Note a margine del libro di Ugo Poletti su Odessa/Odesa
di Marta Nykytchuk
“La guerra non è soltanto quella che si combatte sul campo di battaglia, ma anche quella che senti mentre sei a casa e cadono i missili sul quartiere vicino. La vivi ogni giorno attraverso il suono delle sirene antiaeree, che ti obbligano a correre a ripararti nel corridoio, lontano dalle finestre. La vivi la sera quando vedi nel cielo le scie luminose dei proiettili traccianti che tentano di abbattere un drone o un missile. Vedi come trasforma le persone” (Ugo Poletti, Nel cuore di Odessa, Rizzoli, Milano, giugno 2022, p. 64).
Ugo Poletti, scrittore, giornalista, amante di storia, arte, teatro e finanza, dal 2017 vive e lavora nella cosiddetta “Praga sul mare”, Odessa, una città che da sempre viene vista come un gioiello architettonico, il centro della satira e dello humour, della storia e della cultura, delle memorie dell’ebraismo e con un mix di etnie, ma che è anche un importante centro economico che affaccia sul Mar Nero: la stragrande parte delle esportazioni di grano partono da lì.
Ugo Poletti scrive proprio da Odessa – in ucraino Odesa – ma lo fa già a partire dal periodo del lockdown mondiale. Infatti, nel 2020 fonda una rivista intitolata Odessa Journal per offrire il suo contributo per la valorizzazione turistica e culturale della città. Una rivista che, come egli sostiene, fino allo scoppio della guerra della Russia contro l’Ucraina non viene presa tanto in considerazione dalla penisola italiana. A partire dal 24 febbraio 2022, il giornalista è uno dei pochi stranieri a rimanere sul territorio ucraino nonostante il Ministero degli Esteri italiano richieda ai connazionali di lasciare l’Ucraina. Molti dei suoi conoscenti si spostano, gli offrono soluzioni per la partenza, i famigliari gli chiedono di tornare a casa, in Italia, ma Poletti rimane fermo nella sua decisione: restare. La decisione è condita da molteplici dubbi, perplessità e paure. Ma ciò nonostante – lo racconta lui stesso – sente il dovere di trattenersi: non è più un turista in giro per la città che, al minimo inconveniente, ritorna da dov’è venuto. Confrontato alla fermezza di Antonina, sua compagna, spesso nominata nel libro, dei famigliari di Antonina e dei cittadini odessiti, decide di non muoversi dalla città. I motivi che spingono lo scrittore a non ripartire dopo lo scoppio della guerra sono tanti e altrettanti saranno i motivi che lo porteranno alla stesura del libro intitolato, appunto, Nel cuore di Odessa.
Attraverso lo sguardo di Ugo Poletti e ciò che scrive si può capire maggiormente cosa stia accadendo sul campo di battaglia. Di fatto anche se si combatte a sud-est, l’intera Ucraina è zona di guerra. Leggendo, è possibile percepire le sensazioni ed emozioni dei cittadini e si ha l’opportunità di farlo con un minimo di ironia e leggerezza poiché, come sostiene l’autore, gli stessi odessiti non si perdono d’animo e continuano a mantenere la loro ironia nonostante la paura circondi chiunque, russofoni e non: il terrore lo si percepisce nell’aria a prescindere dalla lingua che si utilizza.
Lo scrittore incomincia la propria narrazione attingendo a quell’humour tipico di Odessa, che peraltro non abbandona nemmeno Poletti pur in un periodo così tragico. Vi è sempre una frase, un’espressione o un’immagine che porterà il lettore ad accennare un sorriso o, addirittura, a farsi una risata.
Il giornalista-scrittore ci dà la possibilità di poter sperimentare più da vicino l’abitudine che si crea convivendo con il rumore delle sirene di allarme antiaereo: un suono che, dopo mesi, si ascolta come quando si sente passare la sirena di un’ambulanza. Si arriva ad osservare le esplosioni nel cielo come fossero fuochi d’artificio. Insomma, l’essere umano si abitua o comunque cerca di normalizzare la quotidianità in cui vive: le interminabili file al supermercato, il dormire lontano dalle finestre e/o nei sotterranei. A differenza della capitale Kyïv, Odessa non offre metropolitane dove potersi nascondere, dunque si cercano sempre soluzioni alternative. Nonostante si respiri un’aria cupa e pregna di spavento, Poletti ci parla con entusiasmo e stupore dell’atmosfera magica creata da un concerto jazz in un teatro sotterraneo mentre si sentono vibrare le esplosioni in sottofondo. E in particolare tiene a sottolineare quanto i cittadini siano in grado di resistere, di non rinunciare a vivere, all’amore che nutrono per la città ed al nazionalismo spontaneo che, in quel momento, unisce l’intera nazione.
L’autore a un certo punto racconta un buffo momento della terribile mattinata in cui tutto incominciò con l’invasione russa di febbraio. Il suo primo pensiero è quello di andare a comprare proviste, come accade di solito nei film. Partendo dai ricordi dei film di guerra, pensa di dover prendere le patate, anche perché “si mangiavano patate nei film di guerra italiani”. Come durante il lockdown, anche a guerra in corso bisogna mettersi in fila per entrare al supermercato e si può acquistare al massimo due confezioni di alimenti di prima necessità (pane, uova, farina). Tutto è razionato, ma è proprio al supermercato che l’autore narra una delle tante scene comiche un po’ all’italiana: un suo amico, italiano, si presenta alla cassa del supermercato con una ventina di pacchi di pasta. È un momento di grande, divertente assurdità nel quale si coglie quanto siano differenti i punti di vista sugli alimenti di prima necessità. Gli italiani, ovviamente, anche se è uno stereotipo, cercheranno sempre di fare innanzitutto scorte di pasta.
Ma oltre alle scene lievemente surreali che possiamo rivivere attraverso le pagine del libro, sorge spontanea la domanda su come possa scoppiare una guerra così vicino, alle porte dell’Europa. Tutti noi siamo ben consapevoli delle guerre che iniziano o che continuano nel resto del mondo, ma nessuno avrebbe mai pensato a una guerra così vicina. Nessuno o quasi nessuno. Per parte mia posso testimoniare che dopo la presa della Crimea da parte della Russia nel 2014 molti cittadini ucraini, specialmente coloro che hanno vissuto le guerre passate e il genocidio del popolo ucraino negli anni ’30 in epoca sovietica, sapevano in cuor loro che un giorno una tale ipotesi si sarebbe avverata.
Per Poletti non si può pensare che un leader politico possa impazzire e scatenare da solo una guerra, perché “per fare una guerra” bisogna che il popolo sia coinvolto, razionalmente e inconsciamente preparato a quanto sta (ora) accadendo. Se si ha l’intenzione di incominciare una guerra si deve far sì che la popolazione la sostenga. Per un dittatore il minimo è l’appoggio della propria nazione, specie se, come Putin, ha lavorato in questo senso per quasi due decenni. Al riguardo si potrebbero citare molte pagine di storia senza per forza riferirsi agli scritti filosofici di Hegel, alla circolarità della storia, al fatto che essa pare ripetersi. Ma forse noi siamo dei pessimi studenti o forse lo sono i dittatori stessi. Tuttavia, sostiene l’autore, vi sono molteplici motivi che portano la Russia a voler, per così dire, “riprendersi” l’ex territorio sovietico. Da un lato è come se Putin volesse esser ricordato per aver finalmente restaurato la sovranità russa, dall’altro non c’è solo il discorso sulla sua potenza dittatoriale e capacità di controllo della società russa e dei paesi limitrofi. Oltre alla brama di potere del leader di turno, Poletti ci presenta altre motivazioni che possono aver scatenato la guerra, in primis motivi economici (abbiamo già detto quanto l’Ucraina, per posizione, sia utile al commercio internazionale). Ma anche motivi storici: l’Ucraina tra il 1917 e il 1991 è stata parte dell’URSS (è “appartenuta” all’URSS), e la stragrande maggioranza della popolazione russa non riconosce all’Ucraina uno status di nazione autonoma. Secondo alcuni sondaggi non facili da verificare l’85% del popolo russo sarebbe favorevole a questa guerra. Vi è inoltre un movente geopolitico: la conquista del Mar Nero porterebbe notevoli vantaggi alla Russia, e in particolare modo il dominio su Odessa, perla del Mar Nero. La città, sottolinea lo scrittore, è un gioiello che Putin ha poco attaccato dall’inizio dell’invasione, non l’ha ancora distrutta come le altre città ucraine.
Proseguendo nella lettura, si può notare uno sguardo ironico e autoironico di Ugo Poletti che non cede alla paura e allo sconforto dettati dalla guerra. Egli si descrive come un giornalista che vive e lavora nella “città perduta degli italiani” – degli italiani? E com’è possibile (?) vi chiederete. La spiegazione è contenuta nella terza parte del libro a cui, sembra, che l’autore voglia dare un’impronta più storico-artistica-architettonica e leggermente metaforica. Infatti, spiega, la città non sarebbe nata senza il poco noto (agli italiani) nobile italiano (napoletano di nascita, con origini spagnole per parte di padre e irlandesi per parte di madre) don Giuseppe De Ribas. In Italia quasi non lo si conosce, ma fu persona di grande spicco che, appena ventenne, completò la carriera militare in Russia presso la corte di Caterina la Grande. Si dice che De Ribas abbia combattuto a fianco dei russi nella guerra contro i turchi sulle sponde del Mar Nero. È possibile che con la conquista russa delle terre affacciate sul mare, don Giuseppe, influenzato dalla sua città natale nonché portuale (Napoli), riuscisse a convincere la zarina a investire e trasformare quell’area creando un nuovo porto in un ottimo punto strategico.
Per editto imperiale, il 2 settembre del 1794 nasce la città di Odessa per costruire la quale José de Ribas, poi nominato governatore, chiama numerosi architetti italiani. È strano pensare che nei suoi primi anni di vita la città fosse ricca di insegne e scritte in italiano, e che alla fine del XVIII secolo gli italiani rappresentassero circa il 10% della popolazione urbana. Già all’inizio dell’800 il commercio era gestito per la maggior parte dagli italiani e si registrano numerosi libri stampati allora in italiano. Dunque, sostiene Poletti, Odessa era una città anche degli italiani (tecnici, operai, mercanti, contadini, medici, avvocati e altri professionisti). Una città perduta perché nessuno ha mai desiderato ricordare quell’impronta italiana sulle rive del Mar Nero.
Da giornalista Poletti si è trasformato in poco tempo in corrispondente di guerra. Dalla sua iniziale idea di raccontare la storia della città e i suoi legami con l’Italia è passato, a causa della guerra di aggressione della Russia, a cercare di offrire un diretto e veritiero racconto della realtà odessita e ucraina, trovandosi, talvolta, a smentire false notizie. Nelle false notizie rientra anche la visione che la Russia ha inculcato ai propri militari: “sarete accolti come liberatori con pane e fiori, gli ucraini vi aspettano” – una delle tante distorsioni propagandistiche descritte nel libro, che hanno portato alle prime perdite nelle truppe russe. Di contro Poletti ammira la solidale collaborazione che si è immediatamente sviluppata tra la stragrande maggioranza dei cittadini ucraini. Che essi siano russofoni o ucrainofoni, egli osserva, non cedono la propria libertà e combattono come possono contro i russi invasori.
In Nel cuore di Odessa Ugo Poletti attraversa la storia dell’Ucraina, le sue rivoluzioni, la cultura multietnica del Paese e riflette su come l’insieme dei caratteri originali degli ucraini abbia interagito e si sia modificato nel tempo a contatto – tra attrazione e repulsione, tra accettazione e rifiuto, odio e ammirazione – con i russi. Esistono certamente divisioni linguistiche e religiose che però, nonostante ogni frazionamento, nei momenti di maggiore prova, non hanno impedito all’intera popolazione di sentirsi nazione, di risvegliarsi in modo unanime più coesi, di rafforzare patriottismo e sentimenti nazionali. Indubbiamente trovarsi di fronte a un invasore rende più facile l’accordo delle differenze.
(Per alcuni approfondimenti sul tema lingua e identità etnica in Ucraina, vedi qui e qui e qui).
Per concludere, è importante – dice Poletti – non dimenticare che quella odierna è una guerra tecnologica, sebbene l’arma più letale degli ucraini sia lo smartphone: un semplice device che contribuisce anche a combattere le menzogne della propaganda russa e consente al mondo di vedere per così dire in diretta – ma sempre “usando la testa” con cautela e circospezione – ciò che accade effettivamente in Ucraina. Queste “dirette” al cellulare, tuttavia, originano anche diversi punti di vista. Per esempio, quello dei pacifisti contrari alle spedizioni di armi in appoggio all’Ucraina che chiedono che si dialoghi tra russi e ucraini, e che per porre fine al conflitto si domandano perché l’Ucraina non possa cedere alcuni territori alla Russia. Al riguardo lo scrittore riporta la domanda retorica della propria compagna rivolta ai pacifisti italiani: “E quali regioni cederebbe l’Italia ai paesi circostanti o alle ex forze straniere che l’hanno governata nel passato?”. La risposta per Poletti è semplice: in Italia nessuno pensa a lasciare ad esempio l’Alto Adige, dove vige un significativo bilinguismo e dove si sogna tutt’ora l’Impero asburgico.
A lettura ultimata, la storia ci fa capire quanto l’Ucraina sia un paese “giovane e antico” allo stesso tempo, e quanto abbia bisogno di rinascere per ricostruirsi di nuovo, per riconfermare la propria indipendenza e sovranità. Le guerre portano a ridisegnare i confini e a rivalutare l’operato dei governi, così accadrà ad entrambe le nazioni coinvolte. Ma intanto questa guerra ha permesso al mondo di conoscere l’Ucraina sotto un altro punto di vista. Non più come “terra di mezzo”, ma come nazione che continua a sbocciare, che ha la maturità di decidere democraticamente i propri destini e di riconfermare i propri legami con l’Europa e l’Occidente.
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Qui un estratto dell’Introduzione.
Vedi la video-intervista del 19 luglio 2022 di Edoardo Crisafulli a Ugo Poletti per la presentazione del suo libro organizzata dalla rivista online Stroncature.
https://www.youtube.com/watch?v=hD5cOIG8GWs
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Complimenti all’autore della presente recensione, Marta Nykytchuk, per la bravura nella descrizione del libro.