Grande scrittore e pensatore. Fondamentale per molti di noi
di Francesco M. Cataluccio
Dove andrà ora Milan Kundera? Amava raccontare questa barzelletta del suo paese:
“Un ceco fa richiesta di un visto per emigrare. Il funzionario gli chiede: “Dove vuole andare?”, “Non importa” risponde l’uomo. Gli dà un mappamondo: “Per favore, scelga”. L’uomo guarda il mappamondo, lo gira lentamente e dice: “Non ha un altro mappamondo?”.
Intanto Kundera ieri sera se n’è andato dal mondo, a Parigi (dove era emigrato nel 1975), all’età di 94 anni. Ma la sua voce si era spenta da tempo. Era del resto sempre stato un uomo molto riservato. In un’intervista a Philip Roth (The Most Original Book of the Season, New York Times, 30 novembre 1980), aveva confessato: “Quando ero un ragazzino, sognavo un miracoloso unguento che mi avrebbe reso invisibile. Poi sono diventato adulto, ho iniziato a scrivere, e ho voluto avere successo. Ora che sono conosciuto vorrei avere un unguento che mi renda invisibile”.
È stato un grande scrittore, uno dei più grandi della seconda metà del Novecento. Romanzi come Lo scherzo (1967), La vita è altrove (1973) e L’insostenibile leggerezza dell’essere (1984), e i racconti de Il libro del riso e dell’oblio (1978), tutti pubblicati in italiano da Adelphi, pur essendo cambiato profondamente il contesto storico nei quali sono nati, rimangono attuali per la bellezza della scrittura, la costruzione dei personaggi e la profondità delle riflessioni filosofiche. Tutti fanno i conti con la morte della cultura nella nostra epoca. Kundera si colloca nella grande tradizione del romanzo dell’Europa Centrale. I suoi riferimenti costanti sono stati Kafka, Musil, Broch, Gombrowicz: “romanzieri meravigliosamente diffidenti verso l’illusione del progresso, diffidenti del kitsch della speranza. Il loro dolore per il tramonto dell’Occidente, non un dolore sentimentale. È un dolore ironico “.
“Al giorno d’oggi non c’è più spazio per gli scherzi, oggi si prende tutto sul serio”. Lo scherzo è il primo romanzo di Kundera. I successivi sono sotto molti aspetti, com’è naturale, delle variazioni di questo tema. Ma quell’allegria, che è insita nella natura della burla, anche se ha conseguenze negative, è venuta a mancare. Gli scherzi non sono una forma di liberazione, sostiene giustamente Kundera. Ma sono una specie di boccata d’aria. Invece: nei drammi e nelle sofferenze dei suoi personaggi, anche nelle situazioni “tragicomiche”, è sparita quest’allegra ombra. Sono gli scherzi, la cosa che Kundera, passando a Parigi e adottando la lingua francese, ha lasciato a Praga.
Kundera ha portato l’Europa Centrale all’attenzione dei lettori di quella dell’Ovest, e l’ha fatto con intuizioni universalmente riconosciute nel loro fascino. Il suo richiamo alla verità e alla libertà interiore senza la quale la verità non può essere riconosciuta, la consapevolezza che nel cercare la verità si debba essere preparati a scendere a patti con la morte. Questo è quello che chiamava “lo spirito di Praga”: “Il castello di Franz Kafka e Il buon soldato Sc’vèik di Jaroslav Hašek sono pieni di questo spirito. Uno straordinario senso della realtà. Il punto di vista dell’uomo comune. La Storia vista dal basso. Una semplicità provocante. Un genio dell’assurdo. Umorismo con infinito pessimismo”. I romanzi, per lui, sono il racconto del Caos del mondo, la Vita con le sue contraddizioni, le luci e le ombre, mentre la Filosofia, che amava profondamente, è il tentativo di dare un Ordine: “La mia passione per la filosofia è tipica di un eclettico. Io non ricerco una verità: cerco la ricchezza di possibilità di vedere il mondo. La Fenomenologia è il punto di incontro tra la filosofia e il romanzo. Essa è la filosofia delle cose che sono evidenti, prima che la scienza le matematizzi (…) In generale tutti i pensieri che arrivano troppo facilmente ad un sistema, a un dogma, mi ripugnano”.
Tutti i protagonisti, maschi, delle storie di Kundera sono degli immaturi che non trovano nella realtà, nella Storia dal volto mostruoso, un luogo e un modo per realizzare pienamente la loro condizione umana. Egli sostiene che ogni sistema totalitario è una macchina che bambinizza gli adulti: dimenticare la libertà, la propria individualità, tornare bambini, smettere di occuparsi delle grandi questioni politiche: “I bambini non sono l’avvenire perché saranno un giorno adulti, ma perché l’umanità si avvicina sempre più a loro, perché l’infanzia è l’immagine dell’avvenire”. Il nostro futuro non è l’infanzia ma la vecchiaia. Il vero umanismo della società si rivela attraverso la sua attitudine nei confronti della vecchiaia. Ma la vecchiaia, l’unico futuro che ognuno di noi affronta”.
Kundera ha il merito di aver sollecitato una riflessione sul kitsch come “essenza del nostro tempo”: il kitsch è la riduzione di tutti i criteri di valutazione delle azioni umane alla grandezza dell’effetto che producono. La trasformazione della razionalità nella crudeltà: “La crudeltà più terrificante è sempre connessa con la pretesa della letteratura di diventare, essa stessa, la Guida illuminata della Storia”. Anche per questo fu molto polemico verso la letteratura russa. Non sopportava Dostoevskij, ma come Nabokov, amava molto Tolstoj: “Tolstoj è stato forse il primo a comprendere il ruolo dell’irrazionale nel comportamento umano. Il ruolo giocato dalla stupidità: ma, soprattutto, dall’irresponsabilità delle azioni umane guidate da un subconscio che è sia incontrollato che incontrollabile. Il primo autore del monologo interiore non è Joyce ma Tolstoj”. Kundera contrapponeva a Dostoevskij i romanzieri francesi che amava molto, come Rabelais e Diderot: gli pareva che fossero riusciti a fare una sintesi di dolore e ironia, razionalità e insensatezza.
Nel discorso di ringraziamento per il conferimento del premio alla fiera di Gerusalemme (giugno 1985), Kundera disse: “C’è un bellissimo proverbio ebraico: ‘L’uomo pensa, Dio ride’. (…) Mi piace pensare che l’arte del romanzo sia venuta al mondo, con François Rabelais, come eco del riso divino. Ma perché Dio ride, vedendo l’uomo che pensa? Perché l’uomo pensa e la verità gli sfugge. Perché più gli uomini pensano, più i loro pensieri divergono. E, in fine, perché l’uomo non è mai quello che pensa di essere. (…) Proprio quando perde la certezza della verità e il consenso unanime degli altri che l’uomo diventa individuo. Il romanzo è il paradiso immaginario degli individui; è il territorio dove nessuno possiede la verità”.
Questo atteggiamento di sfiducia radicale nella Ragione, Kundera lo ha sicuramente accentuato con la delusione politica. Kundera aderì al Partito comunista cecoslovacco nel 1948. Fu espulso nel 1950. Fu riammesso automaticamente nel 1956. Venne di nuovo, e definitivamente, espulso nel 1970: “In passato, anch’io ho creduto che l’avvenire fosse il solo giudice competente delle nostre opere e delle nostre azioni. Poi ho capito che il flirt con l’avvenire è il peggiore dei conformismi, la vile adulazione del più forte. Perché l’avvenire è sempre più forte del presente”.
Ne L’insostenibile leggerezza dell’essere, Kundera affida al protagonista Tomáš una riflessione assai lucida e impietosa sulle responsabilità, di grande attualità. Questa lunga citazione da sola vale mille parole su chi sia stato:
“Chi pensa che i regimi comunisti dell’Europa Centrale siano esclusivamente opera di criminali, si lascia sfuggire una verità fondamentale: i regimi criminali non furono creati da criminali ma da entusiasti, convinti di aver scoperto l’unica strada per il paradiso. Essi difesero con coraggio quella strada, giustiziando per questo molte persone. In seguito, fu chiaro che il paradiso non esisteva e che gli entusiasti erano quindi degli assassini. Allora tutti cominciarono a inveire contro i comunisti: Siete responsabili delle sventure del paese (è impoverito e ridotto in rovina), della perdita della sua indipendenza (è caduto in mano alla Russia), degli assassinii giudiziari. Coloro che venivano accusati rispondevano: Noi non sapevamo! Siamo stati ingannati Noi ci credevamo! Nel profondo del cuore siamo innocenti! La discussione si riduceva a questa domanda: Davvero loro non sapevano? Oppure facevano solo finta di non aver saputo nulla? Tomas seguiva la discussione (così come la seguivano tutti i dieci milioni di cechi) e si diceva che tra i comunisti c’era sicuramente chi non era del tutto all’oscuro (dovevano pur sempre aver sentito parlare degli orrori che erano stati commessi e che venivano ancora commessi nella Russia postrivoluzionaria). Ma era probabile che la maggior parte di loro non ne sapesse davvero nulla. E si disse che la questione fondamentale non era: Sapevamo o non sapevamo?, bensì: Si è innocenti solo per il fatto che non si sa? Un imbecille seduto sul trono è sollevato da ogni responsabilità solo per il fatto che è un imbecille? Ammettiamo pure che un procuratore ceco che all’inizio degli Anni Cinquanta chiedeva la pena di morte per un innocente sia stato ingannato dalla polizia segreta russa e dal proprio governo. Ma ora che sappiamo tutti che le accuse erano assurde e i giustiziati innocenti, com’è possibile che quello stesso procuratore difenda la purezza della propria anima e si batta il petto: La mai coscienza è senza macchia, io non sapevo, io ci credevo. La sua irrimediabile colpa non risiede proprio in quel ‘Io non sapevo! Io ci credevo!’? Fu allora che a Tomas tornò in mente la storia di Edipo: Edipo non sapeva di dormire con la propria madre ma, quando capì ciò che era accaduto, non si sentì innocente. Non poté sopportare la vista delle sventure che aveva causato con la propria ignoranza, si cavò gli occhi e, cieco, partì da Tebe. Tomas sentiva le grida dei comunisti che difendevano la loro purezza interiore e diceva tra sé: Per colpa della vostra incoscienza la nostra terra ha perso, forse per secoli, la sua libertà e voi gridate che vi sentite innocenti? Come potete ancora guardarvi intorno? Come potete non provare raccapriccio? Siete o non siete capaci di vedere? Se aveste gli occhi, dovreste trafiggerveli e andarvene da Tebe!”
Già dagli anni Ottanta (l’intervista – “A Talk with Milan Kundera” – che ho qui sovente citato, a cura di Olga Carlisie, è comparsa sul “New York Times” il 19 maggio 1985), Kundera non credeva più né nella sinistra né nella destra. Li trovava concetti sorpassati: “Il pericolo che ci minaccia è l’impero totalitario. Khomeini, Mao, Stalin: sono di sinistra o di destra? Il totalitarismo non è mai di sinistra o di destra, e dentro il suo dominio entrambi periranno. Non sono mai stato un credente, ma dopo aver visto i cattolici cechi essere perseguiti durante il terrore Stalinista, ho sentito la più profonda solidarietà nei loro confronti. Ciò che ci separava, la fede in Dio, era secondario rispetto a ciò che ci univa. A Praga, impiccavano i socialisti e i preti. Nacque così una fratellanza tra impiccati. È per questo che l’ostinata lotta tra sinistra e destra mi sembra obsoleta e abbastanza provinciale. Odio partecipare alla vita politica, nonostante la politica mi affascini come spettacolo. Un tragico, mortale spettacolo a Est; intellettualmente sterile ma divertente in Occidente…”. Oggi non è più nemmeno così: decisamente peggio.
Su Francesco M. Cataluccio vedi.
Immagine: la casa natale di Milan Kundera a Brno, foto di M. Tabaczyński, fonte.
Milan Kundera era nato a Brno, nell’allora Cecoslovacchia (oggi Repubblica Ceca), il 1º aprile del 1929. Kundera studiò letteratura e musica a Praga. Dal 1949 studia alla Scuola di Cinema (FAMU) dove si laurea e dove in seguito terrà corsi di letterature comparate. Nel 1948 si iscrisse al Partito comunista, ma ne fu espulso nel 1950 per via di alcune critiche alla sua politica culturale contenute in una lettera a lui indirizzata da un amico (stesa situazione del suo primo romanzo Lo scherzo). Nel 1956 fu riammesso, diventando un punto di riferimento importante nelle discussioni di quegli anni. Nel 1968 si schierò apertamente a favore della cosiddetta “Primavera di Praga”, e fu per questo costretto a lasciare il posto di docente e, nel 1970, fu nuovamente espulso dal partito. Nel 1975 emigrò in Francia, ove ha insegnato alle Università di Rennes e di Parigi, dove oggi vive con la moglie Vera Hrabanková. Nel 1979, a seguito della pubblicazione de Il libro del riso e dell’oblio, gli fu tolta la cittadinanza cecoslovacca. Nel 1981, grazie a un interessamento del presidente François Mitterrand, ottenne quella francese. Nel 2008 un documento, rinvenuto negli archivi della Polizia di Praga, avrebbe fatto sospettare una sua delazione, nel 1950, nei confronti di un ventenne impegnato in un’operazione di “spionaggio” tra Germania Ovest e Cecoslovacchia (il giovane venne poi condannato a 22 anni di lavori forzati). Kundera ha sempre negato ogni responsabilità nella vicenda.
Leggi anche di Josef Sikola, Donare se stessi a una biblioteca pubblica. Milan Kundera tra Brno, Praga e Parigi.
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