Un fiume faglia d’Europa, tra guerre dell’acqua e del grano
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C’è un gran parlare del Dnepr/Dnipro dal momento che la Russia annuncia un ritiro da Cherson e dalla sponda occidentale del fiume per riposizionarsi e attestarsi sulla sua riva sinistra. Sarà questa la nuova “linea del Dnipro” dell’armata russa, il nuovo confine modello trincea della Prima guerra mondiale o Muro di Berlino? – si chiedono gli analisti. I più attenti invitano alla cautela nella valutazione della ritirata russa.
La guerra di Mosca contro Kiev ha, tra i suoi punti focali, proprio il bacino idrico fluviale del Dnepr. Osservava Andrea Muratore mesi fa: “nell’area compresa tra Kharhiv, Cherson e il Mar Nero si gioca la prima sfida cruciale della geopolitica idrica d’Ucraina. «La Crimea è un territorio arido che dipendeva fino al 2014 dall’acqua convogliata dal fiume Dnepr per mezzo del Canale del Nord», ha scritto Silvana Galassi del Comitato milanese Acqua Pubblica. «Dopo l’annessione, l’Ucraina ha bloccato il flusso e, nel 2017, ha costruito una diga nella provincia meridionale di Cherson». Sulla scia di questo processo di weaponization delle forniture idriche nel luglio scorso il blocco da parte di Kiev del canale di era sovietica che porta in Crimea l’85% dei riferimenti ha condotto la Russia a una crisi diplomatica legata alla difficoltà di supplire 2,4 milioni di abitanti con rifornimenti continue di acqua. La strategia ucraina di massima pressione per separare la Crimea dal resto del Paese è stata una delle poche manovre con cui Kiev ha potuto, dal 2014 in avanti, controbattere all’annessione russa della penisola contesa”.
Ascolta in francese L’eau: l’autre enjeu de la guerre en Ukraine, di Catherine Pottier con Franck Galland su Franceinfo, Au fil de l’eau, 05/03/2022, durata 3’.
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Guerra per l’acqua, ma anche guerra per risorse o materie prime (carbone, grano). Capovolgendo: “la battaglia del grano si unisce alla battaglia per l’acqua e le fonti idriche strategiche.” La guerra scriveva ancora Andrea Muratore “ha al centro il controllo della terra più fertile e del fiume più strategico del Paese: il bacino del Dnepr che insiste attorno al fiume che con il suo corso spacca a metà l’Ucraina”. Tra gli obiettivi strategici di Putin ci sono “la futura sovranità alimentare della Russia e il potenziamento di Mosca come superpotenza del mercato del grano globale (…) in ottica di consolidamento del posizionamento economico e geopolitico del Paese. E controllare parte delle fertili pianure d’Ucraina, «granaio d’Europa», e lo strategico porto di Odessa, appare in quest’ottica vitale (…) Da qui la valenza geostrategica del Dnepr, che coniuga ciò che alla Russia, «superpotenza» del grano manca per completare la sua influenza pressoché esclusiva sui mercati cerealicoli mondiali. Il combinato disposto tra una latitudine favorevole, una fertilità notevole dei terreni e l’accesso privilegiato via Dnepr a un mercato globale a cui Odessa fornirebbe la sponda operativa se fosse occupata dai russi segnala perché le fertili pianure dell’Ucraina, faglia e destino d’Europa, sono un obiettivo sensibile che la Russia intende dominare (…) E chi controlla il mercato agricolo globale, in questa fase, ha un’influenza geostrategica fondamentale sui Paesi importatori in Africa e, soprattutto, Asia”.
Cartina: Acquisti di grano dall’Ucraina e dalla Russia (esportazioni in milioni di dollari) nel 2020.
Cartina: L’Africa che dipende maggiormente dal grano russo e ucraino.
Per una messa a punto recente in inglese sulla guerra del grano, cfr. Ines Eisele, Five facts on grain and the war in Ukraine, DW, November 1, 2022.
Per un punto di vista ONU vedi in francese CNUCED, Guerre en Ukraine : renouveler l’accord sur les céréales est essentiel pour continuer à faire baisser les prix, 20 ottobre 2022.
2 Commenti. Nuovo commento
[…] Il Dnepr-Dniepr-Dnipro è un fiume dai molti nomi. Fu detto Boristene dai Greci; Danapres dai Latini; Elice, Lorene, Luosen, Lessen, nel Medioevo; Eksi dai Tartari; Özü dai tartari di Crimea; Uzi o Uzu o Uzeu dai Turchi antichi. È il quarto fiume d’Europa per lunghezza e il terzo in Europa per ampiezza. Nutre molte leggende e lo nutrono molti affluenti. Nasce in Russia, poco a Sud del rialto dei Valdaj, attraversa la Bielorussia, poi le pianure ucraine per sfociare infine nel Mar Nero dopo aver attraversato Kiev, Dnepropetrovsk, Dnipro, Zaporižžja e Cherson (vedi le guerre dell’acqua e del grano intorno al Dnepr) […]
Anche se l’idrografia è parte del teatro di guerra ciò non significa che ne sia la causa. Nemmeno quando le condizioni ambientali diventano difficili si è riscontrato un nesso causale diretto con i conflitti. L’impegno militare, una guerra, non sono mai conseguenze dirette di condizioni materiali: ricorrere alla guerra è una scelta che non ha nulla a che fare, e per tornare all’acqua come risorsa, se la sua scarsità dovesse giustificare un conflitto fornirebbe ai politici un comodo alibi a coprire le loro responsabilità o la loro incapacità negoziale e impedirebbe alla comunità di esprimere opinioni o giudizi.
Ogni volta che si chiama in causa un fattore esterno a limitare la nostra responsabilità, una scusa insomma, il sospetto che sia strumentale deve essere immediato.
Le guerre non si combattono mai solo per l’acqua e anzi, questa non impone conflitti ma addirittura aiuta a mitigarli. Il Danubio è presente direttamente o indirettamente su ben 19 paesi europei; una situazione idrica complessa spinge più alla cooperazione che al conflitto: ci sono 300 bacini fluviali che attraversano diversi confini nazionali per metà del territorio della Terra, e devono essere visti come altrettanti strumenti di pace, allo scopo di concepire istituzioni valide affinché siano trasformati in strumenti efficaci di diplomazia. Nell’ottica inclusiva del Pontifex romano, il “costruttore di ponti”.
La tesi delle «guerre per l’acqua» nasce moltissimo tempo fa ed è conseguenza diretta della diffusione mediatica di quel che oggi definiremmo un meme, per imitazione, non sempre virtuosa. Una delle più famose è quella che ha visto contrapposte Giordania ed Israele nella gestione del fiume Giordano, dove l’acqua giocò sì un ruolo chiave nel conflitto ma non ne fu la causa perché la valle del Giordano è sempre stata arida e, un paradosso solo apparente, la stessa acqua, le condizioni idriche difficili, facilitarono la pace quando l’Egitto, anni dopo, offrì le proprie acque ad Israele allo scopo di trovare un compromesso e favorire la stabilità regionale.
Questa tesi continuò a prendere corpo, generando un equivoco strumentalizzato soprattutto dai media, quando alla fine degli anni ’80, e poi ancora nel 1995, due egiziani di spicco, Boutros Booutros-Ghali, allora ministro di Saddat e poi Segretario Generale dell’ONU, e Ismail Serageldin, vicepresidente della Banca Mondiale, iniziarono a paventare la possibilità che conflitti futuri sarebbero stati combattuti per l’acqua; ma erano posizioni puramente retoriche o errori, come nel secondo caso, commessi nel tentativo di attirare l’attenzione sull’importanza della gestione dell’acqua. Tutti i media internazionali più importanti presero quel Water Wars per oro colato proiettando nel futuro terribili previsioni del tutto ingiustificate. Dozzine di studi sono stati compiuti allo scopo, e non emerge alcuna evidenza empirica che attribuisca all’acqua la causa diretta di un conflitto. E’ una scorciatoia per trasmettere l’urgenza, come il catastrofismo.
La storia e i fatti dimostrano, anche se con dinamiche complesse, che i problemi transnazionali nella gestione delle risorse idriche, generano più cooperazione e collaborazione che conflitto e ci sono molti esempi di come, nel tempo, pur in presenza di tensioni o stati conflittuali, il governo della risorsa idrica comune non sia stato da questi influenzato.
Il conflitto russo-ucraino non fa eccezione. Il conflitto nasce dalla lettura distorta di ciò che la Russia è stata e da una visione irrealistica, con conseguenze globali. Comunque andrà l’impatto internazionale sarà vastissimo, e si sentiranno anche attraverso il commercio del grano che colpirà soprattutto i paesi più deboli, e sono tanti. Nel breve termine, il rischio è la fame di coloro i quali dipendono, per sopravvivere, dalle filiere alimentari che si là si originano: dal Medio Oriente al Corno d’Africa. Fame che innescherà un aumento dei flussi migratori.