In una terra di riti pagani e suggestioni senza tempo, un padre lotta per la sua famiglia
di Susanna Gianandrea
Che cosa vuol dire Pamfir? Nel dialetto della Trascarpazia, tra villaggi arroccati al confine tra Ucraina e Romania, ancora fermi al secolo scorso, può voler dire un uomo che ha perduto i denti perché pestato. Oppure un uomo forte come una roccia. Forse entrambe le cose: un uomo che combatte fino alla disperazione, un uomo temuto o un superbo, di certo un antagonista. Soprattutto della mafia locale che presidia il territorio e il contrabbando verso l’Europa.
Pamfir è il soprannome di Leonid (Oleksandr Yatsentyuk), emigrato all’estero non solo per motivi economici e che ritorna nel suo paese dove ha lasciato la moglie Olena (Yelena Khokhlatkina) e il figlio adolescente Nazar (Stanislav Potiak) per poi ripartire di nuovo. Ma molti vorrebbero che rimanesse, suo figlio soprattutto, perché in quei luoghi dove appare che sia solo la violenza a dominare, affidarsi a una guida, forte ma anche giusta significa salvarsi. Leonid, suo malgrado e in conflitto con la propria coscienza, sarà costretto a rimanere e a scegliere di contrabbandare ancora, per proteggere la propria famiglia e affrancare suo figlio da un destino senza istruzione, senza lavoro e senza speranza.
La vicenda si svolge durante la preparazione e nel corso della Malanka, la festa popolare ucraina, di origine pagana, qui resa pittoresca da costumi di paglia e grandi maschere animalesche quasi a rendere ancora più simbolico il contraltare con le celebrazioni della chiesa ortodossa del paese. Il film mostra un’umanità costretta ad abbassarsi alla bestialità, tra violenza e riti religiosi e pagani, senza alcuno spiraglio, sebbene ancora lontana dalla tragedia del conflitto attuale con la Russia.
Scritto e sviluppato nel 2016 all’interno del programma ScriptLab del TorinoFilmLab, rivolto a opere allo stadio iniziale, Pamfir è il primo lungometraggio del regista ucraino Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk. Il film, coprodotto da Ucraina, Francia, Polonia e Cile è stato presentato in anteprima alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes e al Torino Film Festival. Sarà distribuito nelle sale italiane nella primavera del 2023.
Vedi il trailer.
Vedi “Anche se parliamo di bene assoluto, c’è sempre un effetto collaterale”, l’intervista di Nataliia Serebriakova a Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk, regista di Pamfir: “Nel film è presente il dialetto bucovino, che suona molto naturale. Come sei riuscito a ottenere questo risultato? Premetto che non si può definire il dialetto bucovino, perché è carpatico e più vicino al dialetto hutsul, la Bucovina è incredibilmente multiculturale e sfaccettata. Le prove sono state molto lunghe e uno dei criteri principali era che cercavamo attori provenienti dall’Ucraina occidentale, in modo che non dovessero imparare la lingua da zero. Prima di affrontare tre mesi di prove, tutti gli attori hanno letto due libri, uno dei quali era Nonno Ivanchik di Petro Shekeryk-Donykiv, e hanno ascoltato audiolibri, come quelli di Yuriy Fedkovych. Hanno avuto il permesso di leggere Vasyl Stefanyk, ma Stefanyk è un po’ diverso”.
Vedi la recensione di Tonino De Pace.
Vedi la recensione di Nataliia Serebriakova.
Vedi la recensione di Paola Assom.
Vedi la recensione in francese di Françoise Wilkowski-Dehove.
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[…] Di Susanna Gianandrea vedi Tre minuti del 1938 e Pamfir di Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk. […]
[…] Susanna Gianandrea, Pamfir di Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk. In una terra di riti pagani e suggestioni senza tempo, un padre lotta per la sua famiglia. […]