Distanze mentali e storico-culturali da sanare, nuovi muri
Immagine di copertina: dettaglio da Francisco de Goya y Lucientes, Saturno, 1820-1823, Técnica mixta sobre revestimiento mural trasladado a lienzo, Museo del Prado.
Intervistata su varie questioni di attualità (La Stampa, 15 ottobre 2022), Kasia Smutniak, attrice polacca che vive in Italia, partendo dalla propria biografia ha riproposto alcune questioni di carattere generale su cui vale la pena soffermarsi.
L’intervistatrice Fulvia Caprara le chiedeva un’opinione sulla borghesia italiana. Kasia Smutniak – che si trovava alla Festa del Cinema di Roma per presentare Il Colibrì di Francesca Archibugi, un film che narra di una certa borghesia italica – risponde: “La borghesia in Polonia è diversa, ho avuto percorsi differenti e non posso giudicare quelli degli altri. Sono cresciuta dall’altra parte del Muro, in un edificio post-comunista (…) Quando il Muro è caduto avevo dieci anni, non posso comprendere le dinamiche di una classe [italiana] che non conosco”. E aggiunge: “così come voi non potete comprendere me” (lei polacca, figlia di un generale dell’aviazione polacco). Fulvia Caprara allora le chiede: “le sue origini polacche influiscono sul modo in cui vede la guerra tra Russia e Ucraina?” Risposta: “la mia famiglia abita a 40 chilometri dal confine ucraino. La guerra in Polonia viene percepita in una maniera diversa [da come è percepita in Italia]. È una minaccia reale. Non sono delle belle parole, non sono solo delle possibilità messe lì”. Poi, ragiona: “Non basta fare una marcia per la pace. E dire ‘pace’ è comunque troppo generico. Si riesce sempre a restare in una zona grigia, senza esporsi troppo”.
Un tema, quello della pace, cui anche Poli-logo ha contribuito per esempio qui.
Dai dettagli delle vicende personali si possono estrapolare, anche esagerandole a scopo di discussione, alcune questioni non prive di significato:
Primo punto: trent’anni dopo la cosiddetta caduta dei Muri una ragazza polacca che ben conosce l’Italia insiste sulla reciproca non-comprensione tra chi sta qui (Italia) e chi sta lì (Polonia). Non ci si capisce tra Italia e Polonia perché si hanno (o si sono avuti) trascorsi e percorsi diversi, non si intende né comprende (o non si ha voglia di intendere e comprendere) la realtà dell’altro, non si hanno le coordinate giuste per capirsi e giudicarsi a vicenda. Tradotto in altro linguaggio: persistenza di un divario mentale e storico-culturale tra due paesi lontani: il paese che sta da questa parte delle Alpi e il paese che sta sulle rive della Vistola. Vale per la coppia Italia-Polonia ma sembra valere per il più generale binomio Ovest-Est.
L’Europa tradizionale per macro-regioni geografiche. Nelle usuali rappresentazioni storico-politiche ancora d’uso nonostante la Guerra fredda sia finita tre decenni fa, l’Europa è divisa in soli due settori: l’Ovest (che include Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia) e l’Est (che comprende genericamente tutti i paesi che stanno a est di Italia, Austria, Germania).
Il secondo punto riguarda la diversa percezione della guerra, i diversi significati delle parole “guerra” e “pace”, il fatto che laggiù (in Polonia, in Ucraina, all’Est) “guerra” e “pace” non sono solo parole (concetti, suoni, astrazioni) ma si riferiscono a dure, concrete, tangibili realtà, a minacce reali (in Ucraina in primis). Vale laggiù all’Est, vale – aggiungo – sul Baltico, per esempio in Svezia. A proposito di situazioni e percezioni differenti colpisce questo esempio. Il 17 ottobre scorso la SVT (Sveriges Television), l’Emittente televisiva pubblica svedese, ha annunciato che tutti i suoi dipendenti a tempo indeterminato riceveranno un addestramento militare (si, militare! sic!) in reazione a come sta evolvendo la guerra di aggressione della Russia in Ucraina e del deterioramento della situazione della sicurezza in Europa. “Indipendentemente dalla posizione nel Paese, il lavoro giornalistico e le trasmissioni devono funzionare e noi lavoriamo costantemente per migliorare la preparazione di SVT”, ha scritto l’Amministratrice Delegata Hanna Stjärne sul sito web dell’Emittente. Sul Baltico, dunque, la guerra è presente e percepita in maniera molto differente rispetto a noi. Pertanto laggiù ci si prepara “freddamente”, si fanno scenari alternativi, si elaborano ipotesi di possibili azioni, si attuano cambiamenti preventivi con “razionalità”. Quali che siano i prossimi mesi, la SVT ha deciso di rafforzare ulteriormente il livello di preparazione dei propri dipendenti, di potenziare la propria capacità di pubblicare notizie e produrre programmi credibili come in tempo di pace anche in tempi di eventuale crisi ed eventuale guerra – ovviamente non sia mai (corna!!). La questione si pone (viene presentata come posta) in termini di “precauzione”. Si cerca di “anticipare” un’emergenza possibile.
Sempre in tema di realtà e percezioni differenti si può citare il caso della Finlandia che ha deciso di costruire nei prossimi quattro anni una recinzione in acciaio dotata di sorveglianza tecnologica di 260 chilometri lungo il suo confine orientale (che è di 1.300 chilometri) con la Federazione russa, in ciò seguendo le misure già adottate dai vicini Norvegia ed Estonia. A che scopo ci si può chiedere? Non si vuole fermare alcuna invasione (figuriamoci!), piuttosto si tratta – dicono le autorità – di controllare e incanalare ogni eventuale afflusso eccezionale di persone desiderose di entrare in Finlandia. Un simile scenario è reputato possibile a causa vuoi di conflitti interni alla Russia vuoi di deliberate operazioni ibride. Un precedente si è avuto nell’inverno 2014-2015, quando la Russia è stata accusata di aver inviato richiedenti asilo verso la Finlandia per “testare” la resistenza delle frontiere finlandesi. Anche in questo caso colpisce la logica messa in evidenza: non c’è dichiarato spirito di conflitto, non ci si presenta ammantati di ideologia bellicista, ma, strategicamente, prudentemente, si tratta di “prepararsi in anticipo” ad eventuali paventati accadimenti – ancorché il messaggio non solo simbolico che la recinsione invia sia estremamente allarmante e negativo.
Ciò ci riporta alla Bielorussia. “Il primo segnale della guerra in Ucraina è stato l’attacco del presidente bielorusso Lukashenko al confine polacco”, ha dichiarato nel luglio scorso il premier polacco Mateusz Morawiecki. Le autorità di Varsavia hanno più volte ribadito che Minsk ha “usato i migranti come strumento per innescare tensioni” e ciò dal 2021, quando migliaia di persone, per lo più provenienti dal Kurdistan iracheno, hanno cercato di entrare in Polonia, Lituania e Lettonia attraverso il Paese ex sovietico, peraltro uno dei principali alleati della Russia di Vladimir Putin. Di conseguenza Varsavia invoca il diritto a “difendersi” (il diritto alla difesa) dalle provocazioni bielorusse; le quali, già prima della guerra in corso, si immaginavano studiate a tavolino con la complicità o comunque l’accordo di Putin per mettere sotto pressione l’Europa. La crisi del 2021-2022 ha coinvolto direttamente Bielorussia e Polonia, ma, poiché la Bielorussia ha affermato che la sua era una “risposta” alle sanzioni dell’UE e poiché la Polonia è membro dell’UE, di fatto la contrapposizione è tra l’UE e la Bielorussia; anzi la Bielorussia-Russia (la Russia essendo alleata e principale sostenitrice della Bielorussia). Le sanzioni contro la Bielorussia da parte dell’UE, va ricordato, si sono acuite dalla seconda metà del 2020 quando l’UE ha attuato una linea dura contro l’autoritarismo del presidente della Bielorussia Lukašėnka, la palese violazione dei fondamenti diritti umani e le vessazioni subite da oppositori e dissidenti bielorussi. Colpito dalle sanzioni, Lukašėnka ha dichiarato che il suo Paese avrebbe cessato di collaborare con l’UE nella lotta all’immigrazione clandestina; quindi, ha consentito ai migranti provenienti dal Medio Oriente e dall’Asia di transitare per la Bielorussia, “scortando” carovane di migranti e spingendo questo inedito flusso migratorio (subito in aumento) verso gli Stati europei confinanti. Polonia e Commissione Europea hanno allora accusato la Bielorussia di aver messo “deliberatamente” in pericolo la vita delle persone e di aver fomentato una crisi alle frontiere nel tentativo di distogliere l’attenzione dalla situazione in Bielorussia, quindi di “utilizzare”i migranti come arma per costringere l’Unione a revocare le sanzioni. A nulla è valso il fatto che tra le persone bloccate alla frontiera polacca si contassero numerosi bambini, famiglie e altre persone vulnerabili. I rifugiati sono stati duramente respinti.
Inutile aggiungere che oggi tutta l’attenzione polacca è diretta ai profughi ucraini e che le principali chiavi di lettura polacche sono incentrate sulla guerra della Russia in Ucraina. Ecco quanto si legge sul sito del Governo polacco nella sezione dedicata alla frontiera orientale (mia traduzione): “Negli ultimi mesi, il regime bielorusso ha intensificato la sua guerra ibrida contro l’Unione europea. Questo fa parte dello scenario delineato da Mosca, che prevede l’aggressione militare diretta della Russia contro l’Ucraina. La violazione dei confini e l’indebolimento della sovranità ucraina minano l’ordine sociale, politico ed economico stabilito finora. Queste azioni minacciano direttamente anche la sicurezza della Polonia e dell’intera Unione Europea. In un momento di crisi politica e umanitaria, la comunità internazionale deve rimanere unita e la sua risposta inequivocabile: non c’è il nostro consenso alla violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina e del diritto internazionale”.
Capire (nel senso di acquisire informazioni e punti di vista, afferrare con la mente) ciò che accade intorno alla Bielorussia, le diverse percezioni e motivazioni dei protagonisti non significa necessariamente comprendere (nel senso di dare ragione, scusare, accogliere emotivamente) i comportamenti fin troppo brutali delle forze di respingimento polacche. Le partite di scacchi che si giocano intorno alla Bielorussia si giocano comunque e purtroppo sulla pelle di persone in carne e ossa: umani, non pedine-oggetto. Il risultato combinato del cinismo bielorusso e di tanti muri d’acciaio, blocchi agli ingressi e respingimenti da parte polacca è semplicemente poco umano, orribile: decine di morti tra la Bielorussia e la Polonia, centinaia di rifugiati per lo più asiatici bloccati nei boschi tra due paesi in condizioni di gelo e di “caccia all’uomo”. A una persona di buon senso pare veramente incredibile che l’intelligenza umana non sia capace di escogitare soluzioni meno dolorose.
Le associazioni per i diritti umani hanno giustamente accusato Varsavia di adottare due pesi e due misure per le diverse tipologie di profughi e migranti. E persino la Chiesa cattolica ha preso nettamente posizione contro questa situazione. Ma poiché anche la propaganda russo-bielorussa ha abilmente amplificato le accuse al governo di Varsavia di alimentare violenze contro persone indifese, tali accuse sono state rubricate dai diretti interessati polacchi come, appunto, propaganda funzionale a “fare il gioco di Mosca”. Essendo “inaccettabile” la strumentalizzazione dei migranti messa in atto da Minsk, Varsavia ha continuato a costruire recinzioni d’acciaio anti-migranti (vedi il video), di fatto erigendo nuovi muri tra paesi vicini, confinanti, che vanno a rafforzare la nuova cortina di guerra che il Cremlino impone con la sua guerra.
Da questa breve per quanto parziale ricostruzione si può facilmente dedurre una volta di più quanto siano peculiari le prospettive viste da Varsavia o Riga, Vilnius, Tallinn. La peculiarità sta anche nel fatto che in tutta quell’area del nord-est europeo si fanno non da oggi, bensì da anni, anzi decenni (per non chiamare in causa i secoli) i conti con la visione imperiale/coloniale di Mosca (e oggi di Minsk in via subordinata). Un aspetto su cui tornare.
A commento delle drammatiche scene di migranti bloccati in una no man’s land senza servizi, né cibo, e al freddo, tra due eserciti che puntano loro le armi addosso, il dettaglio da Francisco de Goya y Lucientes, El 3 de mayo en Madrid o “Los fusilamientos”, 1814. Óleo sobre lienzo, Museo del Prado.
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[…] Occupied s’interroga su una situazione politica “irreale”, quella dell’occupazione della Norvegia da parte di una forza straniera. La Norvegia smette di estrarre petrolio e la Russia la invade: questo è lo scenario della serie andata in onda alla televisione norvegese nel 2015, quindi pensata prima del 2015, certamente anche sotto l’impatto dell’annessione della Crimea nel 2014. La trama è rivelatrice delle ansie e degli spettri che agitano l’immaginario dell’area scandinava – (a proposito di differenze di mentalità e differenti percezioni tra Est e Ovest del continente. […]