunismo è ormai al tramonto e nella fangosa campagna ungherese quel che resta di una comunità di individui abbrutiti vive una vita senza speranza in una cooperativa agricola ormai in sfacelo. Tutti vogliono andarsene e sperano in un futuro migliore grazie al denaro che riceveranno dalla chiusura della loro fattoria collettiva. Quando all’improvviso si diffonde la notizia che il carismatico Irimiás, sparito due anni prima e dato ormai da tutti per morto, è stato visto sulla strada che porta al villaggio e sta per tornare pare un miracolo. E’ l’inizio dell’attesa, dell’avvento incombente di qualcosa che li può liberare ma che avrà pesanti conseguenze sulle loro vite disperate. Si troveranno infatti a far fronte non solo alle astuzie di Irimiás, ma anche ai conflitti che li dividono. Questo capolavoro dark, primo libro di Krasznahorkai pubblicato nel 1985 in Ungheria, è ormai considerato un vero e proprio classico contemporaneo”. Traduzione italiana di Dóra Várnai.
- Vedi il commento di (Cornelio Nepote) 2000battute, 14 gennaio 2017: “Krasznahorkai costruisce muri di senso in continuazione, in Satantango come anche in Melancolia della resistenza. Lo fa raccogliendo l’immaginario tradizionale dell’Europa orientale disintegrata dall’essere in mezzo a un guado tra la fine di una oscurità e l’inizio di un’altra. La sua prosa insistentemente sfaccettata costringe ad apnee prolungate e isolamenti innaturali, i personaggi sono caricature di storpi e deficienti, dei minorati appunto, specchio dei lettori, disprezzati e indispensabili per l’espressione artistica, tutto e tutti sono immersi nella Natura, anch’essa scarnificata e ridotta a mero paesaggio, a contenitore di oscurità”.
- Vedi Krasznahorkai balla il tango demoniaco della realtà, “CriticaLetteraria”, 8 marzo 2017: “Nel romanzo di Krasznahorkai si percepisce il senso profondo della materia di cui è fatto il mondo, un senso fatto di colori, sapori, odori, ma non è una materialità autoevidente, ovvia, definitiva. La concretezza di Satantango nasconde infatti una visione spirituale, non religiosa, ma universale, assoluta, metafisica appunto. Gli oggetti hanno un loro respiro, le «cose» si animano (…) Muffa umida. Odore di palude. Muschio viscido. Fango. Impotenza. Assoggettamento. Immobilità. La materia di cui è fatto Satantango è una miscela micidiale deteriorata e deteriorante di terra, polvere e pioggia”.
Titolo originale: Az ellenállás melankàliája (1989).
Dalla scheda di presentazione Bompiani (2018): “In città è arrivato il circo. Nulla di strano, se non fosse che il circo ospita una balena imbalsamata, la più grande del mondo, e che la città è sperduta nella campagna ungherese, un non-luogo dominato da incertezza e declino. Tutti sono in attesa che accada qualcosa e sarà proprio il circo a far esplodere il cambiamento. Tra i tanti personaggi che popolano questo sorprendente romanzo sociale spiccano Eszter, che spera nel caos e nell’anarchia per accrescere il suo potere, e Valuska, postino e sognatore, che trascorre le sue giornate cercando la purezza nel mondo. Un romanzo sulle possibilità della rivoluzione che scorre nella prosa bruciante e visionaria di László Krasznahorkai”. Traduzione italiana di Dóra Mészáros e Bruno Ventavoli.
- Per l’edizione del romanzo edita da Zandonai nel 2013 vedi di Daniele Abbiati, Se la rivoluzione è una danza macabra sull’orlo del Nulla. Apocalisse e ribellione, normalizzazione e conformismo: «Melancolia della resistenza» è l’allegoria di ogni società, “il Giornale.it”, 23 Giugno 2013: “In fondo, si tratta di aggiungere un Nulla a un altro Nulla, una nuova melancolia a una nuova resistenza. Nell’attesa che queste si scambino i ruoli, obbedendo alla ciclica monotonia delle rivoluzioni”.
- Vedi il commento di (Cornelio Nepote) 2000battute, 11 giugno 2016: “Il regista Béla Tarr ne fece una trasposizione cinematografica, e francamente non riesco a immaginare come ci sia riuscito. Il testo è di una difficoltà formidabile. Una palude nella quale ho rischiato più volte di sprofondare”.
- Per l’edizione Bompiani vedi Valentina Parisi, László Krasznahorkai, l’inferno in stile loop, “il Manifesto”, 8 gennaio 2017: “Satantango trasforma lo sfascio postsocialista in una cifra atemporale (…) Ciò che forse più colpisce a distanza di decenni è la capacità di Krasznahorkai di proiettare i realia dell’Ungheria tardo socialista su un piano universale, trasformando lo sfascio imminente di una società storicamente determinata nella cifra atemporale dell’Apocalisse. In questo senso, Satantango anticipava – addirittura quattro anni prima della caduta del muro di Berlino – parte della letteratura post-socialista dei decenni a venire, per di più con un afflato metafisico rimasto sostanzialmente ineguagliato”.
- Vedi Geraldine Meyer, Melancolia della resistenza e l’epica del non senso, “L’Ottavo”, 16 giugno 2018: “Questa tendenza ad adattare la forma-romanzo a strutture musicali si riallaccia alla caratteristica più evidente della prosa di Krasznahorkai, ossia la propensione a condurre alle estreme conseguenze la natura agglutinante della lingua ungherese, producendo – per aggregazione graduale di parole – frasi lunghissime, che si susseguono per pagine e pagine senza alcuna forma di stacco grafico, e che sono state giustamente definite dal traduttore inglese di Satantango George Szirtes «colate di lava verbale»”.
- Vedi di Wlodek Goldkorn, Il male a forma di balena. “Melanconia della resistenza” è una storia che non si dimentica, “L’Espresso”, 27 agosto 2018: “è un romanzo difficile da dimenticare o anche di smetterne la lettura. Visionario, allucinato, scritto con frasi lunghissime dove le parole avvolgono l’un l’altra in una prosa trascinante ma al contempo rarefatta (…) è un romanzo politico, nel senso più alto; parla del Male che si manifesta e propaga, per futili motivi.”
Titolo originale: Háború és háború (1999).
Dalla scheda di presentazione Bompiani (2020): “La vita del solitario archivista György Korin viene sconvolta dalla scoperta di un antico manoscritto dall’inestimabile valore in un paesino ungherese: il testo narra l’epopea di quattro personaggi in diverse epoche storiche accomunate da uno stato di guerra permanente. Reso folle dalla sua ossessione, Korin decide di portare il misterioso volume con sé a New York, ‘il centro del mondo’, per trascriverlo, consegnarlo alla Rete e renderlo immortale. Guerra e guerra è la storia di questa missione, punteggiata dai molti incontri del protagonista lungo il suo cammino, in un mondo diviso tra brutalità e bellezza. Un romanzo che non è solo un romanzo, ma che già durante la stesura ha sconfinato nella realtà – in forma di messaggi dell’autore ai suoi lettori – e che la invade quando, nel 1999, viene inaugurata una targa commemorativa, come Korin stesso desiderava, affissa sulla parete di un museo in Svizzera, accanto a una scultura di Mario Merz. Per l’edizione italiana, la prima integrale, l’autore ha raccolto tutti questi elementi perché i lettori possano ripercorrere l’intera esistenza del progetto Guerra e guerra in una sorta di caccia al tesoro”. Traduzione italiana di Dóra Várnai.
- Vedi Guerra senza pace, violenza senza fine: il mondo nero di László Krasznahorkai, “CriticaLetteraria”, 22 dicembre 2020: “Guerra e guerra conserva nel titolo il riassunto più preciso, più puntuale di tutto il romanzo. Quella che sembra quasi una citazione, una strizzata d’occhio al più famoso Guerra e pace di Tolstoj – ma senza gli elementi positivi della vittoria, della pace, dell’amore – è proprio la verità a cui arriva György Korin: una verità tanto lapalissiana e tragica da condurlo alle soglie della pazzia. È una verità semplice: in tutta la storia dell’umanità…”
Titolo originale: Seiobo járt odalent (2008).
Dalla scheda di presentazione Bompiani (2021): “Nel giardino della dea Seiobo ci sono alberi di pesco che fioriscono una volta ogni tremila anni, ma chi riesce ad assaporarne i frutti riceve in dono l’immortalità. Un airone è colto come simbolo di fugace, eterna bellezza mentre, immobile, aspetta di afferrare la sua preda nelle acque di un fiume giapponese. Un uomo stanco si arrampica sull’Acropoli per l’appuntamento con il Partenone che ha rimandato per tutta la vita. E ancora maschere del teatro No, quadri famosi, quadri dimenticati, icone russe: attraverso le storie di oggetti preziosi e monumenti visitati con occhi nuovi, passando dalla Kyoto contemporanea all’antica Persia, dalla Firenze del Perugino alla Scuola Grande di San Rocco a Venezia, Krasznahorkai si interroga sull’arte, la creazione, la ricerca del sacro in una raccolta di racconti finora inedita in Italia. Luminoso e malinconico, Seiobo è discesa quaggiù è un invito a esplorare il nostro innato desiderio di bellezza e a fare tesoro del tempo che dedichiamo alla contemplazione del sublime nelle sue forme più sorprendenti”. Traduzione iitaliana di Dóra Várnai.
- Vedi di Cesare Sinatti, “Seiobo è discesa quaggiù”: la bellezza che (non) salva il mondo, “La Balena Bianca”, 27 ottobre 2021: “Krasznahorkai è, infatti, un maestro del ritmo, e di un ritmo riconoscibile anche in traduzione, mantenuto grazie a un espediente stilistico su cui l’autore si è soffermato a discutere spesso, ovvero quello della ripetizione”.
- Vedi di Marco De Laurentis, László Krasznahorkai, maestro dell’Apocalisse. Intervista allo scrittore ungherese sul suo nuovo libro Seiobo è discesa quaggiù: arte e sacro, reale e virtuale, Cina e Giappone, gli igloo di Merz e i randagi di Varanasi, “RivistaStudio”, 23 Novembre 2021: “c’è una parte del percorso da scrittore di Krasznahorkai che non è stata ancora esplorata, e che ci permette di introdurre il suo ultimo libro uscito in Italia, Seiobo è discesa quaggiù (Bompiani, traduzione di Dóra Várnai), ovvero quella relativa al suo periodo “asiatico”. Durante gli anni ’90, infatti, Krasznahorkai ha compiuto viaggi in Mongolia, Cina e Giappone, scrivendo altrettanti libri. La summa di questo percorso è espressa in questo romanzo-raccolta di 17 storie, delle vere e proprie interrogazioni filosofiche che riguardano l’arte a contatto con il sacro”.
Titolo originale: Báró Wenckheim hazatér (2016).
Dalla scheda di presentazione Bompiani (2019): “Giunto ormai al capitolo decisivo della vita, il barone Béla Wenckheim torna nel paese natio in una sperduta provincia ungherese. La sua è una figura avvolta nel mistero: chi lo incrocia lo descrive come inverosimilmente pallido, magro e alto come un grattacielo, occhi neri, sguardo trasognato. A causa dei debiti di gioco è fuggito da Buenos Aires, dove viveva in esilio, e non desidera altro che riunirsi al grande amore di gioventù, la sua Marietta o Marika: lui la chiama Marietta, ma per tutti gli altri è Marika. Il viaggio del barone si intreccia con quello del Professore, uno dei massimi esperti mondiali in muschi e licheni, che a sua volta si ritira dagli allori accademici per rinchiudersi in un selvatico eremitaggio e dedicarsi a faticosi esercizi di esenzione dal pensiero nelle immediate vicinanze della città di Béla Wenckheim. Il ritorno del barone, che nella tensione dell’attesa è foriero di ricchezza per tutti, è ammantato da un rincorrersi di voci e da un turbine di pettegolezzi; attraverso le pagine graffianti dei giornali scandalistici ci immergiamo nella realtà del mondo ungherese e nella condizione di precarietà non solo economica in cui versa. Ma cosa succede se il Messia tanto atteso non porta con sé la salvazione ma anzi il giudizio universale? Un romanzo visionario che racconta l’assurdità del presente al ritmo di una marcia funebre”. Traduzione italiana di Dóra Várnai.
- Vedi di Lorenzo Alunni, L’attesa del barone Krasznahorkai. Su “Il ritorno del Barone Wenckheim” (Bompiani), di László Krasznahorkai, “Il lavoro culturale”, 3 Dicembre 2019: “Una delle cose che, volendo, possiamo chiedere cortesemente alla letteratura è un aiuto per riflettere sul rapporto fra l’idea di una comunità che si disgrega e quella di un mondo che si decompone. In caso, citofonare Krasznahorkai”.
- Vedi Filippo Polenchi, “Il ritorno del Barone Wenckheim”: l’opera al nero di László Krasznahorkai, “La Balena Bianca”, 9 dicembre 2019: “Sono quasi insostenibili le pagine di questa storia di violenta immobilità: per la furia immedicabile, per la cieca predestinazione che avvelena le possibilità dei personaggi, per il modo beffardo e atroce che ha il caso di ricordarci quanto poco valiamo nell’ecologia del cosmo. La voce dell’autore non dà respiro: più che nelle altre opere qui la prosa non conosce pause”.
- Vedi Il vero volto del nichilismo: «Il ritorno del barone Wenckheim» di László Krasznahorkai, “CriticaLetteraria”, 17 dicembre 2019: “calamitati da una scrittura tanto pertinace quanto seducente, si resta avvinghiati fra le strettissime maglie di una tela che viene fatta e disfatta davanti ai nostri occhi, laddove la trama viene presa, sfibrata, ripresa, modellata di nuovo e infine cancellata, spezzettata, frantumata e gettata al vento (…) ciò che resta infine è solo un sordissimo silenzio, o forse meglio ancora il lungo fischio di un acufene”.
Titolo originale: Herscht 07769 (2021).
Dalla scheda di presentazione Bompiani (2022): “Kana sembra una delle tante cittadine dimenticate della Turingia, e proprio la sua remota desolazione ha attratto un manipolo di neonazisti. Gli abitanti li guardano con timore e sospetto. Solo Florian Herscht è convinto di avere amici da entrambe le parti. È un uomo robusto, gentile, chiaroveggente in virtù della sua innocenza, che crede devotamente in Bach, ha paura dei tatuaggi, è convinto che l’universo sia condannato a perdersi nel nulla e per informare tutti della catastrofe scrive lettere in modo ossessivo, persino ad Angela Merkel, che non gli risponde mai. All’improvviso al limitare della foresta arrivano i lupi: la fine del mondo si avvicina. Modulando l’umorismo malinconico che è un tratto inconfondibile della sua straordinaria scrittura, László Krasznahorkai spiazza ancora una volta i lettori con un romanzo di terribile attualità, che parla di una piccola città ma ha il respiro universale della grande letteratura”. Traduzione italiana di Dóra Várnai.
- Leggi l’Incipit di Herscht 07769.
- Vedi Márton Jankovics, Interview: László Krasznahorkai: “Before you call me an elitist, let me call myself one”, Part 1 of 2, “hlo.hu”, 21st May, 2021; Part 2 of 2, “hlo.hu”, 28th May, 2021: “Non è di profeti che la gente ha bisogno, ma di falsi profeti – dice lo scrittore ungherese László Krasznahorkai, nel cui nuovo libro, Herscht 07769, i lupi, i neonazisti, la fisica quantistica e la musica di Johann Sebastian Bach giocano tutti ruoli importanti. Egli ritiene che nel nostro tempo la cultura alta non domini più, ma sia stata distrutta dal mercato, che ha trasformato Omero in un fumetto e Shakespeare in una delle domande difficili di uno stupido quiz televisivo”.
Immagine della Home del sito di László Krasznahorkai.
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