Usciti dalla nebbia, ri-scrivere e ri-costruire se stessi, re-inventarsi, romanzare, addomesticare, falsificare
di Josef Sikola
Immagine 1 di copertina: Détail du manuscrit de La Plaisanterie, rédigé entre 1968 et 1969, traduction retravaillée par l’auteur (ActuaLitté, CC BY SA 2.0), fonte.
“L’uomo è colui che avanza nella nebbia. Ma quando si volta indietro a giudicare le generazioni passate non vede nebbia sulla loro strada. Dal suo presente, che era per loro un futuro lontano, la strada che essi hanno davanti gli appare perfettamente sgombra, visibile dal principio alla fine. Voltandosi indietro, l’uomo vede la strada, vede le genti avanzare, vede i loro errori, ma la nebbia è scomparsa”. (I testamenti traditi: Le strade nella nebbia)
Milan Kundera (2022) era convinto che i libri dovessero parlare a nome del proprio autore. Spesso i lettori menzionano quanto cambia la percezione di un testo kunderiano nel tempo. E’ del tutto naturale. Fu lo stesso Kundera a scrivere che “il romanzo è ormai l’ultimo osservatorio dal quale si possa abbracciare la vita umana nel suo insieme”. Ognuno capisce la vita diversamente a seconda dal punto dalla quale la osserva, un punto verso il quale siamo stati condotti da diverse esperienze vissute nel tempo, perché tutti noi avanziamo nella vita come si avanza nella nebbia, se vogliamo usare la metafora qui sopra riportata che il romanziere recentemente scomparso utilizza ne I testamenti traditi.
In altra occasione abbiamo ragionato sulla nascita di rapporti problematici tra una parte della società ceca e il nativo di Brno. Adesso che condoglianze e necrologi hanno scritto la parola fine al posto della sua mano, cerchiamo di vedere, forse in un modo meno evidente, il testamento tradito di Milan Kundera.
Le condoglianze del presidente della Repubblica Ceca, Petr Pavel, contengono la seguente frase: “La storia della vita di Milan Kundera simboleggiava la storia tumultuosa del nostro Paese nel XX secolo”. In quella frase è nascosta anche la storia (oppure un’apologia?) personale del presidente ceco a cui è stato rinfacciato il suo passato militare prima del 1989. Possiamo trovare un esempio di come Pavel veniva e di come ancora viene visto da una parte degli abitanti della Repubblica Ceca in un articolo di Adam Drda: “L’Esercito Popolare Cecoslovacco in cui Petr Pavel ha avuto una carriera da soldato professionista negli anni ’80, non serviva, almeno dal febbraio 1948, per difendere il Paese o le persone che vi abitavano, ma per difendere il sistema totalitario e l’impero sovietico. Nell’agosto 1968 la Cecoslovacchia fu occupata dalle truppe sovietiche senza che quell’esercito, a differenza di una parte consistente della popolazione civile, opponesse resistenza”.
Nella sua campagna elettorale per le presidenziali del 2023, uno dei temi sul quale Pavel voleva che si focalizzasse l’attenzione dell’elettorato è stato il suo impegno per il paese negli ultimi trent’anni. Il generale ha ricoperto alte cariche militari, tra cui quella di presidente del Comitato militare della NATO. Tuttavia, tutto questo lavoro dopo la Rivoluzione di velluto non sarebbe abbastanza per i cechi, ancora molto sensibili al riguardo, se Pavel non avesse dimostrato un costante dispiacere per il proprio passato comunista (dato che richiese la tessera del partito già all’età di ventidue anni). Mostrandosi umile, è riuscito a farsi perdonare da molte persone e, in fin dei conti, a vincere le elezioni.
“Eppure, tutti, Heidegger, Majakovskij, Aragon, Ezra Pound, Gor’kij, Gottfried Benn, Saint-John Perse, Giono, tutti avanzano nella nebbia, e vien fatto di chiedersi: chi è il più cieco? Majakovskij che scrisse il suo poema su Lenin senza sapere a che cosa avrebbe condotto il leninismo? O noi che lo giudichiamo a distanza di decenni e non vediamo la nebbia da cui era avvolto? La cecità di Majakovskij fa parte dell’eterna condizione umana”. (I testamenti traditi: Le strade nella nebbia)
Milan Kundera esordì nel 1953, all’età di ventiquattro anni, con una raccolta di poesie di stampo stalinista intitolata Člověk zahrada širá (Uomo vasto giardino) di cui fa parte la poesia Vánoční vyznání (Confessione di Natale) che recita: “Soudruzi moji, já bez vás, já bez vás nikdy už!” (Compagni miei, senza di voi, senza di voi io mai più!). La poesia entrò addirittura a far parte dei libri di lettura stalinisti per le scuole. Seguì una composizione poetica che celebra il combattente della resistenza comunista Julius Fučík intitolata Poslední máj (L’ultimo maggio). Ancora nel 1962, per il dramma teatrale Majitelé klíčů (I proprietari delle chiavi), Kundera ricevette e accettò il Premio di Stato intitolato a Klement Gottwald: quello stesso Gottwald che diresse il colpo di Stato nel febbraio 1948 e portò il paese a entrare a far parte le repubbliche popolari satelliti dell’URSS; quel Gottwald che appare sulla prima pagina de Il libro del riso e dell’oblio.
È stato in questo libro, pubblicato durante l’esilio francese nel 1979, che Kundera ha cominciato a parlare al pubblico straniero. Il quinto capitolo riassume l’idealismo e le illusioni dei giovani comunisti.
“E allora quegli uomini giovani, intelligenti e radicali ebbero di colpo la strana sensazione di aver messo al mondo un’azione che aveva cominciato a vivere di vita propria, cessando di assomigliare alle loro idee e non curandosi più di coloro che l’avevano partorita. Quegli uomini giovani e intelligenti si misero allora a urlare contro la loro azione, cominciarono a chiamarla, a rimproverarla, a darle la caccia e a perseguitarla. Se dovessi scrivere un romanzo sulla generazione di quegli uomini dotati e radicali, lo intitolerei La caccia all’azione perduta”.
Tale caccia si è forse già verificata nel bestseller L’insostenibile leggerezza dell’essere (1984). Esistono però dubbi sul grado di autoriflessione personale di Kundera, che in diverse occasioni è stata assente.
Nel 1986 Milan Jungmann, il critico letterario che si occupava della letteratura ceca contemporanea (ufficiale, samizdat e dell’esilio) pubblica un saggio intitolato Kunderovské paradoxy (Paradossi kunderiani). Su L’insostenibile leggerezza dell’essere scrive la seguente notazione: “[Kundera] ha reso la sua biografia un kitsch per i lettori stranieri non beninformati; egli si è dato per vinto alla mentalità degli esuli, i quali sono incapaci a spiegare agli stranieri la complessità dell’evoluzione della situazione cecoslovacca, dei colpi di scena e delle speranze seduttive della riformabilità del degenerato progetto del socialismo”. Come mai il critico letterario ceco è arrivato a tale conclusione? Jungmann sentiva una certa irritazione che gli aveva causato l’intervista di Milan Kundera a Philip Roth. Nell’intervista Kundera presenta la sua vita prima della pubblicazione della sua raccolta di racconti, Amori ridicoli (1963), sostenendo che tutto ciò che egli aveva prodotto prima di quella raccolta erano state solo dei marginalia con minimo riscontro di pubblico.
“Poi sono stato espulso dall’università. Vivevo tra gli operai. Allora suonavo la tromba nei cabaret delle piccole città con un gruppo jazz. Suonavo il pianoforte e la tromba. Poi scrivevo poesie. Dipingevo. Era tutto senza senso”.
Jungmann osserva che la stilizzazione autobiografica del giovane Kundera – a opera dello stesso Kundera – come anticonformista relegato alla periferia è molto simile alla caratterizzazione del personaggio de L’insostenibile leggerezza dell’essere, ma ha poco a che fare con la vita reale e lo status sociale dell’autore, che tra la metà degli anni 1950 e i primi anni 1960 si affermò in patria, sotto lo sguardo vigile del regime, come poeta e drammaturgo estremamente popolare e acclamato dalla critica. “Quelli che erano in contatto con Kundera negli anni Cinquanta e Sessanta, difficilmente lo riconoscono in questo suo autoritratto”, scrive Jungmann.
Marek Vajchr ha ricordato la polemica nel suo articolo, dal quale qui sono tratte le citazioni che seguono. Vajchr sostiene quanto scritto da Jungmann aggiungendo che “in realtà Kundera non fu espulso dall’università, ma dopo due semestri di studio alla Facoltà di Filosofia dell’Università Carlo, si trasferì alla prestigiosa FAMU, dove iniziò a insegnare subito dopo la laurea nel 1952. Dall’intervista di Roth non veniamo a sapere nulla della condizione che fu cruciale per la sua carriera nella Cecoslovacchia socialista e cioè della sua aderenza al Partito Comunista, nel quale Kundera fu riammesso nel 1956, poco dopo la pubblicazione del suo poema su Julius Fučík, la quale godette di ulteriori edizioni, parzialmente riviste dall’autore nel 1961 e nel 1963, quindi nel momento presumibilmente cruciale per Kundera. Infatti, secondo il suo autoritratto, sarebbe questo il periodo in cui avrebbe, in maniera risoluta, superato la sua avventatezza giovanile e si sarebbe trasformato in un vero scrittore”.
Vajchrt conclude con un’idea al tempo stesso interessante e importante per capire cosa rende Kundera controverso:
“Milan Jungmann, tuttavia, senza volerlo, ha colto nel segno quando ha scritto che «l’autoritratto distorto e l’opera ritoccata di Kundera […] non sono frutto di una semplice omissione, sono invece intenzionali»”. Kundera, scrive Vajchrt; “vorrebbe presentarsi come un autore che, in un momento cruciale, ha riaperto gli occhi e ha preso le distanze dal regime senza agire tatticamente, in modo netto. E una volta resosi conto, che la discrepanza tra l’immagine kitsch con cui si stava presentando, ad esempio, nell’intervista di Roth e tra i fatti rintracciabili era, in fin dei conti, mirabolante, Kundera decise di non correre rischi per il futuro: smise di rilasciare interviste, dichiarò l’embargo sull’interpretazione della propria opera e si avvolse in un silenzio apparentemente nobile”.
Un’analogia con Petr Pavel si offre forse in una frase di Jungmann che nel suo testo non condanna lo scrittore in alcun modo, al contrario, egli scrive: “gli errori del passato non possono essere rinnegati, solo superati con il lavoro, il quale dimostra un’acquisizione di una conoscenza e di una consapevolezza del contesto più approfondite, cosa che possiamo tranquillamente dire dell’opera di Kundera”. È probabile che scrivendo queste righe il critico abbia avuto in mente anche un altro testo di Kundera che si è rivelato piuttosto importante negli anni Ottanta.
Nel saggio «Un Occident kidnappé» ou la tragédie de l’Europe centrale – pubblicato per la prima volta in francese nella rivista “Le Débat” (1983), successivamente su altri periodici mondiali, e ripubblicato l’anno scorso in Italia con il titolo Un Occidente prigioniero – Kundera riuscì a reinserire gli stati dell’Europa centrale nel dibattito pubblico non solo europeo. Egli ha indubbiamente contribuito, come sottolinea Jacques Rupnik, autore di una delle premesse del volumetto, a rimodellare la mappa mentale dell’Europa. Un Occident kidnappé è un testo che ancora oggi, sullo sfondo degli eventi di questi ultimi decenni, offre alcune riflessioni sulla società europea. Sia la situazione geopolitica sia il testo di Kundera offrono molte analogie tra ciò che hanno vissuto i popoli dell’Europa centrale e ciò che stanno affrontando oggi gli ucraini.
La prima traduzione ceca del saggio fu disponibile nel 1985, grazie ad Antonín Jaroslav Liehm che lo ha curato e pubblicato nella rivista in esilio “150.000 slov”. Anche nella persona di Liehm, amico di Kundera, riscontriamo uno dei paradossi kunderiani – o forse vediamo verificarsi la profezia di Kundera: “Compagni miei, senza di voi, senza di voi io mai più!”? Mentre Kundera nell’ottavo capitolo dell’Occidente prigioniero indica gli ebrei come “il principale elemento cosmopolita e integratore dell’Europa centrale, il suo cemento intellettuale”, Liehm trent’anni prima scriveva un testo fortemente antisionista (i comunisti allora mascheravano il loro antisemitismo con il termine antisionismo) in difesa delle politiche del partito comunista e dell’URSS. Molti di questi compagni hanno svolto la loro “caccia all’azione perduta” nell’esilio, dopo aver fortemente contribuito con i loro testi e con le loro idee radicali al rafforzamento del regime comunista. Hanno favorito l’avvicinarsi della società cecoslovacca all’impero russo. Avvicinamento che, poi, con loro somma sorpresa, è culminato nel 1968 con l’arrivo dei carrarmati sovietici a Praga seguito dalla “normalizzazione” della Cecoslovacchia. A partire da quel momento hanno creduto che trasferirsi a lavorare in esilio, senza cospargersi minimamente il capo di cenere, sarebbe stato sufficiente per farsi avvolgere da una “nebbia protettrice”.
“Nel buio, non si vede niente, si è come ciechi, alla mercé degli altri, non si è liberi”. (I testamenti traditi: Le strade nella nebbia)
Tornando alle elezioni presidenziali del 2023 in Cechia, l’avversario di Petr Pavel è stato Andrej Babiš, che nel 2018 ha incontrato Milan Kundera nella sua casa a Parigi offrendogli la cittadinanza ceca. Sarebbe tutto giusto e corretto, se non fosse avvenuto un altro paradosso. Babiš è stato secondo fonti comprovate un collaboratore e un informatore della polizia segreta comunista, come pare sia stato anche Milan Kundera. Entrambi non hanno mai dimostrato di essere dispiaciuti della cosa, oppure di essere a favore del fatto che si discutesse della questione in maniera pacifica. Babiš ha portato il caso al tribunale e l’ha perso. Kundera ha minacciato di querelare la testata che ha divulgato informazione sul suo passato. Babiš è un abilissimo manipolatore. Un populista che, malgrado la sua incapacità retorica, sa come muovere le masse. Sarebbe interessante sapere se l’autore di Un Occidente prigioniero avrebbe votato alle elezioni il suo ospite, che evidentemente non ha mai letto nessuno dei suoi libri. Basti pensare alla recente retorica di Babiš contro il sostegno dell’esercito ucraino o contro i rifugiati sul territorio ceco.
Miroslav Balaštík, caporedattore della rivista e casa editrice Host di Brno, a sostegno di Kundera afferma: “se noi [cechi] abbiamo uno scrittore di livello mondiale in una nazione così piccola, egli cessa di essere solo uno scrittore. Egli diventa una sorta di istituzione culturale. Ma all’estero non è così. All’estero lo percepiscono solo come un grande scrittore famoso. I lettori non proiettano in lui i contenuti che gli associamo noi: un uomo che ha vissuto gli anni Cinquanta, è stato attivo negli anni Sessanta e così via…”. Aggiunge Balaštík: “Credo che attraverso di lui stiamo affrontando i nostri traumi storici”. In effetti Balaštík, senza augurarselo, ha ragione in entrambi i casi. Kundera è una sorta di istituzione culturale, come lo sono tutti gli scrittori che cercano o hanno cercato di influenzare la cultura. Quindi come con le istituzioni bisogna relazionarsi con loro: porsi delle domande su di loro, studiarli, avendo al contempo rispetto per il loro lavoro, ma senza farsi ingannare da sentimenti d’orgoglio nazionale, da (auto)biografie glorificatrici piene di storie fittizie. Siamo, in fin dei conti, ancora nell’Europa centrale, storia e cultura procedono inevitabilmente mano nella mano, così come i loro/nostri traumi storici.
“Non vedere la nebbia sulla strada di Majakovskij, significa dimenticare ciò che l’uomo è, dimenticare ciò che noi stessi siamo” (Da: I testamenti traditi: Le strade nella nebbia).
La nebbia… E’ come se Kundera con quest’ultima variazione sul tema della “ignoranza” preparasse una sua personale via d’uscita dai traumi che ha vissuto e da quelli che ha, forse, causato. È giusto prendere in considerazione la nebbia che lo avvolgeva, ma anche il buio che ha, forse, procurato, non va dimenticato. Perché solo così, “opponendoci alla Storia in quanto tale possiamo opporci a quella di oggi” senza dare ascolto a quelle persone che, passando sui cadaveri, ignari dei valori culturali, cercano di raggiungere il potere solo per asservirlo ai propri scopi personali.
“È la nostra cecità, una cecità esistenziale, a rendere così misterioso il mondo intorno a noi” – insiste Milan Kundera nella sua Introduzione a Nozioni di base di Petr Král.