Letture russe e ucraine
Immagine di copertina.
Il Dnepr-Dniepr-Dnipro è un fiume dai molti nomi. Fu detto Boristene dai Greci; Danapres dai Latini; Elice, Lorene, Luosen, Lessen, nel Medioevo; Eksi dai Tartari; Özü dai tartari di Crimea; Uzi o Uzu o Uzeu dai Turchi antichi. È il quarto fiume d’Europa per lunghezza e il terzo in Europa per ampiezza. Nutre molte leggende e lo nutrono molti affluenti. Nasce in Russia, poco a Sud del rialto dei Valdaj, attraversa la Bielorussia, poi le pianure ucraine per sfociare infine nel Mar Nero dopo aver attraversato Kiev, Dnepropetrovsk, Dnipro, Zaporižžja e Cherson (vedi le guerre dell’acqua e del grano intorno al Dnepr)
Pensando al fiume non si può non nominare i versi forse più celebri del poeta nazionale ucraino Taras Hryhorovyč Ševčenko.
Testamento
Quando morirò, mi interrino
Sull’alta collina
Fra la steppa della mia
Bella Ucraina.
Che si vedano i campi,
Il Dniepr con le rive,
Che si oda il muggito
Del fiume stizzito.
Quando porterà il fiume
Al mare azzurro
Il sangue nero,
Lascerò allor la tomba
Ed andrò da Dio
Per pregare… Prima di ciò
Non conosco Dio.
Sepoltomi, insorgete,
Le caten rompete,
Che il sangue dei nemici
Spruzzi la libertà.
Nella vostra gran famiglia
Nuova, liberata
Vorrei esser ricordato
Con parola grata.
(25 dicembre 1845)
(traduzione di Evgen Kračevič)
Immagine: Tomba di Taras Shevchenko (qui in una fotografia di Andrey Denyer, circa 1859), collina di Taras vicino a Kaniv, cartolina storica. La croce fu smantellata dai sovietici negli anni 1920.
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Tra i romanzi ambientati sulle rive del Dnepr ho ritrovato La guardia bianca di Michail Bulgakov, edito da Feltinelli nella traduzione di Serena Prima.
Dalla scheda dell’Editore: “La guardia bianca qui pubblicato per la prima volta in Italia in versione integrale, ovvero sia con il finale «ufficiale» sia con quello originario, a lungo perduto) è il romanzo che diede a Bulgakov celebrità in vita, prima della fama universale postuma raggiunta con Il Maestro e Margherita. Tutto ruota attorno alle vicende dei tre fratelli Turbin (Aleksej, Nikolka ed Elena) nella tempestosa Kiev dell’inverno 1919-1920. La città è nelle mani dell’avventuriero Simon Petljura ma si trova anche nella morsa di un duplice accerchiamento, quello dell’atamano (cosacco) Shoropadskij e dei bolscevichi. Le avventure dei fratelli Turbin si susseguono fra malattie, guarigioni miracolose, preghiere, eroismi, fughe, divorzi, amori e amicizie. Sullo sfondo, tratteggiata con rapidità futurista ma allo stesso tempo con potente afflato epico, la Storia di una nazione e di un popolo fotografati in un momento decisivo”.
Per un estratto del capitolo IV del romanzo con una descrizione della città di Kiev, così come poteva apparire durante l’inverno del 1918-19, alla fine della Prima guerra mondiale e al tempo della guerra civile russa tra “rossi” e “bianchi”, leggi qui.
Michail Afanas’evic Bulgakov, nato a Kiev in Ucraina nel 1891 e morto a Mosca nel 1940, si laurea in medicina nel 1916. Subito dopo è mandato a Nikol’skoe, nel governatorato di Smolensk, come dirigente medico. A questo periodo risalgono i racconti Appunti di un giovane medico, i cui manoscritti sono andati persi. Nel 1920 abbandona definitivamente la carriera medica. Ha ottenuto grande successo con il romanzo La guardia bianca del 1924, adattato per il teatro col titolo I giorni dei Turbiny. Dal 1929 al 1940 lavora alla sua opera più nota Il maestro e Margherita, pubblicata postuma nel 1967, e scrive alcune commedie, lavori di critica letteraria, romanzi oltre ad alcune traduzioni. Tuttavia la maggior parte delle sue opere è rimasta per molti decenni inedita. Muore nel 1940, a soli 49 anni, ed è sepolto nel cimitero di Novodevicij a Mosca.
Oltre alla Kiev di Bulgakov – “splendida nel gelo e nella nebbia sulle colline, sopra al Dnepr”, con le sue “magnifiche colline che sovrastavano il Dnepr”, e d’inverno la “Città bassa, che si stendeva lungo le anse del Dnepr intirizzito” – si può leggere Victory Park, di Aleksej Nikitin, pubblicato nel 2019 dalla casa editrice Voland nella traduzione di Laura Pagliara.
Dalla scheda dell’Editore: “Kiev, 1984. L’Unione Sovietica crollerà pochi anni dopo, ma sulla riva sinistra del Dnepr la vita scorre come sempre. I castagni sono in fiore al parco della Vittoria, dove i veterani della guerra in Afghanistan spacciano hashish mentre riparano le giostre per i bambini, e al chiosco gli speculatori intrattengono la polizia corrotta. Sullo sfondo delle periferie di Kiev, l’amicizia tra i due studenti universitari Pelikan e Baghila è il trait d’union tra le storie dei frequentatori abituali del parco, che incarnano il caleidoscopio di popoli, storie, successi e disgrazie che hanno caratterizzato la storia dell’URSS. Un feroce e divertente affresco della società ucraina di fin de siècle, un brillante connubio di tragedia e commedia che attraverso il prisma del passato mostra al lettore le fragilità e i problemi dell’Ucraina di oggi”.
Scrive Eleonora Smania nella sua recensione: “Il romanzo, ambientato nella Kiev del 1984, narra le vicissitudini dei personaggi che frequentano il Parco della Vittoria, costruito su una palude bonificata nella riva sinistra del Dnepr. All’interno del parco le vite di studenti, agenti di polizia corrotti, venditori di merce estera contraffatta e non, truffatori e veterani della guerra in Afghanistan ormai dediti allo spaccio s’intrecciano l’una con l’altra. Centrale ai fini del racconto è l’amicizia tra i due studenti di fisica Pelikan e Baghila, uno proveniente dal quartiere del Komsomol e l’altro proveniente dal villaggio di Očerety, quartieri animati da una profonda faida nata durante il processo di urbanizzazione avviato nel secondo dopoguerra e aggressivamente sviluppatosi lungo la riva. Sarà attraverso gli incontri compiuti dai due amici con i frequentatori del parco che il lettore riuscirà a osservare la vita della Kiev tardo-sovietica, popolata da figure atipiche e teatro di grottesche e surreali vicende quotidiane. (…) Victory Park non è una semplice lettura, è un affresco della società ucraina tardo-sovietica, è un racconto feroce e tragicomico della Kiev “altra” e periferica e della vita quotidiana dell’uomo sovietico, creatura in attesa dell’inevitabile catastrofe (…) Il paesaggio naturale della riva sinistra del Dnepr – luogo geografico sconosciuto alle pagine della grande storia – appare come un mondo mistico, sconosciuto e completamente slegato dalle sorti della città ucraina prima della fine della Seconda Guerra Mondiale. Il villaggio di Očerety, assieme all’anziano Maksim Baghila (misteriosa figura del villaggio dotata di poteri magici), rappresenta l’ultimo baluardo di una vita all’insegna delle antiche tradizioni, che inesorabilmente verrà accerchiato e sostituito dagli edifici a cinque piani del Komsomol, dal cemento e dalle fabbriche”.
Vedi l’intervista ad Aleksej Nikitin di Monica Perosino per “La Stampa” pubblicata il 1 febbraio 2022 (nella sezione “Venti di guerra a Est”). Interessante il passaggio nel quale lo scrittore ricorda che in Ucraina l’etnia non combacia con la nazionalità e con la lingua: “la stessa Ucraina è complessa. Fino a 150 anni fa era un miscuglio di quattro culture: ebrea, polacca, ucraina e russa. Oggi è un Paese in cui vivono molte etnie, che parlano altrettante lingue. Ma i confini determinati dall’etnia non esistono, per comprendere cosa siamo e da che parte stiamo, l’unica strada è parlare della nostra identità». Parliamo di identità: c’è differenza tra i russi-ucraini e i russi-russi? «I russi ucraini sono semplicemente degli ucraini che hanno qualcosa in più, hanno una vicinanza culturale, magari famigliare e linguistica con la Russia. Ma attenzione, con la Russia, non con Putin. In 30 anni di indipendenza le differenze tra noi e i russi sono diventate enormi» (…) Le assicuro, i nostalgici dell’Unione Sovietica non sono russi». Quindi russi anti-russi? «Detta così sembra paradossale, ma sì, il peggior nemico dei russi ucraini è Vladimir Putin. Già dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, l’Ucraina è diventato uno Stato indipendente. Questa indipendenza è stata sostenuta dal referendum in tutte le regioni, comprese quelle a maggioranza russa. Già nel 1991, il 75 per cento dei russi etnici in Ucraina non si identificava più con la nazione russa. E gli ultimi dati dicono che il 92% dei cittadini ucraini si considerano di etnia ucraina, il 6% coloro che si identificano come appartenenti all’etnia russa». Cos’è per lei la «nazionalità»? «Riguarda il modo in cui le persone pensano a ciò che verrà, al futuro. Gli ucraini – russi, polacchi, ebrei, bielorussi – si considerano una comunità nazionale con un futuro insieme in uno Stato, è questo a renderli una Nazione». Ha paura che le Mosca possa decidere di invadere? «Non credo lo farà, anche se non lo posso escludere». Era il primo febbraio 2022.
Aleksej Nikitin. Scrittore di lingua russa nato a Kiev (Ucraina) nel 1967, è laureato in fisica e ha collaborato al progetto del sarcofago destinato a mettere in sicurezza la centrale di Černobyl’. Il romanzo Victory Park (2014) ha vinto il Russkaja Premija ed è entrato nella short list del premio National Besteller (‘Nacbest’) in Russia quando era ancora in forma di manoscritto. L’infermiere di via Institutskaja (2016), romanzo dedicato alle recenti proteste di Euromajdan, è stata la prima opera di Nikitin a essere pubblicata in Ucraina. I suoi precedenti romanzi sono Istemi (Voland 2013) e Mahjong (2012).