7,8 milioni di ucraini in fuga dalla guerra
di Marina Bedzki
Immagine di copertina.
Prendo spunto dalla prima pagina de “L’Osservatore Romano” del 30 novembre 2022 che titola: Un drammatico esodo.
No, non è un esodo anche se affiancato dall’aggettivo ‘drammatico’. Esodo, dal greco ἔξοδος, letteralmente “via che conduce fuori”, “uscita”, secondo dizionario è emigrazione volontaria di una comunità, motivata da ragioni morali, religiose o politiche, frazionata, più spesso, di massa. Il riferimento più usuale è l’uscita degli Ebrei dall’Egitto sotto la guida di Mosè avente missione di portare gli Ebrei, umiliati in Egitto, “verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele”. Un racconto, quello biblico, che narra l’archetipo del viaggio che culmina in una terra nuova, implicando al contempo una trasformazione interiore. In quel caso si trattò, dunque, di migrazione “volontaria” e di massa.
Se poi la valenza del termine ‘esodo’ è pari all’esodo domenicale o estivo dalle grandi città verso destinazioni ludiche o di villeggiatura, un grande movimento di cittadini che provoca stressanti ingorghi stradali; o assomiglia all’uscita di scena del coro che conclude la parte finale di una tragedia greca, ancor meno quello ucraino si può definire esodo. Gli Ucraini non partono da una terra straniera alla ricerca di una terra più accogliente, sono cacciati di casa con la forza, gli eserciti invasori, i missili vigliacchi. Non c’è alcun esodo guidato da alcun Mosé, la fuga avviene individualmente o a gruppi in maniera caotica, per varie ondate e maree che accumulandosi diventano milioni di rifugiati. Questo esodo non ha nulla di “volontario”, è migrazione forzata, fuggifuggi disperato. Non è liberazione, è esilio provocato da una guerra cinica e assassina. Non ha nulla di miracoloso, piuttosto è infernale, a meno che si consideri miracolosa l’accoglienza e la solidarietà degli altri europei nei confronti degli ucraini, con tutti i problemi di integrazione che ciò comporta (servono infatti politiche efficaci di accoglienza e integrazione per i milioni di persone fuggite in Europa dall’Ucraina – donne e bambini in maggioranza).
Le stime odierne (dati UNHCR del 6 dicembre 2022) parlano di 7,832,493 milioni di ucraini in fuga dalla guerra che si possono confrontare ai circa 5 milioni dell’aprile scorso.
Vedi la nota di inquadramento dei dati redatta dalla stessa UNHCR.
Michelangelo Priotto, Esodo, Nuova versione, introduzione e commento. Ediz. Integrale, Paoline 2014.
Per una riflessione completamente diversa sull’esodo ieri e oggi, si può leggere il commento di Moni Ovadia, L’Esodo biblico è il dolore dei migranti, “il manifesto”, 31 dicembre 2015: “… anche allora, riferisce il biblista, il popolo ebraico scelse la via dell’esodo per sottrarsi a condizioni di oppressione: la schiavitù e la persecuzione attraverso l’ordine dato alle levatrici egizie di sopprimere i maschi ebrei dopo averli portati alla luce e di lasciare in vita solo le femmine. Anche le genti migranti odierne scelgono la via dell’esodo per sottrarsi a schiavitù ed oppressione. Nessuna persona sensata potrebbe contestare il fatto che la fame coatta sia una terrificante forma di schiavitù e che le guerre siano una forma crudele di oppressione alla quale ogni essere vivente ha il pieno diritto di sottrarsi (…) Quei migranti che chiamiamo e tramandiamo col nome di ebrei (…) erano un popolo etnicamente omogeneo? Beh! Pare di no. Stando alla definizione del grande Rabbino statunitense e scrittore Haim Potok, riportata nella sua opera Storia degli ebrei, erano una specie di «mucchio selvaggio», c’erano israeliti discendenti di Giacobbe, vari asiatici: mesopotamici accadi, ittiti, transfughi egizi e molti habiru, – termine forse di origine protosinaitica che indicava i fuorilegge a vario titolo -, sovversivi, contrabbandieri, ruffiani, ladri. Tutti coloro definiti «ebrei» seguirono Mosè? Anche in questo caso la risposta dovrebbe essere negativa! La maggior parte di essi preferì negoziare la certezza di una schiavitù accettabile, all’avventura di una difficile e rischiosa libertà”. Testo intero di Moni Ovadia qui.
Come il libro dell’Esodo “non è un canto piano, ma una cantata a più voci” (Jean-Louis Ska), così esodo ha significati ormai plurali. Si potrebbe ovviamente optare per una diversa definizione del termine, evidenziando il lato forzoso di ogni emigrazione da una data regione verso un’altra da parte di una popolazione; emigrazione forzosa anche quando determinata non da guerra o da calamità naturali ma da ragioni politiche, economiche, religiose o culturali. Rimaniamo invece dell’idea (tradizionale, biblica) che ‘esodo’ è simbolo fondamentale di liberazione dalla schiavitù e di prima conquista della libertà. In questa prospettiva non è parola adatta a definire il fiume abnorme di profughi ucraini che scappano dalla guerra. Si pone però la domanda: è termine adatto a definire le odierne fughe dalla Russia – al netto delle spettacolarizzazioni giornalistiche?
Il rabbino capo di Mosca Pinchas Goldschmidt, fuggito in Israele, dice che “È in corso un esodo dalla Russia” a causa del crescente antisemitismo: un quarto degli ebrei russi è già fuggito dal paese (lo riferisce Giulio Meotti su “il Foglio” del 1 dicembre 2022).
I russi che lasciano la Russia alimentano un grande esodo verso Kazakistan, Georgia, Armenia: russi che non vogliono essere arruolati, persone in cerca di lavoro, di libertà, di migliori condizioni di vita, persone che dissentono o sono critiche verso l’apparato di potere che fa capo a Putin (vedi le interviste raccolte al riguardo da OGzero).
Marc Chagall, dal ciclo “La storia dell’Esodo”.
Se è vero che nella lingua e nel suo uso è inscritta una visione del mondo, allora interrogarsi sulle parole diventa, nella polarizzazione attuale, ogni giorno più urgente, necessaria. Nominare i fenomeni canalizza la percezione e persino lo svolgimento dei ‘fatti’. A sua volta, la consapevolezza delle parole diventa una forma di resistenza. Torna alla mente il filologo tedesco Viktor Klemperer, che in Lingua Tertii Imperii osservava: “Ciò che qualcuno vuole occultare, o agli altri, o a se stesso, perfino ciò che racchiude entro di sé inconsciamente, la lingua lo porta alla luce”. Ed è in questo senso che chiamare ‘esodo’ ciò che accade oggi alle persone in fuga dall’Ucraina può essere, anche inconsapevolmente, un atto di occultamento o quanto meno un eufemismo.
Per una riflessione ancora diversa, vedi di Mattia Cavadini: Esodo o odissea? Questo è il dilemma: partire pensando di tornare o partire senza ritorno?
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