Morti, fughe, migrazioni, ritorni, andamenti democratici, rapimenti di bambini
Immagine di copertina: Claude Monet, Le quartier de viande, Vers 1864, Huile sur toile, Musée d’Orsay, Paris.
Nelle ultime settimane, la strategia della Russia in Ucraina è stata quella di provocare nuove ondate migratorie verso l’Occidente attraverso crudeli bombardamenti tesi a impedire la vita quotidiana, distruzioni delle infrastrutture della rete elettrica ucraina, con centinaia di missili indirizzati a colpire obiettivi civili (vedi qui e qui e qui). Tuttavia, la popolazione ucraina dimostra una notevole capacità di resistenza e recupero e non si sono ancora registrate le paventate nuove ondate migratorie.
In proposito è da segnalare, traducendo liberamente dall’inglese alcuni spunti, la documentata, spassionata riflessione del giornalista bulgaro di stanza a Bruxelles, Senior Editor di Global Europe, Georgi Gotev, pubblicata su EurActiv. Riguarda, pur nella difficoltà di basarsi su cifre precise, i costi umani per gli ucraini dell’aggressione russa in Ucraina: costi diretti (perdita di popolazione per uccisione) e indiretti (bassi tassi di natalità, soprattutto emigrazione). A fuggire dall’invasione russa, distruttiva e omicida, sono per lo più donne e bambini ucraini verso i Paesi vicini, in maggioranza occidentali, ma nei calcoli vanno compresi anche gli ucraini diretti volenti o nolenti in Russia (dati UNHCR). Tuttavia, rileva Gotev citando le ultime stime dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OMI), “più di sei milioni di persone sono tornate a casa in Ucraina nonostante la guerra continui ad imperversare (…) Il ricongiungimento con i familiari maschi, anziani o malati che non erano in grado di affrontare il viaggio, è stato il motivo principale del ritorno dei rifugiati, secondo lo studio”.
Altro fenomeno sempre più documentato e analizzato è la “fuga” – tra virgolette perché è un altro genere di “fuga” in quanto nessuno, ma proprio nessuno ha attaccato la Russia a differenza di quello che accade in Ucraina – dei russi dal loro paese: “rifugiati politici e migranti economici, tra cui molti esperti di informatica, renitenti alla leva e milionari. A differenza dell’Ucraina, la maggior parte dei russi fuggiti dal proprio Paese (circa un milione) sono uomini”, rileva Georgi Gotev, ricordando che la massiccia ondata di emigrazione russa) è cominciata il 21 settembre 2022, dopo l’annuncio del presidente Vladimir Putin di una “mobilitazione parziale” della popolazione russa in età di combattere. I russi trovano accoglienza soprattutto in Kazakistan, Georgia, anche in Turchia e in Serbia. Le repubbliche baltiche (e la Polonia) hanno invece chiuse le porte ai renitenti alla leva, ma il divieto “esclude i dissidenti russi che cercano rifugio nell’UE, gli autotrasportatori, i rifugiati e i residenti permanenti nei Paesi dell’UE, nonché coloro che visitano i familiari più stretti” (vedi). Sui dissidenti russi in Lituania, la cui diaspora era cominciata dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014, vedi. Per il dibattito in Lettonia vedi. Sull’intellighenzia russa in esilio a Riga dal 2014 (giornalisti, accademici e personalità di spicco del mondo della cultura russa) vedi.
Tra la fuga forzata degli ucraini e l’espatrio volontario dei russi corrono sette mesi. Se quella ucraina è la più grande migrazione di rifugiati in Europa dalla Seconda guerra mondiale quella dalla Russia è la più grande dalla Rivoluzione bolscevica del 1917, “quando milioni di intellettuali e di élite economiche fuggirono dall’ascesa dell’Unione Sovietica”.
Giustamente osserva Gotev: “La popolazione russa è in declino storico, poiché l’emigrazione si è unita al crollo del tasso di natalità formando una «tempesta perfetta»”. E se le operazioni militari dovessero continuare nei prossimi mesi, come pare previsto, “l’anno prossimo la Russia potrebbe registrare meno di 1,2 milioni di nascite, il dato più basso della storia moderna”. Certo, esortare in questa prospettiva le donne russe ad avere più figli in modo che fosse “più facile per loro mandare i figli in guerra”, non è una prospettiva né umana né allettante.
E’ in tale contesto che s’inserisce il rapimento di bambini ucraini portati in Russia. Rapimento che “rappresenta chiaramente una politica di Stato e un crimine di guerra di proporzioni monumentali”. Secondo fonti ucraine citate da Georgi Gotev “la Russia avrebbe deportato 13.000 bambini dall’Ucraina dall’inizio della guerra”. I fanciulli e gli orfani ucraini portati in Russia (un accenno qui) vengono russificati (cittadinanza russa, genitori adottivi russi), “educati patriotticamente” e si cerca di cancellare la loro identità ucraina.
A concludere questa sintesi, due ultime affermazioni di Georgi Gotev:
- “Quando la guerra finirà – e dovrà finire in un modo o nell’altro – il destino di questi bambini costituirà un capitolo difficile della sistemazione postbellica”.
- “Per la Russia, la fine della guerra sarà probabilmente un’altra pietra miliare nel suo declino come federazione e impero”.
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Vale la pena leggere l’articolo di Georgi Gotev in versione integrale in inglese e di consultare le sue fonti qui.