Distorte, inesatte, incomplete, omesse, non vere, false informazioni e false “verità” circolano
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Nona Mikhelidze, specialista dello IAI-Istituto Affari Internazionali, è intervenuta di recente –– qui e poi qui e ancora qui e a concludere qui –– per confutare, tra l’altro, alcune idee che circolano nel dibattito italiano (vedi qui e qui) sulla questione dei (supposti) “crimini di guerra commessi in Donbas da truppe regolari ucraine e milizie neonaziste contro le popolazioni russofone”, alcuni accusati di essere “responsabili dell’uccisione di massa di prigionieri, occultamento di cadaveri nelle fosse comuni e uso sistematico di tecniche di tortura sui prigionieri politici a Donetsk e Lugansk”, crimini che sarebbero avvenuti nel periodo 2014-2022, tra la presa russa della Crimea fino alla vigilia dell’invasione russa di tutta l’Ucraina.
Scrivo “supposti” perché nel confutare tali accuse l’analista scrive che quei crimini relativi a quel periodo sono per la precisione “una delle disinformazioni più diffuse nel mondo”, opera della falsa propaganda russa e delle operazioni di disinformazione filo-russe. Ovviamente, non si tratta di negare a priori che anche soldati e civili ucraini possano essersi resi colpevoli di crimini contro cittadini russi e/o altri cittadini ucraini filo russi. Si tratta semplicemente di ancorare ogni affermazione e accusa a dati precisi e prove inconfutabili; quindi di separare il grano (fatti reali) dal loglio (dicerie, propaganda, mala informazione, disinformazione) e di non lasciarsi fuorviare dagli schemi delle narrazioni propagandistiche russe (vedi qui e qui).
Per ulteriori approfondimenti sul caso specifico e in generale su alcuni aspetti problematici del pubblico dibattere sull’Ucraina nei media italiani leggi qui. Vedi anche qui e poi qui e ancora qui, quindi qui e prosegui qui, infine vedi qui e poi qui e ancora qui, in precedenza qui e ulteriormente qui, e infine qui.
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Tornando al contributo di Nona Mikhelidze, a supporto della sua circostanziata opera di “de-bunking” –– (sul tema debunking disinformation si può leggere qui e anche qui oppure qui) –– l’analista dello IAI cita (fra i tanti possibili) alcuni testi e siti di riferimento che vale la pena di riportare anche solo a fini di documentazione:
- Il rapporto del 27 gennaio 2022 dell’Office of the UN High Commissioner for Human Rights (OHCHR), Conflict-related civilian casualties in Ukraine. In riferimento al periodo gennaio 2019-fine dicembre 2021 (dunque, prima dell’invasione del febbraio 2022), il rapporto fornisce i numeri sulle vittime civili e militari da entrambi i lati del conflitto avviato nel 2014. L’OHCHR stima che il numero totale di vittime collegate al conflitto in Ucraina da entrambe le parti, nei territori controllati sia dalle autorità ucraine sia dai separatisti appoggiati dalla Russia, dal 14 aprile 2014 al 31 dicembre 2021 ammonti a 51.000-54.000 persone di cui 14.200-14.400 morti (almeno 3.404 civili, inclusi i 298 morti a bordo del volo MH17 della Malaysian Airlines abbattuto dalla parte russa o pro-russa il 17 luglio 2014) e 37-39.000 feriti (di cui 7.000-9.000 civili). Questi dati sono importanti per confutare chi afferma che gli ucraini hanno ucciso 14 mila vittime nell’Ucraina orientale (accusa di preteso genocidio), mentre la cifra si riferisce a tutte le vittime del conflitto, compresi i soldati ucraini uccisi da russi e filorussi.
- OSCE-Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, Special Monitoring Mission to Ukraine (closed). La Missione speciale di monitoraggio dell’OSCE in Ucraina (SMM) ha iniziato le sue attività il 21 marzo 2014 e ha cessato le sue operazioni il 31 marzo 2022. Qui tutta la documentazione prodotta. Vedi tra l’altro la sezione Trends and observations from the Special Monitoring Mission to Ukraine.
- il rapporto dell’OECD-Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico, rapporto pubblicato il 3 novembre 2022 e intitolato: Disinformation and Russia’s war of aggression against Ukraine. Threats and governance responses, disponibile anche in pdf. Il rapporto è utile anche perché sulla base dell’analisi di oltre 220 siti Web stila un elenco delle disinformazioni più comuni e dei miti più diffusi sull’Ucraina nel mondo.
- Il sito EUvsDisinfo che nasce come progetto di punta della task force East StratCom del Servizio europeo per l’azione esterna. Istituito nel 2015 per meglio prevedere, affrontare e rispondere alle continue campagne di disinformazione della Federazione russa che colpiscono l’Unione Europea, i suoi Stati membri e i Paesi del suo vicinato, EUvsDisinfo ha per obiettivo principale quello di aumentare la consapevolezza e la comprensione da parte dell’opinione pubblica delle operazioni di disinformazione del Cremlino e di aiutare i cittadini europei (non solo europei) a sviluppare capacità di resistenza alla manipolazione dei media digitali.
- Report of the Legal Review Panel on the Amnesty International Press Release concerning Ukrainian fighting tactics of 4 August 2022. Questo rapporto redatto da un gruppo di esperti indipendenti è stato commissionato da Amnesty International stessa per verificare se precedenti affermazioni fatte da Amnesty International – che accusava le forze ucraine di mettere illegalmente in pericolo i civili durante i combattimenti contro la Russia – fossero legittime e fondate. La commissione indipendente dopo verifica è stata costretta a rivedere quelle accuse giungendo alle seguenti considerazioni: “La conclusione secondo cui le forze ucraine non hanno preso precauzioni nella massima misura possibile per proteggere i civili nelle loro aree operative è stata formulata in termini eccessivamente enfatici e categorici, soprattutto considerando l’assenza di informazioni da parte degli ufficiali ucraini sulle possibili ragioni della presenza delle truppe ucraine in quel territorio”. La commissione “ritiene che Amnesty International non avesse a disposizione informazioni sufficienti per affermare in modo categorico che le evacuazioni dei civili fossero fattibili da parte delle autorità ucraine, date le circostanze, e quindi che l’Ucraina avesse violato i suoi obblighi secondo il diritto umanitario internazionale.” Inoltre ritiene che “la conclusione secondo cui le forze armate ucraine hanno violato il loro obbligo di prendere precauzioni passive non emettendo avvertimenti non fosse sufficientemente supportata dalle evidenze/materiali”.
Uno dei miti più ricorrenti relativi all’Ucraina riguarda la “ovvia”, “naturale”, “scontata” propensione pro-russa degli ucraini parlanti russo o di origini russe, abitanti in maggioranza nella parte orientale e sud-est del paese. Come se parlare russo fosse equivalente a cultura russa e anche a nazionalità russa, come se parlare in russo significasse identificarsi automaticamente con la Russia. Chi lo pensa nega una delle grandi ricchezze dell’Ucraina: il suo bilinguismo, la sua multiculturalità, il fatto che si può essere cittadini ucraini essendo originari di o appartenendo ad ambienti etnicamente differenziati, distinti anche sul piano linguistico e/o religioso. Si può essere russi e ucraini, ucraini e russi. Inoltre, se vi sono innumerevoli differenze (politiche, culturali, ambientali, storiche, economiche) da regione a regione, al tempo stesso gli ucraini in stragrande maggioranza dal 1991 si tengono insieme. Senza gli interventi armati russi in Crimea e in Donbas c’è da dubitare che le spinte secessioniste avrebbero potute prevalere.
Un’importante disamina di Nona Mikhelidze riguarda appunto il tema delle popolazioni “russe/russofile/russofone”, parole che – giustamente evidenzia l’autrice – non sono sinonimi. “Iniziamo dal fatto che dal 1991 tutti sono cittadini dell’Ucraina e hanno espresso la volontà di esserlo nel referendum, in cui il 90,32% della popolazione ha votato «sì» all’indipendenza. I risultati per le regioni sono interessanti: le regioni di Donetsk hanno votato «sì» con il 76,85%, le regioni di Lugansk con l’83,86% e la Repubblica autonoma di Crimea (che ha sempre avuto autonomia anche quando è stata annessa dalla Russia) con il 54,19%”. Ora – prosegue Nona Mikhelidze – “facciamo chiarezza su «russi/russofoni/russofili»: complessivamente, il 77,8% della popolazione ucraina si auto-identifica come etnicamente ucraina e il 17,3% come etnicamente russa. La composizione etnica dei territori annessi/occupati dalla Russia nel 2014 era la seguente:
- nella regione di Donetsk, gli ucraini rappresentavano il 56,9% e i russi il 38,2%;
- nella regione di Lugansk, gli ucraini erano il 58% e i russi il 39%;
- in Crimea, i russi costituivano il 58,5%, gli ucraini il 24,4% e i Tartari Crimeani l’12,1% (dalla maggioranza di tartari [di un tempo] è rimasta questa percentuale dopo che Stalin ha deportato quasi 195.000 tartari in Asia centrale).
Per quanto riguarda la divisione linguistica, la maggioranza della popolazione dell’est e del Sud-est dell’Ucraina, prima dell’invasione su larga scala del 24 febbraio, utilizzava il russo come lingua predominante. (…) Ora, la popolazione stessa spesso si rifiuta di parlare in russo”. Alla domanda: “Parlare russo non significa essere russofilo e votare automaticamente per i partiti pro-Russi? Mikhelidze risponde no. “Alle elezioni presidenziali, Zelensky ha ottenuto l’87% dei voti nella regione di Odessa (85% di russofoni) e l’86% nella regione di Kharkiv (74% di russofoni), e così via. In generale, basta leggere e guardare le storie di resistenza della popolazione di Kharkiv, Odessa, Mykolaiv durante l’invasione russa, per capire il senso di appartenenza di questo popolo”.
Sulla legge dell’aprile 2019 approvata dal Parlamento ucraino che rende l’ucraino la lingua ufficiale dello Stato da usare negli uffici pubblici, vedi – segnalato da Gianluca Lo Nostro, del Foreign Desk del Giornale.it e collaboratore di InsideOver – il parere del Council of Europe, Venice Commission, Ukraine – Opinion on the Law on Supporting the Functioning of the Ukrainian Language as the State Language, adopted by the Venice Commission at its 121st Plenary Session (Venice, 6-7 December 2019), Strasbourg, 9 December 2019 (Opinion No. 960 / 2019). Il documento contiene raccomandazioni riguardanti le minoranze nazionali e le popolazioni indigene in Ucraina.
Una notazione di Nona Mikhelidze è dedicata all’accusa riguardante la cosiddetta “assenza di pluralismo nel dibattito” in Italia e il supposto “pensiero unico” sull’Ucraina in Italia. “Le considero” – scrive la ricercatrice dello IAI – “un’offesa nei confronti di più di 500 prigionieri politici e rappresentanti della società civile russa attualmente detenuti, che sono le vere vittime dell’assenza di pluralismo. Penso a Valodja Kara-Murza, condannato a 25 anni di carcere, al quale non viene permesso di parlare al telefono con suo figlio di 11 anni nemmeno per un minuto da oltre un anno, e alla nonna di 90 anni che, nonostante la sua età, crede ancora di poter riabbracciare suo nipote perché crede nella vittoria dell’Ucraina, l’unica speranza per i russi di avere un futuro diverso da quello attuale”.
Nona Mikhelidze Responsabile di ricerca, IAI-Istituto Affari Internazionali. Ha conseguito il suo dottorato in Scienza della Politica presso la Scuola normale superiore di Pisa e un master in “Regionalismo: studi sull’Asia centrale e il Caucaso” all’Università Humboldt di Berlino, dove ha ottenuto una borsa di studio come ricercatrice dalla Fondazione Volkswagen. Ha ottenuto diploma universitario e laurea in “relazioni internazionali” dall’Università statale di Tbilisi. Dal 2017 al 2020 ha diretto il Programma Eurasia dello Istituto Affari Internazionali. Dal 2020 scrive per La Stampa su Russia e spazio post-Sovietico. I suoi interessi abbracciano la politica europea di vicinato e la risoluzione dei conflitti nel Caucaso meridionale, il Mar Nero e la cooperazione regionale, la Turchia e la regione del Caspio, la politica estera russa post-sovietica.
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