Un profilo di Józef Czapski
di Andrea Ceccherelli
E’ disponibile nelle librerie il libro-testimonianza di Józef Czapski, La terra inumana, a cura di Andrea Ceccherelli, traduzione di Andrea Ceccherelli e Tullia Villanova, Adelphi Edizioni, Milano 2023.
Dalla scheda dell’Editore: “14 agosto 1941: a meno di due mesi dall’aggressione tedesca dell’Unione Sovietica, e solo due anni dopo la sottoscrizione del patto Molotov-Ribbentrop – che in un «protocollo segreto» aveva stabilito la spartizione della Polonia –, a fronte della minaccia nazista viene firmato l’accordo militare fra Stalin e Sikorski per la costituzione, sul territorio dell’URSS, di un’armata polacca composta da soldati in precedenza fatti prigionieri dai sovietici e deportati. All’inizio di settembre Józef Czapski, che ha servito come ufficiale nell’esercito polacco ed è stato internato dapprima a Starobel’sk e poi a Grjazovec, viene dunque liberato insieme ai suoi compagni dopo «ventitré mesi dietro il filo spinato». È l’inizio di un’odissea che porterà Czapski ad attraversare l’intera Unione Sovietica – e gli eventi più estremi del secolo scorso – con l’incarico di indagare sui quindicimila prigionieri polacchi che sembrano scomparsi nel nulla (e che verranno in parte rinvenuti, nel 1943, nelle fosse comuni di Katyń. Un’odissea qui raccontata in presa diretta e in ogni – spesso sconvolgente – dettaglio: dall’esodo in condizioni disumane di militari e civili alle atroci testimonianze dei reduci dai campi, dall’incontro con il capo della Direzione centrale dei lager («padrone della vita e della morte di qualcosa come venti milioni di persone») ai contatti con le popolazioni. Esperienze che, per Czapski, diventano anche «una lenta, quotidiana iniziazione all’immensità della miseria umana».
Per gentile concessione dell’Editore e dell’autore pubblichiamo un estratto della postfazione di Andrea Ceccherelli:
“Józef Czapski aveva quarantatré anni quando si ritrovò nella «terra inumana» e quarantasei quando ne uscì: in mezzo, «ventitré mesi dietro il filo spinato» dei campi di prigionia, e poi un anno «in libertà» in vari luoghi dell’URSS dopo che tutti i polacchi imprigionati dai sovietici nel ’39 mentre combattevano contro Hitler vennero liberati nel ’41 per… combattere contro Hitler, divenuto nel frattempo un nemico. Quasi tutti, in realtà, giacché nel 1940 molte migliaia erano state segretamente eliminate dall’NKVD, il famigerato commissariato del popolo per gli Affari interni, capitanato da Berija. Proprio della ricerca e poi della difesa della «verità su Katyń», il villaggio vicino a Smolensk divenuto, come pars pro toto, simbolo dell’eccidio, Czapski farà la sua missione principale. Sarà lui a stilare i primi elenchi di ufficiali scomparsi, lui a dirigere l’ufficio appositamente creato per le loro ricerche, lui a mettersi in viaggio per interpellare i vertici del Gulag e dell’NKVD quando «non potevamo ancora immaginare che fossero possibili eccidi di massa di prigionieri di guerra», lui a incaricarsi di smontare il negazionismo sovietico dopo la scoperta delle fosse comuni a Katyń nel 1943.
Si noti: i sovietici chiamarono la liberazione dei prigionieri polacchi «amnistia» – tipico caso di orwelliana neolingua, a meno che non si consideri un crimine la difesa della patria. Similmente, è newspeak l’invasione dei territori orientali della Polonia presentata come «liberazione». Potremmo anche consegnare serenamente questi dettagli terminologici agli archivi della storia, se non fosse per la lunga durata della consuetudine sovietica di manipolare la lingua, ancora oggi evidente. Perfino il termine «Grande Guerra Patriottica» non è forse spesso usato strumentalmente per mascherare il fatto che proprio Stalin, accordandosi in segreto con Hitler ai danni della Polonia, contribuì in maniera decisiva a far scoppiare quella guerra, che nei primi due anni – prima di costare milioni di vittime e diventare «patriottica» – fu per l’URSS una normale operazione di conquista imperialistica?
La stessa metafora che dà il titolo a questo libro potrebbe essere liquidata come una cosa riferita al passato, se il suo valore fosse solo e soltanto storico, limitato all’Unione Sovietica di Stalin. Eppure la sua icasticità è tale da renderla universalmente applicabile a ogni sistema totalitario in cui l’annientamento dell’essere umano sia praticato scientemente e in modo sistematico.
La terra inumana, pur scritta fra il 1942 e il 1947, appare ancora oggi come un’opera di straordinaria attualità, che può essere letta come testimonianza e come monito. «Considerate se questo è un uomo» sembra dire anche Czapski, in un contesto diverso ma egualmente totalitario.
Fra il 1939 e il 1942 Czapski conosce la «terra inumana» a vari livelli, dalla gente comune nei treni, nelle stazioni e nei villaggi, agli agenti e ai funzionari dell’NKVD, fino ai vertici del Gulag, percorrendola in lungo e in largo, dall’Ucraina alla Russia del Nord, dalla regione del Volga all’Uzbekistan, senza tralasciare Mosca, e ascoltando un’infinità di storie emerse dai gironi più profondi dell’inferno carcerario e concentrazionario: «una lenta, quotidiana iniziazione all’immensità della miseria umana».
Nel momento in cui decide di comunicare quanto ha visto e sentito, s’imbatte in un problema che è in parte responsabile del lungo e discontinuo processo di stesura del libro: come scrivere «di fronte all’estremo» (Todorov)? Come mettere su carta un’esperienza al limite dell’esperibile, di più: del verosimile? «Questo nessuno lo può capire» scrive Czapski. «Ci vorrebbe uno scrittore di genio, un grande osservatore, un nuovo Tolstoj o un nuovo Proust, russo o polacco, capace di descrivere ciò che in Russia è presente ovunque e in ogni istante, e si rivela nella vita normale, di tutti i giorni, in un piccolo gesto o in uno sguardo che non si dimentica. Non parlo dei disagi, o della fame: queste sono cose meno importanti rispetto a un tale annientamento degli esseri umani».
La dilogia memorialistico-saggistica formata dai Ricordi di Starobielsk (1944) e dalla Terra inumana, (1949) è fra le prime e più autorevoli testimonianze sull’universo concentrazionario sovietico. La scrittura di Czapski è asciutta, concreta, e al tempo stesso vivace, sciolta, non artefatta, un distillato di osservazione e memoria depurato da ogni pathos. Non vuole suscitare una reazione estetica, ma etica. Anticipando Šalamov e Solženicyn, Czapski fornisce una testimonianza letteraria e insieme documentaria su quell’immensa prigione che era l’Unione Sovietica. E per questo è passato alla storia: senza l’esperienza dell’estremo, avrebbe proseguito la carriera artistica intrapresa prima della guerra e sarebbe oggi uno dei tanti pittori più o meno dimenticati. La sua eccezionalità è data invece proprio dal ruolo di testimone che suo malgrado la storia gli cucì addosso, e che egli si assunse con straordinario rigore morale, slancio umano e assenza di animosità, tratti che chi lo ha conosciuto gli attribuiva non solo nella scrittura, ma anche nella vita.
Ma chi era, che cosa faceva Józef Czapski prima del 1939? Difficile racchiudere la sua formazione in categorie univoche: per ceto lo si può definire un aristocratico, per nazionalità un polacco, per religione un cattolico, ma ciascuna di queste etichette gli sta stretta se intesa in senso convenzionale. Era tutte queste cose, ma in modo aperto, quali parti di un’identità non contrappositiva che accoglieva la diversità – sociale, etnica, religiosa – come un arricchimento, un inter e non un contra.
Nato nel 1896 in una nobile famiglia di sangue germanicoslavo con importanti connessioni in tutta l’Europa centro-orientale, cosa di cui non si fece mai vanto, era immune da ogni tipo di snobismo, quale invece si riscontra in una certa polonità. D’altra parte, anche come polacco era abbastanza sui generis. Europeo dell’Est nel senso in cui lo intende Miłosz nella Mia Europa, la sua piccola patria era un pezzo di terra in Bielorussia”…
(continua).
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Su Józef Czapski vedi anche Giuseppe Caccavale Riscoprire Józef Czapski. Scritti, appunti, schizzi, disegni, tele, acerbità cromatiche e drammi del Novecento.
Alcune recensioni
- Stenio Solinas, La Polonia prima decimata poi prigioniera e arruolata, “il Giornale.it”, 18 Marzo 2023
- Wlodek Goldkorn, La triste Odissea del soldato Józef Czapski tra Mosca e Varsavia, “la Repubblica”, 12 marzo 2023
- Diego Gabutti, Russia, l’opposto della civiltà, “ItaliaOggi”, 11 marzo 2023
- Francesco M. Cataluccio, Un viaggio disperato alla ricerca di 15.000 prigionieri polacchi scomparsi, “il Foglio”, 4 marzo 2023
- Alessandro Zaccuri, Giustizia per Katyn’: la lotta di Józef Czapski, “Avvenire”, 21 febbraio 2023
- Dario Prola, Józef Czapski, ritratto del disonore, una mortificazione della spiritualità russa, “il manifesto”, 19 febbraio 2023
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