La resistenza quotidiana delle prigioniere ucraine
di Marta Nykytchuk
Immagine di copertina: dettaglio di una foto di due prigioniere mandata dal campo di Tajšet, 1954 (elaborazione grafica). Archivio familiare di Marjana Bajdak.
Sopravvivere nel Gulag. La resistenza quotidiana delle prigioniere ucraine (Viella 2023) è un libro scritto da Oksana Kis’ e pubblicato nel 2022 in Ucraina. Tradotto a curato da Simone Attilio Bellezza e Iryna Kashechey è stato pubblicato, per la prima volta in italiano, nel marzo 2023.
Non è un libro, come si potrebbe pensare, scritto e pubblicato a causa della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina. Non tutta la saggistica e letteratura ucraina viene necessariamente prodotta ai fini e in ragione della guerra. Questa precisazione è importante: sia il curatore sia la traduttrice hanno cercato di veicolare tale messaggio. In molti, tuttavia, si potranno chiedere del perché questo volume sia uscito proprio un anno e mezzo dopo lo scoppio della guerra. In realtà la risposta è semplice: non bisogna collegare una ricerca necessariamente al presente più cupo. Certamente, ciò che noi ucraini cerchiamo di trasmettere è l’idea della dimensione culturale, letteraria, linguistica e storica del nostro territorio che per anni (se non per secoli) è stato visto come una dipendenza della Russia quando non parte stessa della nazione russa. Pertanto vogliamo promuovere l’esistenza della cultura ucraina, di una storia e letteratura ucraine ancorate al territorio. Questa ricerca non è facile, come non agevole è stata la ricerca della scrittrice-antropologa ucraina su un argomento tanto sensibile, arduo da affrontare non solamente in Ucraina, ma a livello europeo e mondiale.
Mesi fa ho narrato su poli-logo le memorie di una sopravvissuta, una prigioniera politica, Mariya-Marta Petrushevyč-Yatsyshyn. Oksana Kis’ ha appunto tra gli altri suoi pregi quello, ai miei occhi, di avere approfondito il discorso della prigionia femminile in epoca sovietica andando a rispolverare quel passato dell’URSS, cercando soprattutto di andare oltre la superfice dei resoconti, indagando sulla paura e sulle forme di resistenza, convivenza, sopravvivenza di donne considerate pericolose e, per questa ragione, il più delle volte ingiustamente incarcerate. La sua monografia riflette lo sforzo collettivo e intellettuale di un insieme di studiose ucraine che si si sono dedicate al tema negli ultimi trent’anni. Ecco perché questo volume ha suscitato grande interesse molto prima dell’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina.
Il titolo originale di Sopravvivere nel Gulag è Ukraïnky v Gulagu: vyžyty značyt’ peremohty: in traduzione letterale sarebbe: “Le ucraine nel Gulag: sopravvivere significa vincere”. La sopravvivenza – sottolineata nel titolo italiano – è simbolo della resistenza, dell’unione tra le persone, della loro rivincita. Poco si sapeva della popolazione ucraina imprigionata ai tempi di Stalin. Così, vuoi per scarsa conoscenza, vuoi per la poca diffusione delle informazioni si riteneva che tutta la parte occidentale, europea dell’Ucraina fosse “russa” – ancor meno si sapeva delle donne per anni imprigionate nei campi di concentramento e di lavoro sovietici.
Nell’introduzione del libro Oksana Kis’ esplicita il motivo che l’ha spinta a scrivere. È tutto merito – spiega – di una donna ucraina, Marija Šanhutova, i cui ricordi riguardanti il lavoro forzato in Germania la scrittrice aveva registrato anni prima. La conversazione tra le due donne, nata come intervista, era diventata un dialogo intorno alle accuse del governo sovietico nei confronti di Marija e sulla sua permanenza nel Gulag. Sin dalle prime righe si può notare il dispiacere di Oksana Kis’ che ammette, con affetto, quanto fosse poi costernata per non aver registrato la conversazione. Tuttavia, quella testimonianza le ha permesso di approfondire la riflessione sulle prigioniere donne nell’arcipelago del Gulag. Come le si potrebbe definire? Vittime o vincitrici? A lungo la figura femminile è stata vista come una santa da venerare in virtù delle sofferenze patite. Chiunque poteva rappresentarsi i supplizi inflitti alle e subiti dalle prigioniere, ma nessuno esplicitava tali supplizi, nemmeno le prigioniere stesse si sentivano a proprio agio nel parlarne, per pudore, per imbarazzo. La macchia nera di quanto accaduto nella carcerazione le perseguitava a vita. Tutti si immaginavano le torture a cui ciascuna prigioniera veniva sottoposta, ma nessuno/a si è mai sentito/a abbastanza forte per parlarne liberamente, fino a questo libro.
Lo stereotipo della vittima priva di ogni diritto perché prigioniera, della vittima senza forza, della vittima che ha penato sperimentando solo sofferenza e perdita può essere del tutto ribaltato dopo un’attenta lettura del libro di Oksana Kis’. Appare evidente che la studiosa tiene in maniera particolare a far passare un altro genere di messaggio, ben diverso dal classico stereotipo appena menzionato. Perché le prigioniere devono essere descritte sempre allo stesso modo? Sono sopravvissute, dunque hanno molto da raccontare! Oksana Kis’ cerca lei di rivendicare il diritto delle prigioniere a venire considerate da una posizione differente rispetto alla vittimizzazione con cui sono solitamente descritte. Grazie alle sue decennali ricerche la storica-antropologa dimostra quanto, in realtà, sappiamo poco di altri aspetti, quali la sorellanza, la reciprocità, la collaborazione e la forza femminili. “La vita delle donne nei campi era piena di pratiche quotidiane di resistenza all’influenza disumanizzante del regime, pratiche apparentemente piccole, quasi impercettibili, ma di fatto efficaci”. Con i loro ricordi le prigioniere politiche testimoniano di non aver quasi mai accettato il loro destino di disumanizzazione. Al contrario, hanno creato una loro propria strategia di sopravvivenza non soggetta alle leggi del campo, non percepita dalle guardie carcerarie.
INDICE
Sopravvivere nel Gulag è diviso in sette macro-temi, ciascuno approfondito con grande attenzione al dettaglio. Nulla sembra sfuggire all’occhio indagatore e all’approccio analitico di Oksana Kis’, attenta ad ogni passo nella scrittura a non perdere particolari e peculiarità utili alla nostra conoscenza. La studiosa riverbera, riga dopo riga, la consapevolezza delle lacune della storia istituzionale che lascia del tutto in disparte per esempio la diaristica femminile. Accade in Ucraina, accade nel resto d’Europa: gli studi sulle donne sono da sempre emarginati e l’emarginazione delle ricerche di genere rende incompleta la stessa storia non solo al femminile. La documentazione non è né precisa né approfondita, manca sempre qualcosa. Nella maggior parte dei casi, quando si parla di una data figura femminile entrata nella storia, si tende a eroicizzarla, a glorificarne le gesta, la si rappresenta come “orgoglio della nazione”. Anche per questo motivo la figura della donna prigioniera è stata poco o per niente approfondita. L’esperta analista vuole al contrario ribaltare questa situazione. Vuole andare oltre. E’ determinata a trasmettere al lettore materia vera, reale, forte; documenti e attestati di vita vissuta che rimarranno nel tempo; testimonianze dirette da cui poter riuscire, finalmente, a ricucire, aspetto dopo aspetto, l’intera tela dell’esperienza. Il testo, infatti, si apre con uno sguardo sulla vita quotidiana delle donne nel Gulag. Oksana Kis’ non si accontenta, ci porta oltre il muro della documentazione ufficiale che trasforma i ricordi delle ex carcerate in materiale statico. Il suo scopo è capire – e farci vedere – come le prigioniere stesse si percepivano a livello fisico e psicologico, come si adattavano, come si situavano all’interno della prigione. Le memorie dei campi femminili non le bastano come fonte d’informazione. Pur da ricercatrice ci mette il cuore. Interroga e si interroga. Tocca argomenti scomodi. Affronta situazioni dolorose e considerate tabù. Il suo obiettivo non è quello di aderire alla saggistica di genere seguendo una narrativa prestabilita. Sa che c’è un di più da esplorare quando ci si basa sull’analisi di ricordi personali, in precedenza non condivisi. Chi studia l’ambito delle memorie spesso si limita a raccontare la vittima e il suo cammino attraverso il giogo. Al contrario, in questo libro troviamo un insieme di esperienze e differenti racconti che si intrecciano tra di loro, vissuti in parte comuni ma anche differenze singolarmente percepite.
Proseguendo nella lettura, il libro ci parla della “identità” non solo femminile, anche di quella nazionale ucraina; e della fede che spesso univa le donne dando loro la speranza di una vita migliore, di una possibile futura ricompensa per i maltrattamenti subiti. Oksana Kis’ descrive il lavoro quotidiano nei campi. Esamina il controllo delle donne sui propri corpi, di come i corpi femminili si rivoltano contro le donne stesse, oggetto di continui maltrattamenti e abusi. Riferisce delle pratiche di controllo delle nascite e delle gravidanze indesiderate (a dispetto delle divisioni tra carceri femminili e maschili), dei casi di aborto, della sterilizzazione involontaria, delle umiliazioni inflitte e della vergogna indotta all’unico scopo di traumatizzare le prigioniere psicologicamente, di spezzarle nello spirito. L’autrice cerca anche di mettere in rilievo i desideri delle stesse prigioniere, di come cercassero l’amore, inseguissero la possibilità di provare affetto, di come usassero il proprio corpo per ottenere qualche vantaggio in cambio (una zuppa, un po’ di pane).
Il corpo femminile risulta molto più forte di quello maschile nel sopportare i condizionamenti psico-fisici. Le donne riuscivano a darsi a vicenda supporto psicologico in misura migliore rispetto ai prigionieri uomini. Se è vero che il corpo femminile consuma relativamente meno energia di quello maschile, ha bisogno di meno cibo. Le donne stesse notavano quanto fossero più capaci di sopportare la fame: “I ragazzi, hanno sofferto peggio di noi. Le donne in qualche modo sopportavano tutto più facilmente. Forse siamo state maltrattate di meno?”. Mentre gli uomini tendevano a disperarsi per la mancanza di cibo e accusavano problemi psicologici, nelle carceri femminili nascevano vere sorellanze e collaborazioni. Cooperazione e reciproco sostegno permettevano loro di sviluppare attività nel “tempo libero” come la recitazione, la scrittura ed il canto. Per molte, ricamare era un gesto quasi liberatorio. Per altre era il canto a rappresentare un momento di gioia. Nei campi si sentiva risuonare di continuo canzoni popolari ucraine nonostante fossero proibite. Queste ed altre piccole abitudini creavano solidarietà, mutuo sostegno, efficace specialmente a livello psicologico. La cosa più importante era quella di mentalmente non cadere, di non disporsi in posizione perdente rispetto ai soprusi, di non “perdere contro il sistema”.
In questo libro troverete pagine che vi toglieranno il fiato e altre che non vi faranno dormire la notte, alcune vi faranno anche sorridere per le piccole cose a cui non diamo tanta importanza nel nostro quotidiano, ma che cambiano tutto. È un libro forte che narra la femminilità delle prigioniere, dalla loro maternità ai pensieri mai espressi prima d’ora ad alta voce.
Dalla scheda dell’Editore: “Centinaia di migliaia di donne ucraine furono condannate al Gulag negli anni Quaranta e Cinquanta. Solo la metà di loro sopravvisse. Oksana Kis ha prodotto il primo studio sulla vita quotidiana delle prigioniere politiche ucraine nei campi sovietici. Basato su memorie scritte, autobiografie e storie orali di oltre 150 sopravvissute, il volume descrive la resistenza delle donne alla brutalità delle condizioni dei campi, che si facevano forza non solo attraverso la conservazione dei costumi e delle tradizioni, ma anche superando spesso le differenze regionali e confessionali. Questo libro costituisce un unicum nella storiografia sull’argomento, perché affronta direttamente e per la prima volta la questione di genere nei Gulag, e lo fa tramite l’ottica particolare della storia orale e della specificità nazionale ucraina. Si rivela una lettura fondamentale per conoscere, sempre in una prospettiva di genere, le strategie di sopravvivenza, adattamento e resistenza agli effetti disumanizzanti del Gulag”.
Donne prigioniere in un gulag, anni ’30, fonte
Oksana Kis’ è una storica e antropologa che si occupa di storia delle donne, antropologia femminista, storia orale e trasformazioni di genere nei paesi post-socialisti. è ricercatrice senior presso l’Accademia nazionale delle scienze dell’Ucraina e presidente dell’Associazione ucraina per la ricerca sulla storia delle donne.
Prigioniere del Gulag, fonte
Vedi il video girato sulla presentazione a èStoria 2023 – Sopravvivere nel Gulag, con Andrea Gullotta e Oksana Kis’.
Leggi la recensione di Tamara Mykhaylyak
Prigioniere nel gulag di Vorkuta, uno dei più grandi campi di lavoro dell’Unione Sovietica, nel 1945. DIFFUSIONE LASKI / ARCHIVIO HULTON / IMMAGINI GETTY, fonte
Donne nei campi di prigionia (Foto: gulagmuseum.org), fonte
Guarda un estratto del film documentario Women of The Gulag, di Marianna Yarovskaya (2018). In proposito leggi anche Jared Feldschreiber, ‘Women of the Gulag’ tells five astonishing stories of survival, “Kyiv Post”, January 18, 2019.
Leggi altri contributi di Marta Nykytchuk.