Si chiama guerra perché si finisce sotto terra
di Paolo Morawski
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Cerchiamo (talvolta in ogni modo) di fare passare nel dimenticatoio la guerra della Russia contro l’Ucraina, ma la guerra continuamente s’impone e, seppure a distanza, ci interpella quando non ci opprime. Vorremmo parlare di libri, letteratura, storie passate, film, finzioni, poesie, mostre e altre attualità artistiche della vasta area tra il Baltico e il Mar Nero, invece la realtà ci richiama all’ordine. Le ultime notizie sono terribili. Raccontano di un’Ucraina martoriata, popolata di morti e feriti, distruzioni, bombardamenti sui civili e sulle città, missili e droni che colpiscono i gangli vitali (acqua, elettricità) del Paese, oltre alle interruzioni nelle consegne di gas. Narrano di una Russia sempre più aggressiva che continua ad avanzare in Ucraina, chiama i russi alla mobilitazione e minaccia il ricorso alla bomba atomica, il che innescherebbe l’apocalisse nucleare. Riferiscono di un’Europa coesa sebbene frastornata e mentalmente altrove, sempre in procinto di dividersi, a tratti infastidita di dover agire “tutti per uno e uno per tutti”, quindi di un’UE rallentata dai vari governi che paventano crisi energetiche intensificate da quelle sociali, un’Europa in cui sono in ascesa i partiti e movimenti che vorrebbero tirare ciascuno la coperta a sé. Nel frattempo, mentre all’ONU si condanna a grande maggioranza le annessioni della Russia in terra Ucraina, aumentano i Paesi, Italia inclusa, che chiedono ai propri cittadini di lasciare l’Ucraina. Brutti segnali.
In sostanza trovano (ahimè) conferma i timori di chi paventava una intensificazione questo autunno degli attacchi alle infrastrutture energetiche e civili ucraine e un aumento della guerra contro le città e i loro abitanti. Dopo le sue battute d’arresto sul campo di battaglia, la Russia in effetti colpisce le infrastrutture civili, oltre agli obiettivi militari. Per meglio dire ora anche i civili sono degli obiettivi bellici.
Scrive Mirko Mussetti su Limes: “Diviene sempre più evidente la nuova strategia della Russia: spegnere la luce all’Ucraina alle porte dell’inverno. Ecco perché da giorni sono prese di mira le infrastrutture elettriche del paese. Il fatto che sia stata bersagliata la sede stessa dell’operatore nazionale ne è una riprova. Secondo Klyčko, «l’obiettivo della Russia è distruggere le infrastrutture, far congelare le persone». In riferimento all’attacco nelle zone residenziali, l’ex pugile e punto di riferimento del patriottismo ucraino è stato ancor più lapidario: «È ovvio che Putin ha bisogno di un’Ucraina senza ucraini». In effetti, la distruzione della rete elettrica nazionale e una contestuale sospensione delle forniture di gas naturale russo durante la stagione fredda potrebbero spingere la popolazione ucraina ad abbandonare i grandi centri urbani, rifugiandosi in campagna o sfollando verso i paesi dell’Europa occidentale. Se le bombe immobilizzano i cittadini più timorosi negli scantinati durante il periodo mite, il freddo pungente del generale Inverno li sprona a evacuare le città”.
Nel frattempo, tornano a confluire truppe moscovite in Bielorussia, dove si prevede a giorni l’arrivo di circa 9 mila soldati russi che andranno a costituire un raggruppamento congiunto con le truppe bielorusse. Alcuni osservatori pensano si tratti di un diversivo, per altri è l’annuncio di un imminente coinvolgimento di Minsk nel conflitto in Ucraina. Come che sia, osserva ancora Mirko Mussetti: “è un ulteriore pensiero per le autorità di Kiev. Avendo spostato le truppe precedentemente dispiegate attorno alla capitale verso i fronti di Kherson e Kharkiv per sostenere la controffensiva, le Forze armate ucraine si ritrovano ora con il fianco settentrionale sguarnito ed esposto a un potenziale nuovo affondo russo. La creazione del gruppo congiunto di truppe russe e bielorusse annunciata dal presidente bielorusso Aljaksandr Lukašėnka (Lukashenko) ha come obiettivo primario far ripiegare verso nord parte dei reparti ucraini impegnati sul fronte orientale e meridionale, frenando così la progressione nelle quattro regioni annesse dalla Russia (Kherson, Zaporižžja, Donec’k, Luhans’k). E ricreando la pressione sulla capitale Kiev che ha caratterizzato la prima fase del conflitto”. Brutti spettri.
Un altro fronte di preoccupazione, questa volta per Putin, è l’Asia centrale (Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan, Kirghizistan) dove Mosca sta perdendo colpi. Il deterioramento delle relazioni del Cremlino con le ex repubbliche asiatiche dell’URSS, che sempre meno sopportano di essere trattate dal centro come “colonie”, potrebbe ulteriormente spingere Putin a intervenire con ferocia in Ucraina per evitare che le spaccature tra Mosca e le ex repubbliche sovietiche aumentino. Secondo vari analisti, più la Russia è sconfitta dalla sua stessa guerra in Ucraina, più rapidamente perde influenza in un’area asiatica che Mosca considerava la “propria “zona di influenza privilegiata” e che adesso è attraversata da spinte centrifughe. Già ora accadono “incrinature” significative tra Azerbaigian e Armenia per il Nagorno-Karabakh, e tra Tagikistan e Kirghizistan per questioni di confine. Visto dalla prospettiva delle capitali asiatiche (Baku, Erevan, Dušanbe, Bishkek) il polo moscovita è seriamente insidiato in Ucraina da UE e USA e altrove da due imperi in espansione (Turchia e Cina), ma con un ruolo che cresce dell’Iran per un verso e di Israele per un altro. E ciò potrebbe spingere i “clienti” di ieri ad affrancarsi dal peso della Russia e cercare nuove alleanze, altre interdipendenze diverse da quelle attuali. D’altro canto, un’Asia centrale tornata contendibile attrae l’interesse di altre potenze, vecchie e nuove, desiderose di acquistare influenza e riadattare a proprio vantaggio i rapporti di forza nell’area.
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Nell’immediato sempre più voci – anche in Italia – chiedono “pace”. Giusto, mille volte giusto. Al riguardo segnalo una riflessione di Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio, ex ministro, storico: “Quando invochiamo la pace, non posso sentire dire che è una parola filo putiniana (…) Quando parlo di pace ho in mente soprattutto il popolo ucraino bombardato”, (…) L’invio di armi è giusto perché aiuta Kiev a difendersi, però crea solo un equilibrio nel conflitto, mentre ci vuole qualcosa in più, ci vuole la diplomazia della pace”. (…) Bisogna smarcarsi da una logica di guerra (…) La voce di Papa Francesco oggi sembra inascoltata. Dopo le parole del Papa, a Kiev è stato emanato un decreto in cui si vieta di negoziare con i russi. Non ho visto da nessuna delle parti il desiderio di trovare una strada di pace. E sono molto preoccupato perché nel mondo post globalizzato, le guerre hanno una fisionomia particolare: si eternizzano”. Per uscirne, “ci vuole la diplomazia. Non lo dice solo il Papa (…) Il dialogo non può essere lasciato all’escalation della propaganda di guerra”.
Di Riccardi vedi anche il suo intervento al festival Pace, Bellezza, Pienezza: “noi siamo tutti figli della pace, noi italiani almeno (…) oggi si parla con leggerezza della guerra mentre il pensiero si militarizza, della guerra come un game (…) si chiama guerra perché si finisce sotto terra”. Oggi i primi a finire sotto terra sono gli ucraini, poi gli invasori russi.
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È vero: non c’è pace senza reciproco impegno degli interlocutori, senza disponibilità a una discussione leale e sincera, senza volontà di accettare le inevitabili concessioni che nascono dal dialogo tra le parti. Ma talvolta si ha la netta e spiacevole impressione che noi – in particolare noi italiani – si chieda a Volodymyr Oleksandrovyč Zelens’kyj ciò che non riusciamo a chiedere né tantomeno a imporre a Vladimir Vladimirovič Putin. Siccome far sì che Putin tratti ci è impossibile allora pretendiamo che ad avviare le trattative sia Zelens’kyj (il rappresentante delle vittime), pronti a incolparlo se il negoziato non decolla. Dimenticando che Putin comanda, ha deciso questa guerra, la dirige e lui dice, anzi impone ai russi cosa devono o non devono fare, e fa molto male agli ucraini in casa loro. Zelens’kyj invece questa guerra la subisce e fino a un certo punto può ordinare agli ucraini quello che devono o non devono fare, e non si accanisce contro i russi in Russia. Nei fatti Zelens’kyj è un “io collettivo”, nel senso che anche in questo caso è “attore”, “recita la parte” che gli ucraini vogliono che reciti. In altre parole, non è Zelens’kyj a decidere se gli ucraini combattono oppure no, sono gli ucraini che lottano perché lo vogliono – a nostra grande sorpresa e talvolta ammirazione per il loro coraggio e la loro capacità di resistere e lottare. Per come si sono svolte finora le cose è manifesto che il principale ostacolo a una soluzione politico-diplomatica del conflitto sia stata finora la Russia. Putin e il regime russo hanno ignorato ogni tentativo serio di negoziato. Si sono serviti del miraggio del negoziato per meglio beffarci, per prendere tempo, per creare cortine fumogene. Nei fatti, a niente sono serviti gli incontri russo-ucraini che ci sono stati nei mesi scorsi. E d’altra parte tali incontri non hanno mai fermato le operazioni militari russe in Ucraina. Delle trattive segrete tra russi e americani sappiamo che esistono dai “bene informati”, ma nulla più.
Se avvicinarsi all’orizzonte della pace è “laborioso artigianato”, l’unica buona notizia è l’annuncio della conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina organizzata dal Ministero degli Affari Esteri olandese. Conferenza alla quale sono stati invitati rappresentanti governativi, aziende, organizzazioni della società civile e tutte le parti olandesi che sono già o vogliono essere coinvolte nella ricostruzione dell’Ucraina. Lo scopo è tenersi pronti per il “dopo la guerra” – un bel “pensare positivo” preventivo. “Ora e dopo la guerra, c’è un grande bisogno di aiuti finanziari, conoscenze e competenze”, hanno detto gli organizzatori. Tra gli argomenti che verranno discussi: il ruolo delle imprese e la creazione di piattaforme di partenariato pubblico-privato nei settori dell’agricoltura, dell’acqua e dell’assistenza sanitaria, oltre ad aiutare la popolazione ucraina a prepararsi per l’inverno.
4 Commenti. Nuovo commento
Giusta ed equilibrata analisi, bravo Morawski , è quello che spesso manca negli interventi partigiani e non
Di fronte all’ipocrisia diffusa, complimenti per una concreta sintesi della nostra tragedia !
[…] invasa? (quali russi, quando, come?). Ho espresso il mio punto di vista il 19 ottobre scorso in Pace, Pace, pace – l’orizzonte della pace. Si chiama guerra perché si finisce sotto terra. […]
[…] Pace, pace, pace – l’orizzonte della pace. Si chiama guerra perché si finisce sotto terra. […]