Tra repressione, consensi, dissensi e possibili riconfigurazioni
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Martedì 15 novembre 2022 presso l’Auditorium Santa Giulia in Brescia si è tenuto l’incontro sul tema: La violazione dei principi democratici e dei diritti umani nella Russia di oggi.
L’incontro è stato promosso dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura e dalla Fondazione Brescia Musei in collaborazione con Memorial Italia e rientra nelle iniziative del Festival della Pace 2022 promosso dal Comune di Brescia. Per rivedere l’evento in video, qui.
Sono intervenuti: Dario Fertilio (giornalista e scrittore), Marcello Flores (già docente di Storia contemporanea nell’Università di Siena, dove ha diretto anche il Master in Humain Rigthts and Genocide Studies, membro di Memorial Italia), Anna Zafesova (giornalista de “La Stampa”, di cui è stata corrispondente da Mosca, vincitrice del Premio Cerruglio 2022, il concorso letterario nazionale di saggistica d’attualità, con il suo saggio Navalny contro Putin), Carolina De Stefano (autrice per la Morcelliana del recentissimo libro Storia del potere in Russia. Dagli zar a Putin), Anton Dolin, il più celebre critico cinematografico russo, caporedattore della rivista Isskustvo kino (Arte del cinema) ed editorialista del portale Meduza, che ha lasciato il paese dopo l’invasione dell’Ucraina, e Victoria Lomasko, artista russa in mostra a Brescia.
Il dibattito ha cercato tra l’altro di rispondere agli interrogativi che ci poniamo sulla vita pubblica in Russia. Cosa accade nella società russa, nelle sue profondità complesse? Dove stanno andando i russi? C’è dissenso? Quale tipologia di dissenso: politico, culturale, alla luce del sole, privato? Quali sono le dimensioni della protesta? Difficile dirlo, difficile vedere il dentro della società russa, la conosciamo poco, difficile guardare oltre le dure maglie e botte della repressione. Il putinismo è una dittatura personalistica attorniata da una corte su modello monarchico nella quale convergono sete di potere, ruolo della religione, un russo-centrismo che viene da lontano, un nazionalismo russo di impronta sovietica, militarismo, colonialismo nei confronti delle ex-repubbliche sovietiche, imperialismo zarista. Qual è lo stato dei diritti umani in Russia? Calpestati a dir poco, anno dopo anno sempre più violati (dalla libertà di stampa a quella di manifestare). Di quanto consenso gode il putinismo? Non è un consenso visibile trattandosi di dittatura ma esiste. Putin ha indubbiamente goduto di un consenso popolare nel suo ventennio al potere. Forse il nucleo degli elettori che condividono le sue idee riguarda il 25-30% dell’elettorato russo. I contrari sarebbero un terzo dell’elettorato. La zona grigia l’altro terzo. Oggi quella russa è una società spaventata, senza grandi movimenti di protesta. Milioni (?) sono emigrati o fuggiti, specie intellettuali e professionisti di medio-alto livello. Più che di dissenso forse si dovrebbe parlare di consenso oggi incrinato. La lunga relazione col putinismo sta finendo. Che fase attraversa la cultura russa? La sfera culturale interessa poco ai potenti, la cultura ufficiale, statale salvo eccezioni, se non è morta certamente dorme profondamente. La cultura di opposizione è forte soprattutto tra gli artisti, forse perché l’arte è settore meno sovvenzionato dal potere. Chi dipende dai finanziamenti statali è più incline a rimuginare in silenzio. Nei discorsi sempre più spesso affiora la possibilità di una frattura possibile tra il centro e le varie entità federate russe, tra il potere centrale e lo scontento dei poteri, dei governatori e dei leader regionali. Si prospetta un distacco delle periferie dalla rigidità della presidenza moscovita. Distacco come motore del futuro collasso del regime? Comunque sia si profila una rinegoziazione dei complessi rapporti tra tutti i soggetti della Federazione Russa a 26. A fornire soldati alla guerra sono le periferie più povere e meno formate, le minoranze non russe, non slave, non ortodosse. Donde il dissenso delle madri cecene e buriate. Donde le spinte verso una maggiore autonomia in reazione alla centralizzazione putinista. Alla fine di questa guerra la previsione è che Russia che emergerà dalla sconfitta non avrà più i confini della Russia che conosciamo oggi. La parola chiave è rinegoziazione, riorganizzazione, riconfigurazione dello spazio dominato da Mosca.
Al conflitto in Ucraina non si possono applicare schemi balcanici, non è una guerra etnica in senso stretto, molti ucraini combattono gli invasori russi continuando a parlare russo, la chiave etnico-linguistica non è appropriata in questo caso, è piuttosto una guerra tra due insiemi di valori. In Ucraina c’è bilinguismo e c’è un mix etnico molto forte, la crescita dell’ucrainizzazione è spinta dalla guerra.
L’utilizzo del termine genocidio è stato esagerato. Il primo a usarlo è stato Putin accusando gli ucraini di commettere genocidio a danno dei russi del Donbass per giustificare la sua invasione. Ma la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite (International Court of Justice, ICJ) il 16 marzo 2022 ha emesso l’Order-Ukraine v. Russian Federation, con cui ha stabilito l’illegittimità, sotto il profilo dei principi e delle regole del diritto internazionale, delle azioni belliche intraprese dalla Federazione Russa in Ucraina a partire dal 24 febbraio scorso, in particolare con riferimento alle previsioni della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948 e della Carta delle Nazioni Unite del 1945 (vedi). Quindi, nessun genocidio da parte ucraina. Difficile, d’altro canto, parlare di genocidio in senso letterale in riferimento ai crimini contro l’umanità commessi dai russi in Ucraina. Forse solo a Bucha?
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La sostanza è che bisogna sostenere, ascoltare, dialogare con la parte più europea della società russa, quella più europeizzata, attualmente e storicamente più vicina ai valori e alla cultura (civiltà?) dell’Europa occidentale. Facile a dirsi.