İmamoğlu in cella, l’opposizione in un vicolo cieco, i giovani senza bussola
di Carmela Giglio
Immagine di copertina, ID 198017682 © Aisha Nuraini | Dreamstime.com
Anche una foto conta mentre tutt’attorno si è scatenata la tempesta.
Con Ekrem İmamoğlu, popolarissimo sindaco di Istanbul, disarcionato e sbattuto in cella mentre già si preparava a correre per le prossime presidenziali, l’opposizione è in rivolta. La Turchia laica e secolarista, tenuta insieme dalla venerazione per il padre della patria Mustafa Kemal Atatürk, è ormai senza bussola; e cerca una via d’uscita.
I giovani hanno ritrovato il coraggio di uscire allo scoperto; e dalle cancellerie europee si levano voci, a tratti flebili come sussurri, di condanna.
E lui, Recep Tayyip Erdoğan si fa riprendere da uno stuolo di cameramen e fotoreporter mentre sorseggia un caffè turco in un locale di Istanbul, attorniato da commensali dallo sguardo adorante mentre dispensa saluti e sorrisi.
Lo aveva già fatto all’indomani delle ultime elezioni amministrative quando il suo partito, l’AKP, era finito stritolato fra il dilagare del partito repubblicano nelle grandi aree urbane e l’avanzata dell’ultradestra islamista in province che fino ad allora erano state sue tradizionali riserve di caccia. Il messaggio di Erdoğan – come nota acutamente il giornalista Ragip Soylu sul “Middle East Eye” – non potrebbe essere più chiaro: “qualsiasi cosa pensiate di me, non m’importa. Io sono ancora qui”.
Perfino in un paese come la Turchia, dove è difficile tenere il conto degli oppositori politici finiti in carcere nel corso degli anni, l’arresto di İmamoğlu, ha segnato una brusca sterzata politica che nessun richiamo all’indipendenza della magistratura può mascherare.
Nei suoi 22 anni al potere, ma soprattutto a partire dallo sventato colpo di stato del 2016, Erdoğan ha rafforzato la sua presa sugli apparati e le istituzioni statali.
Solo nel settore della giustizia, le purghe del governo turco hanno colpito oltre 4.000 mila magistrati, circa il trenta per cento del totale, sostituiti da altrettanti colleghi considerati “lealisti”; o quanto meno inclini a muoversi con maggiore disinvoltura sul crinale sempre più stretto fra diritto e potere politico.
Il controllo sui mezzi di informazione ha soffocato le voci contro. Ancora nei giorni più infuocati delle proteste nate sull’onda dello sgomento e dell’indignazione per l’arresto di İmamoğlu, sono state oscurate quattro emittenti ree di aver trasmesso in diretta le manifestazioni.
È su questo scenario interno “addomesticato” che Erdoğan ha potuto far leva per alzare clamorosamente il tiro, mentre quello internazionale non poteva essergli più congeniale.
Nell’era del “liberi tutti” inaugurata da Donald Trump, l’Europa frastornata e in affanno vede nella Turchia – con il secondo più grande esercito della Nato e un’industria della difesa che va al galoppo – un partner essenziale per la sua sicurezza, una grande sponda ineludibile sulla quale far leva.
Eppure, a dispetto della stiracchiata solidarietà internazionale, la messa fuori gioco del sindaco anti-Erdoğan ha avuto l’effetto di una scossa.
Ne sono prova le centinaia di migliaia di persone che – rispondendo al richiamo del partito repubblicano – hanno inondato come un fiume in piena l’enorme piazzale di Maltepe, sulla sponda asiatica di Istanbul.
Sul palco, tra la folla, è risuonata la canzone (vedi qui e qui e qui) che fu la colonna sonora delle proteste di Gezi Park (ascolta qui cantare Kurtuluş Yok Tek Başına e ancora qui), l’ultimo sussulto di ribellione della società civile turca, stroncato con la forza nel 2013: “non c’è salvezza da soli. O tutti insieme. O nessuno”.
Oggi come allora, l’anima della ribellione sono i giovani. Sfidano divieti e repressione. Lo fanno nel nome di İmamoğlu. Ma a spingerli è anzitutto la paura. e l’angoscia per un futuro che vedono sempre più opaco.
Da uno studio condotto lo scorso febbraio dalla Artibir research company, un istituto di ricerca di Istanbul che opera al di fuori dei radar governativi, emerge un ritratto cupo della generazione zeta (che è pari al quindici per cento circa della popolazione in un paese dove l’età media si aggira sui 33 anni).
Sono ragazze e ragazzi che in maggioranza si sentono infelici, soli e privati della libertà, ingabbiati dalla crisi economica: più del sessanta per cento di loro non può permettersi un alloggio proprio, né cavarsela senza l’aiuto della famiglia.
I più disagiati hanno un reddito che oscilla fra le cinquanta e le ottanta lire al giorno: l’equivalente della tariffa giornaliera del trasporto pubblico nelle grandi città.
Invocano: diritti, legge, giustizia, ma guardano con ostilità agli immigrati siriani ed afgani.
Si sentono come naufraghi in una Turchia in tempesta.
Di Rachele Botti leggi Cartoline da Istanbul. Erdoğan l’inaffondabile. Il Secolo della Turchia e la nuova stagione di espansione neo-imperiale – una riflessione a caldo.
2 Commenti. Nuovo commento
Un ritratto preciso e chiaro della Turchia di oggi, per ora, almeno, senza reali possibilità di svolta.
Grazie per il commento. Cerchiamo di rimanere informati.