di Paolo Morawski A cento giorni dall’inizio della guerra di aggressione coloniale di Putin in Ucraina provo a mettere ordine negli appunti con qualche considerazione personale nel dolore per una guerra assurda e criminale che non si riesce a fermare. Il centro si è spostato a est. L’Ucraina, nel momento stesso in cui il 24 febbraio 2022 ha fatto irruzione nel nostro quotidiano e continua a condizionarlo, è diventata centrale: per la nostra attenzione quanto per i destini dell’Europa. Anche in Italia, da oltre tre mesi la nostra esistenza direttamente o indirettamente ruota intorno a ciò che accade in Ucraina e a ciò che decide innanzitutto Mosca, poi intervengono Washington e Bruxelles. Spostandosi il baricentro continentale verso est, la Polonia è diventata molto più importante. Ha fatto entrare e accolto nel paese circa 3,7 milioni di profughi ucraini (dati UNHCR) che hanno pacificamente attraversato le sue frontiere, e oltre la metà dei profughi non sono proseguiti altrove, si sono fermati in terra polacca, accolti generosamente dalla popolazione. Un moto di solidarietà mai visto che riguarda tutte le classi sociali. Lo stesso è accaduto in Ungheria nella quale sono entrati circa 690 mila profughi ucraini, in Romania (590 mila), nella Repubblica di Moldova (483 mila) e in Slovacchia (466 mila). Rispetto alla guerra il primo cerchio di solidarietà, dunque, è composto oltre che dalla Polonia, da Romania, Moldova, Slovacchia. Un secondo cerchio di accoglienza riguarda la Germania (780 mila), la Repubblica Ceca (360 mila). Un terzo cerchio di ospitalità comprende l’Italia (126 mila), la Spagna (110 mila), la Turchia (85 mila) e la Bulgaria (79 mila). L’Ungheria è un caso a parte: ospita i profughi ma non aiuta e non supporta l’Ucraina, al contrario rema contro – spettacolo indecoroso, purtroppo non isolato. I dati forniti dalla Federazione Russa (oltre un milione di profughi ucraini) meriterebbero una riflessione analitica ad hoc.
Immagini di fonte UNHCR. In azzurro la quantità dei passaggi di frontiera. In verde i singoli rifugiati dall’Ucraina registrati nei diversi paesi Immagine: in blu i paesi che il 27 febbraio 2022 avevano immediatamente chiuso il loro spazio aereo alla Federazione Russa. La Polonia in vario modo cerca di svolgere un ruolo europeo più significativo. È il paese attraverso il quale passano principalmente le armi all’Ucraina. Ed è la Polonia (insieme ad altri paesi dell’est europeo, paesi baltici in testa) che si fa spontaneo difensore della causa ucraina presso l’UE e nelle assise multilaterali, soprattutto in ambito NATO. Tutto ciò ha indubbiamente aumentato la rilevanza polacca agli occhi di USA, NATO, UE. Dall’inizio della guerra Varsavia cerca di instaurare un asse privilegiato con Kyïv. Il nuovo obiettivo a cui già si lavora in Polonia (con la Svezia) è promuovere e aiutare la (prossima?) ricostruzione dell’Ucraina. Tanto di cappello, ma, attenzione! Senza tutta l’UE, senza la spinta propulsiva di Germania, Francia e Italia (quella attuale di Draghi-Mattarella) si farà poco. Ciò per ricordare che gli europei slavi hanno bisogno degli europei romano-germanici. E viceversa. Resta lo “scandalo” delle polemiche polacche e ungheresi sullo Stato di diritto. Al riguardo l’UE non deve arretrare di un millimetro. E va risolto l’intoppo dei veti incrociati. L’unico modello europeo auspicabile, perché funzionante, è quello a maggioranza. Gioca a favore del riavvicinamento polacco-ucraino il comune giudizio (quanto mai negativo) sulla Russia e sulla rinnovata competizione geopolitica nell’area compresa tra il Baltico e il Mar Nero. E pure, aggiungerei, un’identica visione molto “nazionale”, per non dire “nazionalista” di quello che si vuole che l’Europa sia. Preoccupa non solo il ritorno del nazionalismo espansivo russo nelle sue attuali forme assassine, ma anche il propagarsi dell’idea che – in Europa – racchiudersi nelle proprie piccole patrie, statualità e lingue sia la soluzione migliore per non avere “rogne” e fare “passare la nottata”. Certamente così “la nottata” non passerà e avremo infinite “rogne”. Il centro si è spostato, oltre che a est, anche a nord-est. Se l’asse polacco-ungherese non fosse oggi spezzato (a causa delle scelte anti-Ue e anti-Nato e pro-Russia di Budapest) avremmo oggi un tentativo di asse Kyïv-Varsavia-Budapest. Invece la guerra ha rinforzato l’identità di vedute tra Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia. Dell’inclinazione svedese a favore della rinascita ucraina si è già accennato. Con la volontà di adesione di Finlandia e Svezia alla Nato l’area Baltica ha acquisito nuova centralità e “personalità”, come effetto “imprevisto” dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia (vedi). Tra Stoccolma, Helsinki, Tallinn, Riga, Vilnius e Varsavia (da aggiungere Berlino – e pure Copenaghen, Oslo?) si addenserà probabilmente una nuova area di interessi coesivi, basati purtroppo per ora soprattutto su logiche politico-militari, ma già ora anche su comuni problematiche energetiche. È indubbiamente una situazione completamente nuova che corre parallela alla russificazione militarizzata del Mare d’Azov e di parti dell’Ucraina. Il vecchio mondo post 1989-1991 non fa in tempo a finire che già nascono e si rafforzano nuove costellazioni.
Immagine: Nel 2050 un Baltico più coeso? Scenari europei Se ciò che fino a ieri chiamavamo Europa dell’est si è spostato verso est, il 24 febbraio scorso noi italiani-europei occidentali abbiamo preso definitivamente atto del fatto che oltre l’UE c’è un Nuovo Est (NE) che – visto da occidente – comincia dopo l’Ucraina, alle frontiere della Bielorussia (purtroppo per i bielorussi “prigionieri” del regime di Lukašėnka) e poi della Russia (purtroppo per i russi “prigionieri” del regime di Putin) e che comprende disgraziatamente (per ora?) parti dell’Ucraina orientale e marittima conquistate dalla Russia a partire dal 2014 e poi ancora in questo terribile anno 2022. La novità epocale è che la Russia (Federazione Russa) in questo ultimo decennio-ventennio si è staccata dal resto dell’Europa. Dapprima si è trattato di un allontanamento e di un’opposizione progressivi, adesso la contrapposizione è netta, radicale, a lungo termine (anche se si vorrebbe sperare non definitivamente). L’Europa e il blocco occidentale hanno certamente commesso errori in questi trent’anni, dovuti tra l’altro al “complesso di vittoria” per la caduta dei Muri, per l’implosione dell’URSS e del suo impero. Ma chi ha ritratto la mano, come ci si ritrae davanti al diavolo e ai suoi gironi infernali, è stata negli ultimi vent’anni la classe dirigente russa. E che ora attacca quel diavolo immaginato con proiettili, bombe, missili. Immagine: l’Europa divisa, di Nicola Morawski © Tra UE/NATO e Russia ora corre una nuova Cortina di guerra, che riecheggia e innova la cortina di ferro della Guerra fredda. Celebre è l’affermazione del marzo 1946 di Winston Churchill: “Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente” (ascolta). Il Nuovo Est attacca e si distacca, l’Europa si sposta a est, il Centro esplode, che fa l’Ovest?