Quando finirà̀ questa guerra torneremo a parlare di cultura russa
di Mario Corti
Immagine di copertina: particolare di un’illustrazione (penna a sfera, guazzo) di Serhiy Kolyadà, illustratore e vignettista ucraino, dal titolo “Ucraina oggi”.
Per gentile concessione dell’Autore e dell’Editore, che ringraziamo, pubblichiamo un estratto del libro in corso di pubblicazione di Mario Corti, L’Ucraina e la vetrina delle distorsioni. Diario di guerra in poltrona (24 febbraio 2022-24 febbraio 2023), Prefazione di Anna Zafesova, Gaspari editore, Udine 2023.
Dalla quarta di copertina del libro:
Dalla Prefazione di Anna Zafesova: “per raccontare la discesa nell’abisso della Russia di Putin ci voleva un vecchio cronista, un ‘sovietologo’, un uomo che aveva conosciuto e raccontato l’Urss, quella vera, non quella che Putin cerca di reinventare in base alle sue nostalgie giovanili. Un professionista il cui mestiere era stato fare giornalismo in un Paese che aveva conosciuto solo la propaganda, e di cercare di raccontare ai russi quella Russia che veniva nascosta, censurata, calunniata. Solo un esperto come Mario Corti poteva riconoscere, con orrore, i segni di una nuova vecchia dittatura, e di vedere nel leader che molti commentatori occidentali raccontavano come ‘il gran maestro degli scacchi geopolitici’ quello che era: uno degli ultimi allievi di un sistema fallito, il prodotto finale dell’ipocrisia e della mediocrità̀ sovietica, il cui unico vero talento era stato quello di condividere con molti suoi concittadini quel sentimento di offesa, rivalsa e falsa coscienza con cui avevano vissuto il collasso del loro impero. Un risentimento diventato ‘ideologia nazionale’, come dice …”.
(pp. 36-37) Maggio 7, 2022
Traduco per gli amici italiani che non conoscono il russo due brani dalla mia intervista a Radio Svoboda (Radio Liberty) trasmessa ieri nel programma Gumanitarnyj koridor condotto da Ivan Tolstoy e Igor Pomerantsev.
PREMESSA: GUERRA E CULTURA.
Non me ne vogliano gli appassionati di cultura russa (lo sono anch’io), ma il sommo poeta russo, il “nostro tutto” dei russi (naše vsë), riferendosi alla Guerra Russo-Polacca del 1830-1831, la definiva “una disputa tra noi, tra slavi” e sollecitava i “calunniatori della Russia”, cioè̀ gli europei che appoggiavano la causa dell’indipendenza polacca, a non immischiarsi. Ogni riferimento alla situazione attuale è puramente casuale. A volte può̀ succedere che la metrica o la rima esigano la trasmutazione in “disputa” di un feroce conflitto armato cui sarebbe seguita una dura repressione.
Sinceramente di questi tempi, nel bel mezzo della guerra di Caino, non ho granché́ voglia di parlare di cultura. Ma se devo proprio farlo, premetto che il colpo più̀ micidiale alla cultura russa è stato inferto da Putin e dai suoi accoliti.
Di questi tempi vengono alla mente aspetti della cultura russa in precedenza trascurati a vantaggio di una visione complessiva, di un giudizio generale sull’opera di questo o quell’autore. Cultura, rispettabilità̀ e innocenza sono categorie diverse.
Da che parte starebbe oggi Puškin? Da che parte stava durante la guerra russo-polacca del 1830-1831? Ricordate i suoi versi Ai calunniatori della Russia:
Che cosa vi ha irritati, i tumulti di Lituania?
Lasciate perdere: è una faccenda fra noi, fra slavi,
Roba di casa nostra, roba vecchia, segnata dalla sorte,
Una questione che non sta a voi risolvere.
[Traduzione di Elena Corti]
Lo scrittore Petr Andreevič Vjazemskij definì quei versi “poesia in uniforme”.
È un’esortazione all’Occidente a non immischiarsi. Quei versi sembrano scritti oggi. Vi ricordate i versi di Puškin su Adam Mickiewicz intitolati È vissuto insieme a noi? Il poeta polacco si era rivelato ingrato. Aveva osato appoggiare la lotta dei suoi compatrioti per l’indipendenza del suo paese:
Se ne tornò in occidente, lo accompagnammo
con una benedizione. Ma adesso per noi
Quell’ospite mite è diventato un nemico – colma
Di veleno i suoi versi per compiacere
La plebe turbolenta. Da laggiù̀ giunge
Fino a noi la voce del malvagio poeta….
[Traduzione di Elena Corti]
Da che parte starebbe oggi Dostoevskij? Colui che nella sua pubblicistica celebrava qua e là la superiorità̀ dell’uomo e del popolo russo su tutti gli altri e chiamava gli stranieri spesso e volentieri con nomignoli dispregiativi: francesini o tedescacci? Ecco cosa diceva degli ucraini: “i piccoli russi hanno sempre il dente avvelenato”.
Da che parte starebbe oggi Solženicyn, le cui idee sulla questione ucraina intenzionalmente o meno sono diventate il fondamento ideologico, la giustificazione dell’invasione cui stiamo assistendo?
Torniamo dunque al punto da cui sono partito. Non si può̀ disgiungere il popolo, la cultura, gli intellettuali dal governo e dallo stato. Non funziona così. Lo stato è l’insieme di tutto il popolo, ivi compresi gli esponenti della cultura e i governanti. E dunque l’atteggiamento nei confronti dei governanti e delle loro decisioni si estende irrimediabilmente alla cultura. E ciò̀ avverrà̀ finché il popolo non prenderà̀ nelle sue mani il destino del proprio paese. Cosa che non è ancora avvenuta.
Gli israeliani hanno fatto tranquillamente a meno di Wagner per decenni. Se dovessimo starcene per un po’ senza Il lago dei cigni ce ne faremo una ragione. Quando finirà̀ questa guerra torneremo a parlare di cultura russa.
[La mia affermazione riguardante Solženicyn è parzialmente e sostanzialmente vera. Si veda la sua posizione sull’Ucraina in Kak nam obustroit’ Rossiju in “Literaturnaja gazeta”, No. 38 (5312), 18.9.1990, e “Komsomol’skaja Pravda”, 18.9.1990 (Come ricostruire la nostra Russia, Milano: Rizzoli, 1990), ma anche in altri suoi articoli e libri, tuttavia, riflettendo, non credo che avrebbe mai approvato alcuna azione violenta contro di essa.]
Immagine: “No Putin. No war.” Plan B Street Art, fonte.
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