Tradurre a penna l’altrui penna? Note, viaggi e poesie (polacche)
di Linda Del Sarto
Aprile 2019. Per la prima volta mi trovavo alla Children’s Book Fair di Bologna e intorno a me si apriva uno scenario favoloso: stand di case editrici provenienti da tutto il mondo, libri di ogni genere e formato, pareti piene di illustrazioni colorate. Da molto tempo covavo l’idea di cimentarmi nella traduzione di qualcosa per ragazzi. Poteva esistere un posto migliore per andare a caccia di spunti?
Camminavo con occhi sognanti fra una corsia e l’altra senza una vera meta, finché non capitai davanti allo stand dell’editore Znak, uno dei più importanti in Polonia. Pochi sguardi fra gli scaffali ed eccola lì, l’illuminazione: di fronte a me avevo i libri di Michał Rusinek. Incredibile che non ci avessi ancora pensato. In effetti, appena un anno prima mi trovavo a Cracovia in Erasmus e Michał era stato il mio tutor durante lo stage alla Fondazione Wisława Szymborska, dove mi occupavo di insegnare italiano partendo dai testi della grande poetessa (che, tra l’altro, è stata il motivo scatenante del mio grande amore per la poesia e la lingua polacca). Conoscendo il brio e la bravura di Michał, senza pensarci due volte presi a sfogliare Wierszyki Rodzinne (che sarebbero poi diventati nelle edizioni MIMebù, Piccole poesie di famiglia).
Era il libro giusto: mi conquistò subito per la bellezza del tema della famiglia, poco battuto in termini di valorizzazione dell’originalità, della diversità e delle piccole stranezze che rendono unico ogni suo componente. Rimasi colpita dalla piacevolissima ironia con cui sapeva dire basta alla perfezione, ricordandoci che siamo variegati, buffi e perciò preziosi (troppo spesso tendiamo a dimenticarlo). Risultato? Dopo poche pagine la famiglia di Michał e di sua sorella Joanna Rusinek era diventata un po’ anche mia. Leggendo mi affezionavo sempre di più ai protagonisti di quell’albero genealogico, ed è stato un attimo, quindi, passare a ripensare pure al mio, recuperando a memoria affinità e somiglianze con i miei parenti; e come dice l’autore stesso nell’introduzione, va da sé che, gustandosi anche solo un testo o due, venga la voglia di rivangare vecchi aneddoti sui propri cari o scoprirne di nuovi. Perché, a ben guardare, in famiglia non ci si annoia proprio mai.
Il bello è che Michał ha raccontato tutto ciò utilizzando una delle forme stilistiche più complesse: la poesia in rima. Nel processo di traduzione ho ritenuto assolutamente doveroso rispettarla, optando solo rarissime volte per la scelta di rime imperfette (ritaglia-soglia; finire-gentile) o per l’alterazione dello schema (modificando, ad esempio, AABB in ABAB); questo per non discostarmi troppo o dal contenuto o dal ritmo della poesia originale. Non tenere conto di questi elementi avrebbe dissolto in un colpo solo armonia sonora e scorrevolezza, entrambe fondamentali per i piccoli lettori.
I versi hanno infatti una scansione metrica piuttosto precisa: dominano le poesie composte interamente da ottonari, novenari, settenari, ma compaiono anche schemi metrici misti, com’è visibile ne L’astronomo o L’acrobata. Con Chiara Carminati, curatrice del volume, abbiamo avvertito fin dall’inizio la necessità di cercare di mantenere nella resa italiana il ritmo trainante e cadenzato degli originali. Perché questo fosse possibile, abbiamo trovato lecite strategie: fra le altre, l’adozione di metri diversi, puntando tutto ad esempio sugli endecasillabi, più lunghi e narrativi in italiano rispetto agli ottonari presenti nella lingua polacca (per natura molto sintetica grazie all’esistenza dei casi). Facendo un bilancio generale, possiamo dire alla fine di aver mantenuto un numero di sillabe perlopiù regolare in ogni testo, anche se non sempre aderente al metro originale.
Un’altra grande difficoltà è stata valutare dove “addomesticare” il contenuto delle poesie. Ce ne sono alcune che presentano riferimenti culturali specifici, legati a tradizioni, leggende, luoghi polacchi precisi: di volta in volta abbiamo riflettuto insieme all’autore se fosse meglio mantenerli identici o se invece italianizzarli, per evitare di creare un effetto eccessivamente straniante. Un esempio è ne Il tartaro, dove mi sono vista costretta a inserire una piccola nota esplicativa per accennare alla leggenda della torre della basilica di Cracovia e contestualizzare meglio il seguito.
Ma andando oltre tutti gli ostacoli e i dolori, l’aspetto in assoluto più appassionante di questa avventura è stato sentirmi un po’ co-autrice del libro. Perché è vero che bisognerebbe tradurre “a un millimetro dal testo”, come sostenuto da Anna Wasilewska per enfatizzare la necessità di trovare un equilibrio tra il migrare avventatamente altrove rispetto alla lingua di partenza e il rendersene schiavi; ma è pur vero che in poesia, forse, è lecito tradurre anche a qualche centimetro di distanza dal testo originale. In confronto a quanto avviene in prosa, per ovvie ragioni si è giustificati nel prendersi maggiori libertà. A volte anche molto grandi. Nel mio caso ho potuto (e dovuto) dare spazio a fantasia e immaginazione, confrontandomi con la riscrittura di interi testi a causa di giochi di parole altrimenti intraducibili, come ne La guardia a cavallo, che insiste su termini di uguale radice: l’originale racconta di un soldato di cavalleria (kawalerzysta), convinto scapolo (kawaler), che decide di cambiare lavoro diventando una specie di giullare (kawalarz). In italiano ho creato una guardia a cavallo che si impegnava a fare la guardia e a guardarsi da tutti (donne comprese) per poi finire guardarobiere. Tutto questo facendo attenzione a non contraddire quanto appariva nelle illustrazioni.
Credo che tradurre la penna di qualcun altro sia sempre un viaggio avvincente, soprattutto se si tratta di poesia. Perché bisogna ascoltare le parole, leggerle piano e poi scandirle ad alta voce; interpretarle, sentirle, guardarle da ogni angolazione e rielaborarle, vedere come si ambientano sul foglio, consegnarle a nuovi occhi curiosi. Dubito esista una gioia più grande. E per me è stata una prima, intensa, meravigliosa opportunità.
Linda De Sarto. Laureata in Lingua e cultura italiane per stranieri, ha conseguito un master in Editoria cartacea e digitale all’Università Cattolica di Milano. Segnalata al Premio Rimini, finalista al Landi e al LILEC per la traduzione poetica, fa parte del XV Quaderno italiano di poesia contemporanea edito da Marcos y Marcos (2021). Ha tradotto dal polacco il libro per ragazzi di Michał Rusinek Piccole poesie di famiglia (MIMebù, 2021), per cui ha ricevuto il premio Benno Geiger 2022 come Giovane Traduttore, e Canzone nera di Wisława Szymborska (Adelphi 2022). Dopo aver lavorato alla Garzanti, attualmente è libraia a Bologna.
Dalla scheda di presentazione di Piccole poesie di famiglia): «La mia famiglia, vista da fuori, è un po’ come tutte le altre… Ma secondo voi esiste davvero una famiglia normale? Sono convinto che in ognuno di noi sia racchiusa qualche stranezza, ognuno ha vissuto qualche avventura, di ognuno si può raccontare qualche aneddoto bizzarro. E lo stesso vale per le famiglie! Ecco a voi il catalogo completo e stravagante della mia famiglia (della nostra, anzi, visto che mia sorella è l’illustratrice del libro), raccontato attraverso 50 piccole poesie ispirate ai nostri antenati: c’è il rapitore, la rapitrice (chi dei due è il vero colpevole?), l’assistente di volo, il sarto, il prigioniero e tanti altri. E sennò, a che serve l’immaginazione?»
«Una raccolta di poesie scritta e illustrata in tono ironico, fresco e spassoso, che invita i piccoli lettori a guardare con occhi diversi chi ci sta attorno e cimentarsi a disegnare l’albero genealogico della propria famiglia – Il respiro ironico e brillante della poetessa Premio Nobel Wisława Szymborska rinasce nelle poesie del suo più fidato amico: Michał Rusinek».
Vedi il video (in inglese con sottotitoli in italiano) Usate l’immaginazione! Michał Rusinek presenta “Piccole Poesie di Famiglia”.