Ombre e bugie russe, marionette, burattini, sagome, demoni e altre losche figure animate
di Paolo Morawski
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Per alcuni giorni ho assistito a una narrazione dei media collettivi che mi ha riportato alla memoria l’inganno mediatico che fu alla base della falsa “rivoluzione” rumena del dicembre 1989, la quale, a poco più di un mese dalla caduta del Muro di Berlino, portò in Romania alla caduta del dittatore Ceausescu e del suo regime. La questione centrale adesso non è indagare le analogie (supposte, possibili, sbagliate, inutili?) su come cade il cattivo capopopolo e autocrate di turno (Ceausescu, Putin) o le similitudini su come finisce un sistema autoritario, oppressivo, intollerante, violento (quello della Romania ieri, quello della Federazione Russa oggi). Piuttosto la similitudine sta nel riflesso di prudenza. C’è, insistente, lo spiacevole sospetto che, allo stesso modo in cui fummo vittime nel 1989 di un incredibile imbroglio multimediale, così potremmo essere vittime oggi del sistema dei media – sebbene in altro modo, in altro tempo, in altro contesto. Niente è esattamente paragonabile. E non metto in discussione che in Russia per due giorni (23-24 giugno 2023) sono accaduti fatti seri, anche molto seri, che certamente avranno conseguenze di lunga durata difficili da prevedere sia in Russia sia in Europa. Ma, una volta di più, grottesca, inutilmente teatrale, con toni eccitati e spettacolari, e di contro povertà di analisi e carenza di apporti effettivi è stata la maniera con la quale siamo stati tempestati di notizie e commenti nell’infosfera che ci avvolge. Le criticità maggiori si manifestano soprattutto in ambito televisivo (purtroppo perché la televisione resta la fonte maggiore di conoscenza collettiva e quotidiano approfondimento). Ci siamo nutriti dei video prodotti da uno “sfidante” e dei video prodotti dal “detentore del titolo”. Vediamo ombre muoversi (di quali entità sono la proiezione?), vediamo la punta dell’iceberg, non vediamo l’iceberg, talvolta neppure lo pensiamo. Putin quanto Prigozhin controllano, ciascuno a modo suo, i media. Prigozhin non è forse il “mago” dei troll, delle fake news, delle campagne digitali di propaganda e disinformazione? Comprensibile e immediato da parte nostra il riflesso di estrema cautela.
In Romania nel dicembre 1989 televisioni, radio, giornali, testate giornalistiche, inviati speciali giunti da tutto il mondo ci fecero assistere in tempo reale a qualcosa che non era. Per l’esattezza ci resero partecipi in diretta di una sollevazione popolare che invece era – cito – “un grande inganno ordito dalle seconde linee del partito comunista e dagli agenti della Securitate”. I media ci riferivano e noi vedevamo presunti massacri e presunti martiri, sconvolti dalle immagini di “migliaia” di corpi (ne contarono 4630!) ritrovati cadaveri quando non c’erano. Cito da manuale: “Da Timisoara, cittadina di una regione della Romania occidentale abitata da consistenti minoranze ungheresi, giungevano notizie di una terribile strage. Migliaia di persone barbaramente uccise, torturate, sottoposte a ogni tipo di violenza gridavano vendetta davanti al mondo. I primi scatti fotografici e un confuso filmato girato di notte alla luce di improvvisati riflettori liberarono fiumi di parole sulla carta stampata e nelle edizioni straordinarie dei notiziari internazionali, creando un clima di suggestione collettiva talmente contagioso da spingere i giornalisti stranieri arrivati sul posto a confermare l’inconfermabile, a descrivere nei dettagli ciò che in realtà non era mai accaduto”. La verità dei fatti fu poi ricostruita: “Il massacro non è mai avvenuto. I corpi riesumati che si diceva fossero a migliaia e che fossero stati trovati in una fossa comune erano semplicemente corpi disseppelliti dal cimitero dei poveri. Lo ha confessato il guardiano stesso del cimitero”. La conclusione fu: “Il caso del massacro di Timisoara si impone come ‘bufala esemplare’, come fake news paradigmatica nella storia degli ultimi decenni”. Da quella “bufala” scaturirono però conseguenze di enorme rilievo. Poco dopo assistemmo al filmato del processo lampo fatto ai coniugi Ceausescu (i “Vampiri dei Carpazi”), alla loro immediata condanna ed esecuzione. Nel bilancio di un protagonista dell’epoca: “La rivoluzione è stata sottratta al popolo romeno, è stata rubata dai comunisti e dalle seconde linee degli ex comunisti, che l’hanno trasformata in un colpo di Stato, con l’obiettivo di restaurare il loro potere e di preservarlo, facendo passare il vecchio come fosse il nuovo”.
Pochi furono i giornalisti che ammisero successivamente di essere stati bidonati, pochi coloro che analizzarono in maniera critica l’accecamento del giornalismo internazionale e dei media. Il giornalista di “Libération” Marc Semo è tra questi, e ne ha poi scritto qui (pp. 34-37), vale la pena di rileggerlo. Vedi anche qui e poi qui e ancora qui e infine qui.
La maggioranza dei media internazionali fece proprio il simpatico adagio: “Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto. Chi ha dato, ha dato, ha dato. Scurdámmoce ‘o ppassato”.
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In questi giorni di tensione riguardo alle vicende interne alla Russia il ricordo di Timisoara, dell’89 rumeno e delle manipolazioni alle quali si prestarono allora i media (la TV in primis) non mi ha mai lasciato. Allora, fu anche l’impatto emotivo delle immagini trasmesse a contribuire a rendere vera la “falsa rivoluzione”. E così oggi, mentre il sistema dei media mondiali (TV, Radio, Stampa, Social e quant’altro) caricava per due giorni come un toro sulla muleta agitata davanti al suo muso, mi ripetevo continuamente: quello a cui sto assistendo in Russia è solo la parte mediatica e mediatizzata, è la parte di “spettacolo”, di racconto visibile e per certi versi “voluto” che mi si dà in pasto. Ma cosa accade “realmente”, più in profondità, cosa si svolge dietro le quinte, qual è il significato di tutto questo in una prospettiva più ampia?
Logica vorrebbe che a questo punto si offrano precise risposte a tali domande. Ben me ne guardo, per mancanza di competenza e di strumenti adatti, troppo riavvicinati sono gli eventi per essere letti in prospettiva storica, la verità non è una mia specializzazione. E poi che fretta c’è, aspettiamo di saperne di più. Nell’attesa, mi limito a qualche preliminare annotazione.
- La guerra contro l’Ucraina continua, pesantemente, dolorosamente. Quella è la notizia di prima pagina, lo scandalo di un’aggressione che uccide e distrugge, e fa stragi di soldati e civili, dai più vecchi ai bambini, uomini e donne.
- Putin, Prigozhin, Lukašėnka, Kadýrov, Surovikin … Parliamo di mostri, criminali, assassini, gangster, rappresentanti del “partito della guerra”. Mi sono segnato questa frase: l’attuale regime russo “è guidato da idee di supremazia e messianismo, nazionalismo e imperialismo. Da questo punto di vista, non c’è alcuna differenza tra Putin e la sua cerchia ristretta e Prigozhin. Qualsiasi discrepanza tra loro è, come disse una volta il dissidente sovietico Andrej Sinjavskij, «puramente stilistica»”.
- Il discorso dominante vede solo capi, vertici, poteri, clan, milizie, mercenari, alti gradi militari, servizi segreti, apparati di sicurezza, forze speciali. La gente, il popolo, le persone, le comunità, le minoranze, i cittadini russi non contano, non hanno né voce né volto. Sono oggetto non soggetto (se si esclude l’esile folla che festeggiava Prigozhin e gli armati della Wagner).
- Russia. A che punto (del giorno? della notte?) si trova la Russia? A saperlo, commenta un onesto esperto. Oggi, faccio mio lo sguardo non improvvisato di uno studioso polacco, Jędrzej Morawiecki: “Dalla mia prospettiva di osservatore del Paese per quasi 30 anni, posso dire che la Russia pensa in modo paranoico, nel linguaggio dei servizi [segreti] e del KGB, che, tra l’altro, per molto tempo è stata considerata l’unica istituzione sana rimasta in vita dopo l’era comunista”. In una visione più ampia, secondo lui la Russia di oggi è “un paesaggio post-impero, un impero che sta morendo e cerca di risorgere come uno zombie, servendo la tragedia agli ucraini. L’ho visto nel 2014, quando la Russia si è impadronita della Crimea, e poi quando si è avviata verso un folle orientamento nazionalista. Anche allora non avevo dubbi che questo sistema sarebbe crollato. Tuttavia, non sappiamo quando accadrà e come. Potrebbe trattarsi di pochi mesi, ma anche di dieci anni, il che, da una prospettiva storica, non è affatto un tempo lungo”. E ancora: “Stiamo assistendo a una mafia in stato di decadenza. È possibile che presto si arrivi a un punto che quando inizierà il declino, non ci sarà più solidarietà [tra le élite, tra i potenti]”. La Russia non ha “carburante ideologico. È obsoleta ed economicamente in uno stato deplorevole. Ha anche un colonialismo inconsapevole, e ciò le si ritorcerà contro, si vendicherà, dato che alcune repubbliche russe sono già stufe di essere sfruttate dal potere centrale del Cremlino. Nessuna concessione [da parte del potere] sarà utile, perché l’esaurirsi della spirale di terrore significa che l’unico modo per rimanere al potere è la forza. In Russia manca la [il senso di] comunità. Il Kazakistan sta andando per la sua strada, l’Ucraina anche, la Bielorussia voleva farlo, ma la protesta è stata repressa. Anche i Buriati cominciano a vedere che alle parate vengono mostrati i bei ragazzi slavi mentre al fronte vengono mandati i bassi e poveri Buriati dagli occhi obliqui [a mandorla]”. Certo si può continuare e si continuerà a mentire: “Sì, ma gli attacchi terroristici, l’aumento del tasso di criminalità, la povertà, il fallimento del servizio sanitario, la mancanza di prospettive, di libertà di parola, sono cose che i russi cominciano a vedere. Gli anni ’90, di cui avevano tanta paura, stanno tornando. Ciò che Putin aveva promesso all’inizio del suo governo che non sarebbe mai più accaduto sta tornando. Questo è qualcosa che non può essere nascosto. Sappiamo che i demoni sono tornati”.
- Tempi storici. Un amico polacco mi suggerisce caldamente di fare qualche passo indietro e rileggere quanto è appena accaduto in Russia alla luce degli ultimi dieci anni. Il consiglio è guardare alla cronaca recente nella prospettiva di un arco di tempo che risale al 2013, da quando il gruppo Wagner nacque come “compagnia militare privata” per consentire alla Russia di compiere azioni militari al di fuori dei suoi confini, azioni per le quali formalmente e ufficialmente – fino a poche ore fa – la Russia negava nel modo più assoluto il suo benché minimo coinvolgimento o responsabilità. L’impresa multimiliardaria Wagner apprendiamo invece dallo stesso Putin è stata finanziata con i soldi del bilancio statale, e non pochi soldi. Il gruppo Wagner, dotato dei migliori armamenti terresti e aerei, ha operato nel Donbass (2014-2015), in Medio Oriente, poi in Africa, anche in Sud America (Venezuela), infine nuovamente in Ucraina, aiutando la Russia a estendere il suo impero contemporaneo. La prima domanda da farsi, dice l’amico polacco, è: in questi ultimi dieci anni come si sono evoluti i rapporti tra il sistema Putin (il datore di lavoro) e Prigozhin (un tassello del sistema che il sistema putiniano ha fatto emergere e arricchire)? Lo stesso amico, sempre caldamente, mi suggerisce altresì di non sottovalutare il ruolo che il gruppo Wagner ha svolto nel contesto dell’intera durata del potere che incarna Putin dal 1999 a oggi. La Wagner è stata creata in stretto rapporto con gli apparati di sicurezza e di intelligence russi (GRU) e in collegamento anche con i vertici militari per effettuare interventi “a mano libera” sia militari (i “mastini della guerra”) sia economici in varie parti del mondo. Per il mio amico in questi dieci anni Putin avrebbe cercato di trasformare lo strumento a suo vantaggio come una sorta di contrappeso: una forza rivale sia alle strutture dei servizi (di cui Putin è un’emanazione) sia alle strutture dell’esercito. In altre parole la Wagner sarebbe stata a un certo punto, secondo questo mio interlocutore, lo strumento di cui Putin si è servito per allentare il guinzaglio che lo lega(va) ai servizi e ai militari. Prima si sarebbe servito dei militari per rendersi più autonomo dai suoi patroni degli apparati di sicurezza, poi si sarebbe servito della Wagner per provare a rimanere solo al comando e realizzare le sue ambizioni “zariste”. Sono scenari opachi per non dire torbidi, difficile pronunciarsi al riguardo. Tuttavia, certo è che il momento di rottura, il pretesto per la “marcia su Mosca”, è stata la richiesta del ministro della Difesa Shoigu di subordinare l’esercito “privato” della Wagner al Ministero della Difesa russo ovvero di integrare il primo nelle fila del secondo. Prigozhin si è rifiutato e ha reagito tra l’altro alzando il livello delle sue pubbliche accuse (anche utilizzando la sua rete mediatica) contro il comando russo tacciandolo di incompetenza, disonestà, corruzione. Soprattutto, accusandolo di condurre male, anzi malissimo la guerra d’Ucraina. Accusando inoltre i vertici militari russi di aver deliberatamente ingannato il Presidente Putin sull’andamento della guerra. Infine, come se ciò non bastasse, ha cominciato a smontare in pubblico la narrazione ufficiale russa sulle ragioni che hanno – avrebbero – scatenato questa guerra, ossia i folli piani aggressivi dell’Ucraina traboccante di nazisti che era in procinto di attaccare la Russia d’intesa con l’intero blocco NATO. Irridere la narrazione ufficiale russa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Infatti, pur indirizzando le sue feroci critiche sui vertici militari russi, soprattutto il ministro della Difesa Shoigu e Gerasimov, capo dello Stato Maggiore delle forze armate russe e architetto della guerra in Ucraina, Prigozhin è entrato a quel punto in rotta di collisione diretta con il Presidente Putin, il Comandante in capo. Aggiunge l’amico polacco: se Putin, ad ammutinamento rientrato, ha subito ringraziato l’esercito e le forze di sicurezza per aver salvato la patria Russia è perché le trattative dietro le quinte – quelle vere, non quelle di Minsk così mediaticamente esaltate – hanno avuto come protagonisti i servizi e l’esercito. Sono loro che hanno ordinato a Prigozhin di fare retromarcia, e così è stato – “non chiedermi perché né come ci sono riusciti. Potrei, conclude l’amico, pensare che Prigozhin è un burattino. Ma bisognerebbe capire di chi?” Mangiafuoco?
- La “marcia su Mosca”. Aveva l’aria di un golpe ma non era un golpe – questa è stata la mia forte sensazione, ma su quali basi? Forse perché ho sangue polacco? Dice un osservatore polacco che ben conosce la Russia: “noi polacchi, con l’esperienza che abbiamo avuto della PRL-Repubblica Popolare di Polonia, abbiamo sempre saputo inconsciamente, sotto-pelle che molto di ciò che la Russia ha detto e sta dicendo deve essere letto al contrario. Cioè, quando i russi affermano che nessuno ha abbattuto alcun aereo, intendono dire che probabilmente lo hanno fatto. Quando promettono di non attaccare con armi nucleari, si può anche temere che lo facciano. Quando infine affermano che non c’è stato alcun ammutinamento di Prigozhin, possiamo immaginare che ci sia stato davvero. Il funzionamento di Putin e dell’élite russa si basa su enormi bugie piramidali”.
- Bielorussia. Si riparla di Bielorussia. Ma se ne parla in funzione esclusiva della narrazione dominante. Certo, ci sono la (pseudo?) mediazione (difficile da credere) di Lukašėnka; la fuga, anzi lo “esilio operativo” (?) di Prigozhin in Bielorussia (a fare che? puzza?); l’annuncio del Cremlino che i mercenari della Wagner se vogliono possono trasferirsi in Bielorussia insieme al loro capo (a che fare? puzza?); la notizia che la Wagner avrà campi-base in Bielorussia a 200 km dal confine Ucraino (per fare che cosa? puzza?). Ci sono i discorsi di Lukašėnka che afferma che la Russia deve rimanere in piedi così com’è perché altrimenti “moriremo tutti se la Russia crollerà e saremo sepolti nelle rovine” (tradotto: se la Russia cade, cado anch’io, ma io non ho alcuna intenzione di perdere il mio potere). E c’è il fatto che una “parte significativa” delle armi nucleari russe che devono essere dispiegate in Bielorussia sono già state consegnate. Ci sono già le reazioni difensive dei paesi occidentali confinanti con la Bielorussia. Le ragioni per preoccuparsi di ciò che accade in Bielorussia sono cospicue e andrebbero approfondite. Ma sarebbe tempo che si cogliesse l’occasione, per un attimo, per interrogarsi più a fondo su che cos’è la Bielorussia oggi, da dove viene, come è cambiata sotto Lukašėnka che sta al potere dal 1994, come vive la società bielorussa, chi sono e dove sono gli oppositori, chi sta in prigione, chi è fuggito/emigrato/esiliato, e via dicendo. Oltre alla Bielorussia (etichetta) e al suo Presidente-dittatore esistono i bielorussi. Ho letto in questi giorni su un quotidiano italiano che si picca di essere autorevole che siamo (saremmo stati) noi (Occidente) ad aver spinto “nell’area di influenza russa il governo di Minsk”. No comment.
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- Africa. Raramente ho tanto sentito parlare di Africa come in questi giorni. Di attività, business e investimenti della Wagner in Mali, Repubblica Centrafricana, Libia (Cirenaica), Sudan, Mozambico, oltre che in Siria. La Wagner che ha proprie basi militari in Africa, che sostiene governi e fazioni in guerra, che addestra eserciti locali, che lotta assieme ad alcuni poteri locali contro jihadisti, separatisti e ribelli africani, la Wagner che commette atrocità e gravissimi crimini contro i civili. La Wagner che fa interventi armati e offre “servizi di sicurezza” in cambio delle risorse naturali dell’Africa. La Wagner che controlla la produzione e il commercio di oro, diamanti, legname, petrolio africani. La Wagner che con i suoi traffici africani è collegata a una miriade di società e banche internazionali (anche negli Emirati Arabi Uniti). Verrebbe da dire: la Wagner, la Wagner, la Wagner… ma l’Africa? Ma il continente africano con i suoi 1,2 miliardi di abitanti, i suoi cento problemi, le sue mille opportunità, le sue diecimila sfaccettature? L’Africa, l’Africa, immenso continente… ma i singoli paesi, le singole realtà, le singole società e comunità africane? Esistono ad un tratto solo perché la Wagner è di attualità per qualcosa che accade in Russia? Dunque, vedo riflesso l’ambiente che mi attornia solo se mi guardo allo specchio? Ma forse dell’Africa e degli africani (secondo le stime nel 2050 in Africa sono previsti 2,5 miliardi di persone) dovremmo interessarci a prescindere, e molto di più, e in maniera continuativa, specie in Italia? Da Marsala in Sicilia a capo Bon in Tunisia sono 150 km, mentre l’isola di Lampedusa è situata ad appena 113 km dalla costa tunisina. Ma quella si dirà, non è Africa, è Nord Africa, anzi Mediterraneo.
- Economia e finanze. Molto importanti e interessanti le notazioni economiche raccolte intorno alla Wagner che, in sintesi, “non è tanto una banda di mercenari quanto un reparto dello Stato profondo della Russia”. C’è chi dice che i guadagni della Wagner in Africa arricchiscono (solo) Prigozhin e le casse delle sue milizie. C’è chi dice però che l’Africa, attraverso la Wagner, è il forziere di Putin, del suo sistema di potere e dei suoi amici e seguaci. C’è chi dice che i guadagni africani servono anche a finanziare la guerra della Russia contro l’Ucraina. Guerra che è finanziata per altri versi attraverso l’aumento della produzione petrolifera russa e la crescita delle esportazioni petrolifere russe in Asia. Le poche analisi economico-finanziarie che mi capita di leggere sono soverchiate dal diluvio di analisi geopolitiche. Tra i motivi della “marcia su Mosca” c’è, come sostengono alcuni, lo scontro sulla “gestione del business in Africa”? Tutti concordano sul fatto che Putin utilizza la Wagner “come forza di sfondamento nel continente africano”, che la Wagner “è la testa di ponte di Mosca” in Africa, ma poi cosa è successo? Forse che il servo, forte dei suoi successi, invece di continuare a servire fedelmente il padrone ha cercato di usare il padrone per mettersi in proprio? Per raggirare il padrone? Per ricattare il padrone? L’inquadramento della Wagner nelle forze armate russe avrebbe “inquadrato” cioè messo in riga, sotto controllo, anche gli affari africani della Wagner? Donde la violenta reazione di Prigozhin? Significativa la recente dichiarazione del Ministro degli Affari Esteri Lavrov, il quale di viaggi in Africa ne ha fatti assai e si prepara al prossimo vertice Russia-Africa. Ha detto che la Wagner, cioè la Russia continuerà “normalmente” le sue attività in Mali e in Centrafrica (con o senza Prigozhin, pare di intendere). Mosca non ha alcuna intenzione di rinunciare all’Africa e alle risorse africane. Ci mancherebbe.
- Il riflesso conservatore. Ricordo con precisione come nel 1989 le élite occidentali non volevano assolutamente che il blocco sovietico crollasse nell’Est-Europa e che i paesi dell’Est si liberassero sottraendosi definitivamente al dominio sovietico. Per mille scuse e motivi. E come poi nel 1991 le élite occidentali non volevano che l’URSS implodesse paventando guerre nucleari, immigrazioni di milioni di russi verso Ovest, paventando anche che al posto di Gorbačëv potesse andare al potere uno “cattivo”, uno più “temibile” di lui. Meglio uno certo, uno già conosciuto, che sappiamo più o meno com’è – si suole dire – piuttosto che uno nuovo che potrebbe essere anche “peggiore” e più “folle” o “crudele” del precedente. Lo stesso accade oggi. (NB. Ricordarsi di contare quante volte ricorre la parola “caos” negli articoli di questi giorni). L’instabilità russa manda tutti nel panico, è considerata il rischio maggiore. Certamente, si ribatte, la Russia è una potenza nucleare maggiore e, quindi, guai a chi vuole cambiare tutto o che auspica un cambiamento, vedi un disgregamento della Federazione Russa. Se Putin cade o la Russia diventa un paese in preda al caos, nel vuoto di potere non potrebbe infilarsi uno peggio, molto peggio di Putin (un Prigozhin per esempio)? E poi, in un Paese così dotato di armi nucleari è meglio non pensare alle possibili conseguenze di una guerra civile. Temere la follia umana e avere paura delle bombe atomiche è pura saggezza. Quindi – se ne conclude – dobbiamo tenerci Putin e le sue guerre. Tenerci il suo sistema autoritario e repressivo. II suo imperial-colonialismo. Anche questa è pura saggezza? Mah.
- Sospetti. Difficile sfuggire al sospetto che questa generalizzata propensione (non solo italica) a mantenere in sella – pur turandosi il naso – il sistema putiniano sia per un verso un riflesso condizionato dei poteri (non si può delegittimare troppo un altro potente per non correre il rischio di essere a propria volta delegittimati); e per un altro verso una delle riuscite migliori della disinformacja russa nelle sue strategie di lunga durata che fanno tra l’altro leva su una diffusa preferenza di tutte le società per lo status quo. Conclusione, mi dicono, molto polacca, baltica, est-europea? Ma se non ora, quando?
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