L’imperialismo sovietico del 1956 riletto oggi
Immagine di copertina, Hannah Arendt, Foto via Olycom, dettaglio.
Il 10 luglio alle ore 18.30, presso il Guarini Institute for Public Affairs della John Cabot University di Roma, in via della Lungara 233, si svolgerà il seminario sulla filosofa tedesco-americana Hannah Arendt e il suo saggio sulla rivoluzione ungherese e sull’intervento militare sovietico del 1956.
Per partecipare in presenza oppure online occorre registrarsi. Per informazioni: guarini-institute@johncabot.edu.
Al seminario che si svolgerà in lingua italiana intervengono: Federigo Argentieri, direttore del Guarini Institute for Public Affairs della John Cabot University, Paolo Mattera, docente dell’Università Roma Tre, i docenti della John Cabot University Fabrizio Conti e Diego Pagliarulo.
Il saggio di Hannah Arendt, pubblicato in inglese nel 1958 sulla rivista “The Journal of Politics” (Nr. 1, Feb.) e in italiano per la prima volta su “Micromega” nel 1987 (Nr. 3), è stato poi nuovamente tradotto in italiano da Federigo Argentieri e pubblicato in appendice al libro Il proletariato contro la dittatura, Golem Edizioni, giunto oggi alla sua quarta edizione.
Dalla scheda dell’Editore: “A venticinque anni dalla prima edizione, distribuita dal quotidiano “L’Unità” con il titolo Budapest 1956 – la rivoluzione calunniata, torna in libreria un testo ormai classico, in versione aggiornata ed ampliata con in appendice il noto saggio di Hannah Arendt in una nuova traduzione curata dall’autore stesso. Per troppo tempo in Italia l’attenzione si è focalizzata sulla legittimità o meno dell’intervento militare sovietico, quindi sui contraccolpi da esso causati nello scenario politico nazionale: è tempo di passare all’analisi del progetto politico che riuscì a delinearsi in pochi giorni, a completarsi dopo l’arrivo dei carri di Mosca e a lasciare un’eredità importante nella storia del ventesimo secolo. Come felicemente ancorché inesattamente sintetizzato da Ignazio Silone, «il Palazzo d’Inverno, Kronštadt e Barcellona si sono succeduti sulle rive del Danubio con la rapidità delle edizioni straordinarie di un giornale a grande tiratura». E Raymond Aron poco dopo scrisse: «Operai, intellettuali, studenti, uniti secondo il sogno di Marx, insieme hanno dimostrato che il regime totalitario, pretendendo di sopprimere le rivalità, legittime e feconde, degli uomini e delle idee, forgia l’unanimità del popolo contro l’apparato della tirannia (…) la follia degli ungheresi, in rivolta da soli contro un impero onnipotente, continuerà di secolo in secolo a testimoniare per l’uomo e a dare fede nel suo destino»”.
“Nei suoi 12 anni al potere, il governo di Viktor Orbán ha ridotto la rivoluzione ungherese ad una mera affermazione di orgoglio nazionale, tralasciando volutamente la ricchezza insita nel progetto socialista e democratico, forgiato spontaneamente dalla nuova classe operaia creata dal regime comunista: il libro colma questa lacuna poggiando su tutta la storiografia esistente, da quella anarchica o trotzkista a quella liberale o di destra, restituendo appieno la forza di un progetto affascinante e ancora valido che temporalmente si collocò a metà strada fra l’insurrezione di Kronštadt, nel marzo 1921, e la fine dell’URSS nel dicembre 1991”.
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