Una tragedia dalla Polonia del Cinquecento
di Andrea Ceccherelli
Pubblichiamo per gentile concessione dell’Autore e della casa Editrice Valigie Rosse, che ringraziamo, un estratto della Postfazione di Andrea Ceccherelli a Jan Kochanowski, Il congedo dei messi greci – seguito da Orfeo sarmatico, traduzione, note e saggio critico di Andrea Ceccherelli, Vecchiano, Valigie Rosse, 2024
Il congedo dei messi greci, opera del grande poeta polacco rinascimentale Jan Kochanowski (1530-1584), è una tragedia politica. Trae spunto da motivi antichi, ma vuole parlare ai contemporanei. E, malgrado la lontananza temporale, si dimostra capace di parlare anche ai contemporanei nostri, in Polonia come in Italia e altrove. Sin dalla prima volta che lo lessi, un quarto di secolo fa, nell’Italia di Berlusconi, l’ho sempre trovato di grande attualità. È scomparso da secoli Kochanowski, è scomparso da poco anche Berlusconi, ma il problema del conflitto fra interesse pubblico e interesse privato non è mai scomparso; né presumibilmente mai scomparirà, perciò il monito che ci viene da questo genio mantiene intatta la sua modernità, soprattutto grazie alla forza persuasiva che la grande poesia possiede. Il valore dell’opera, lungi dall’esaurirsi nella permanente attualità del messaggio, sta infatti nella materia poetica in cui esso è racchiuso; materia che tocca vette liriche altissime nei monologhi e nei cori, e grande efficacia teatrale nei dialoghi. Proprio la teatralità è un fattore primario: il Congedo non è un dramma scritto solo per essere letto, e la sua messa in scena, nel 1578, è contemporanea alla sua apparizione a stampa.
L’autore, nel pieno spirito del classicismo rinascimentale, rielabora un motivo antico appena accennato nel III libro dell’Iliade. Va in scena l’antefatto della guerra di Troia: Ulisse e Menelao sono stati inviati dai Greci a reclamare indietro Elena e il Consiglio della città deve deliberare in merito alla loro richiesta. Come e perché si è giunti allo scoppio del lungo e drammatico conflitto? Lo si poteva evitare? Questi gli interrogativi su cui il lettore del tempo, ma anche di oggi, è invitato a riflettere, in un intreccio di umane passioni – Paride, Elena, Antenore, Priamo, Cassandra, senza trascurare “uomini qualunque” come Icetaone – che, quando la bilancia infine si piega da una parte o dall’altra, muta le sorti individuali in destino collettivo.
La tragedia si compone di cinque episodi inframezzati da interventi del coro. Nel primo episodio si assiste a un fitto scambio di battute fra i due personaggi principali, Antenore e Paride, che incarnano due modi opposti di guardare alla cosa pubblica: bene comune versus interesse privato. Il secondo episodio racconta i turbamenti di Elena che attende il verdetto del Consiglio. Il terzo episodio, il più lungo, contiene la relazione del Nunzio sull’andamento del dibattito e sull’esito del voto in Consiglio. Nel quarto episodio Ulisse e Menelao commentano sdegnati il rifiuto opposto alla loro richiesta. Nel quinto e ultimo episodio si accumulano i presagi di guerra, culminanti nel profetico monologo di Cassandra.
L’autore
Jan Kochanowski (1530-1584), massimo poeta slavo premoderno, è il nomoteta del linguaggio poetico polacco. Si formò principalmente a Padova tra il 1552 e il 1558. Tornato in patria, cominciò a pubblicare le prime opere e fu al servizio di vari signori, quindi del re, come segretario, prima di ritirarsi a partire dagli anni ’70 nell’angulus del suo podere di Czarnolas, dove si diede a limare e riordinare per la stampa quelli che saranno poi considerati i suoi capolavori: oltre al Congedo dei messi greci (1578), si tratta, nell’ordine, di una versione poetica dei Salmi (Psałterz Dawidów, 1579); dei Lamenti (Treny, 1580), ciclo di diciannove componimenti in morte della figlioletta Orszula; di una raccolta di epigrammi intitolata Frasche (Fraszki, 1584) – molto apprezzata da Giuseppe Pontiggia, che incluse Kochanowski tra i suoi “contemporanei del futuro”; e di una raccolta incompiuta di odi (Pieśni, 1586) di stampo oraziano pubblicata postuma. Queste opere costituiscono il centro del canone della poesia polacca fino al Romanticismo.
Kochanowski resterà tutta la vita poeta bilingue: varcata la soglia dei cinquant’anni, decise di riunire e pubblicare anche la sua produzione latina – liriche (1580), elegie (1584), epigrammi (1584) – che aveva iniziato a coltivare ancora studente all’università di Padova; meno originale, ça va sans dire, rispetto alla poesia in lingua volgare, tale produzione mostra sempre un’elevata qualità formale grazie alla conoscenza profonda dei modelli dell’età aurea (Orazio, Virgilio, Lucrezio, gli elegiaci), come si evince anche dal poemetto didascalico in raffinati esametri dattilici, Orpheus sarmaticus, che fu recitato, e stampato, in coda al Congedo.
Genesi e contesto storico del Congedo
Il congedo dei messi greci inaugura l’epoca dei capolavori cochanoviani. Fu messo in scena il 12 gennaio del 1578 a Jazdów, fuori Varsavia, dinanzi al re e alla regina in occasione della festa di nozze di Jan Zamoyski e Krystyna Radziwiłł, e pubblicato nel medesimo anno dalla tipografia ambulante di Walenty Łapka, filiale della tipografia cracoviana di M. Szarffenberger al seguito della cancelleria reale – probabilmente in contemporanea alla tragedia e comunque non oltre il 1 marzo, come dimostra la titolatura di Zamoyski nell’epistola dedicatoria: l’amico e mecenate di Kochanowski vi viene infatti menzionato come Vicecancelliere della Corona, carica che ricoprirà solo fino alla fine di febbraio di quell’anno.
Nulla sappiamo su quando Kochanowski abbia iniziato a lavorare all’opera: le ipotesi degli studiosi si spingono anche molto all’indietro, fino alla metà degli anni Sessanta, quando Kochanowski frequentava la corte reale di Sigismondo Augusto; non vi sono, d’altra parte, indizi che ci dicano se l’abbia scritta su ordinazione di Zamoyski, oppure se il Vicecancelliere, sapendo dell’opera (terminata o da terminare), abbia solo chiesto a Kochanowski di metterla in scena per dar lustro alla sua festa. Quest’ultimo è l’unico fatto sicuro. La dedicatoria ci dice che l’opera era pronta il 21 dicembre, quando all’autore giungono due lettere di Zamoyski che lo informano della data della rappresentazione, e che fra il 21 e il 22 dicembre Kochanowski la trascrisse in bella copia. L’impossibilità di “correggere” da lui lamentata nella dedicatoria, che tanto ha fatto discutere gli studiosi, significa solo che la fretta non gli ha permesso di emendare gli eventuali errori di trascrizione.
Le nozze di Zamoyski erano programmate per novembre, ma furono rimandate a causa dei suoi impegni politico-militari; allusioni al ritardo e alla mancanza di notizie si trovano nella dedicatoria. Zamoyski era stato il grande regista dell’elezione del re Stefan Batory (1576-1586), diventandone poi il braccio destro. Le sue nozze si collocavano in un momento delicato per lo stato polacco, fra la campagna di Danzica, mirata a sottomettere la città all’autorità del nuovo re, e le decisioni da prendere circa la spedizione militare in Livonia, oggetto delle mire di Ivan il Terribile. Proprio un paio di giorni dopo la rappresentazione doveva riunirsi in seduta plenaria la Dieta (inaugurata poi il 20 gennaio) per approvare nuove tasse finalizzate all’impresa: di qui la presenza del re a Varsavia (che non era ancora la capitale polacca).
Si può lecitamente supporre che negli auspici di Zamoyski lo spettacolo avesse un accento e un significato politico; e, a quanto tramanda il suo biografo Reinhold Heidenstein, esso ebbe realmente l’effetto di eccitare gli animi alla guerra contro Mosca. Ma, più che al Congedo, tale effetto fu certamente dovuto all’Orfeo sarmatico recitato al termine della tragedia, poema – questo sì – appositamente composto da Kochanowski per l’occasione, in latino per riguardo al re che, di origine transilvana, non aveva padronanza del polacco. C’è chi ha ipotizzato che anche il finale del Congedo sia stato aggiunto, o modificato, in relazione all’attualità politico-militare. Non si deve commettere l’errore di interpretare il Congedo alla luce dell’Orfeo: questo poemetto d’occasione, pur di ottima fattura, ne è solo l’interpretazione contingente, mentre il Congedo è un capolavoro e un’opera assolutamente innovativa.
(…) Il Congedo fu messo in scena in una località fuori Varsavia dove si trovava una residenza appartenente alla regina Anna: benché qualche studioso – “duratus patriis pruinis”, potremmo dire con le parole del sarmatico Orfeo – non si periti di ipotizzare che lo spettacolo possa essere stato allestito all’esterno, data la stagione e il relativo clima a quelle latitudini appare assai più probabile e benevolo verso spettatori e attori che esso sia stato recitato in una sala del palazzo. Comunque sia, per certo, né gli attori erano professionisti (giovani di famiglie nobili, secondo le fonti storiche), né il luogo era normalmente adibito a teatro.
Simili allestimenti teatrali occasionali non erano d’altronde isolati, ne troviamo sporadiche tracce nelle cronache e nelle edizioni del tempo. Già nel 1522 un dramma intitolato Iudicium Paridis de pomo aureo, inter tres deas, Palladem, Junonem, Venerem, de triplici hominum vita: contemplativa, activa ac voluptuaria, dell’umanista tedesco Jakob Locher, venne recitato al castello reale dinanzi alla regina Bona Sforza e stampato nello stesso anno, per poi ricomparire adattato in polacco in un’edizione del 1542. E ancora prima, nel 1516, un dramma su Ulisse, Ulyssis prudentia in adversis, era stato rappresentato alla presenza dei Reali e pubblicato sempre a Cracovia. Paride, Ulisse: niente di paragonabile al Congedo per valore letterario, ma è curioso che, fra i miseri lacerti di storia del teatro polacco, proprio il tema omerico mostri una singolare popolarità. Kochanowski sposterà l’interesse dal piano della morale personale – i tre modelli di vita, la virtù del singolo – a quello della morale pubblica, ossia alla dimensione etico-politica dei comportamenti. Ma il Congedo resta comunque “un fiore di serra” di provenienza esogena; e un unicum, poiché per molto tempo la tragedia rinascimentale sbocciata con tanto splendore su suolo polacco non avrà continuatori.
I personaggi
La gran parte degli studiosi ritiene che, nel Congedo, “non è importante il carattere, ma la posizione assunta da questo o quel personaggio di fronte alla questione politico morale; posizione che deriva dai loro interessi, idee, stati d’animo legati alla situazione in oggetto”. Si può concordare a condizione di non considerare i personaggi come statici, quasi maschere da moralità medievale, incarnazioni di vizi e virtù. Le figure principali del Congedo non hanno nulla della schematicità dell’allegoria; colpisce in esse, al contrario, la profondità del tratto psicologico, che si riflette a livello linguistico-espressivo. Statici e schematici sono solo i personaggi che non hanno un nome: il Nunzio, la Vecchia, il Capitano, il Prigioniero. Gli altri hanno un loro carattere, una loro vita interiore, che si riesce a cogliere dalle poche o tante battute che pronunciano. A partire da quelli femminili, Elena e Cassandra, i più autenticamente tragici dell’opera, la cui disperazione, pur di natura così diversa, possiede analoga, straordinaria forza psicologico-espressiva. E che dire di Priamo, re travicello, buono e onesto, ma debole e poco lungimirante, che al Consiglio, nelle funzioni istituzionali, si sforza di tenere una posizione super partes e poi, nel finale, mostra tutta la sua fragilità passando da un atteggiamento supponente, al limite del dileggio, verso Antenore, al riconoscergli ragione, e all’accettare infine la sua raccomandazione riconvocando in fretta e furia il Consiglio. Anche Paride non è soltanto un dissoluto, un amante della vita voluttuaria: è un corruttore e soprattutto, cosa che risulta evidente dai suoi discorsi, un manipolatore, che non solo sceglie astutamente gli argomenti adattandoli agli interlocutori, ma li piega, forzando i fatti, ai suoi scopi. Il rigore morale di Antenore resta costante, sì, ma si esprime in un diapason di tonalità molto ampio, che va dalla pacata razionalità alla severità arcigna, dall’ironia tagliente al monito accorato. La sua caratterizzazione come uomo probo e saggio, antitetica rispetto a quella che ne fa il traditore per eccellenza (si pensi all’Antenora nell’Inferno dantesco), discende direttamente da Omero, ma non è da trascurare neppure un collegamento con gli anni trascorsi da Kochanowski a Padova, fondata secondo la leggenda proprio dall’eroe troiano, la cui “tomba” il giovane polacco aveva quotidianamente sotto gli occhi negli anni patavini. E infine il tonitruante Icetaone: non compare di persona, ne ascoltiamo solo il discorso come viene riferito dal Nunzio, ma è uno stile molto individualizzato. Anzi, fra i tre oratori citati dal Nunzio nel terzo episodio, è proprio lui il più sorprendente: Paride e Antenore ci erano già noti dal primo episodio, lui invece compare solo qui e, adottando una strategia retorica volta a solleticare il sentimento nazionale – ovvero a contrapporre all’orgoglio ferito dei greci l’orgoglio ferito dei Troiani – indirizza l’azione verso la catastrofe. Si ritiene in genere che lo scontro ideale nel Congedo sia fra Paride e Antenore, ma il vero contrasto è fra Antenore e Icetaone. Paride è parte in causa, difende i suoi interessi. Antenore e Icetaone non sono parti in causa se non in quanto cittadini di Troia, dunque sono da considerare sullo stesso piano. Hanno però due modi opposti di trattare una vicenda altrui, nella quale non sono direttamente coinvolti: Antenore è il politico responsabile, Iceataone è il demagogo; il primo è un fedele consigliere capace di ragionare sine ira ac studio, il secondo è un tribuno bravo ad accendere gli animi con argomenti razionalmente deboli, ma emotivamente potenti.
Se è vero che il Congedo è una tragedia politica, dotata di una evidente funzione didascalica, è vero anche che non si fronteggiano virtù o vizi astratti, ma persone, con i loro interessi privati, le loro passioni, le loro debolezze. La cosa pubblica, lo stato, per Kochanowski è la somma di individui concreti, e la politica è la derivante dei loro pensieri e comportamenti. Si noti, peraltro, che gli dèi non intervengono e anche quando vengono invocati, lo sono in modo piuttosto tradizionale e formulaico. Il Congedo è una tragedia tutta umana, l’uomo è fabbro del suo destino. Vi si parla di Fortuna: ma anch’essa in realtà è invocata solo da Elena, il personaggio più passivo del dramma. La tragicità non nasce dal volere degli dèi, ma dalle dinamiche dei comportamenti umani, come in Euripide.
Dalla scheda dell’Editore:
“Il congedo dei messi greci, del grande poeta polacco rinascimentale Jan Kochanowski, inaugura la collana “Fiori polacchi”, ideata per far conoscere al lettore italiano opere e autori – antichi, moderni e contemporanei – di una tradizione poetica assurta, in particolare nel secondo Novecento quando è stata insignita di due premi Nobel, a una posizione di primo piano nel panorama letterario mondiale. Kochanowski, “contemporaneo del futuro” per Giuseppe Pontiggia, è il padre di questa tradizione, il suo Dante e il suo Petrarca: la collana nasce sotto la sua egida. A lui si affiancheranno nel corso del tempo voci già̀ canoniche, ma sconosciute o poco note in Italia, e voci giovani, emergenti ma già̀ riconosciute in patria. Il nome della collana viene dal titolo di un celebre poema di Julian Tuwim. Il congedo dei messi greci è una tragedia di alto valore poetico, e insieme di grande attualità̀, ispirata al teatro greco antico e al teatro rinascimentale italiano. In scena va l’antefatto degli eventi narrati da Omero: i Greci hanno inviato due messi a Troia a chiedere indietro Elena e i notabili della città devono pronunciarsi sulla richiesta. L’esito è noto a tutti, così come le sue conseguenze, ma ciò che preme all’autore è l’intreccio di interessi, passioni, ragioni che conduce infine alla catastrofe: è una tragedia politica, al cui centro vi è – diremmo oggi – un conflitto di interessi, incarnato da Paride e contrastato da Antenore. È tradotta per la prima volta in italiano”.
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