Insights from | Reflections on Ukraine: voci dall’Ucraina nello speciale 129 dell’IWMpost
di Laura Ragone
Il 24 giugno scorso l‘IWM, acronimo con cui è conosciuto l’austriaco Institut für die Wissenschaften vom Menschen (Istituto di Scienze Umane), ha pubblicato il 129º numero della sua rivista IWMpost. Nel 1982 il filosofo polacco Krzysztof Michalski (1948–2013) fondò l’Istituto, centro di studi avanzate nel campo delle scienze umane e sociali con l’obiettivo di favorire il dialogo fra i pensatori dissidenti dell’Europa dell’Est e importanti studiosi dell’Ovest. Il periodico, con le sue due uscite annuali, documenta le attività dell’IWM, e nella prima edizione del 2022 avrebbe dovuto celebrarne proprio il quarantesimo anniversario con un supplemento dedicato. Invece, come spiega nell’editoriale di apertura il direttore Evangelos Karagiannis:
[…] dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ci è passata la voglia di festeggiare. Abbiamo quindi deciso di dedicare il supplemento all’Ucraina. La massima che ha guidato la curatrice dello speciale, la Permanent Fellow dell’IWM, Kate Younger, è questa: se vogliamo capire cos’è in ballo oggi in Ucraina […], l’unico punto di partenza possibile è ascoltare gli ucraini.
Lo speciale numero 129 della rivista IWMpost non è invecchiato col passare dei mesi. Vale la pena di rileggerlo alla ricerca di spunti ancora attuali.
Tutti gli interventi che compongono lo speciale – con due eccezioni: l’editoriale della stessa Younger su Taking Ukraine Seriously e l’articolo dello storico americano Timothy Snyder su Der Krieg in der Ukraine ist ein Kolonialkrieg) – portano la firma di studiosi ucraini che sono o sono stati membri del programma dell’IWM Ukraine in European Dialogue. Promosso proprio da Snyder nel 2015 (e attualmente diretto da Younger), il progetto mira a intensificare gli scambi e le comunicazioni fra gli intellettuali ucraini e quelli del resto d’Europa, tramite borse di studio, workshop, conferenze e pubblicazioni.
Lo spirito che ha guidato la realizzazione del supplemento è chiaro: garantire uno spazio alle voci ucraine, il cui punto di vista nelle discussioni occidentali passa spesso in secondo piano, venendo a volte trattato – sostiene Younger – come una semplice “casella da spuntare”. Pertanto sia il supplemento che il resto del numero 129 dell’IWMpost: European Boundaries and Divides sono consultabili gratuitamente sul sito dell’Istituto. Traduco qui un estratto del già citato editoriale in inglese, dove la studiosa descrive l’atteggiamento che l’IWM vuole esplicitamente evitare:
Gli altri relatori e il pubblico liquidano ciò che gli ucraini hanno da dire, considerandoli troppo emotivi o faziosi. Agli studiosi ucraini viene imposto uno standard diverso, ogni loro frase viene setacciata alla ricerca di fanatismo antirusso. […] L’esistenza di persone reali in Ucraina, con pensieri e sentimenti altrettanto reali, viene trattata quasi come un fastidio nelle discussioni intellettuali. Non riconoscerne la sofferenza è di cattivo gusto, ma in pochi vogliono preoccuparsi di cosa significhi questa sofferenza o quale possa essere il grado di complicità e di responsabilità del resto del mondo. […] L’atteggiamento condiscendente nei confronti degli ucraini è così evidente che ha portato all’introduzione nel nostro lessico della parola “Westsplaining”*
[* neologismo difficilmente traducibile, crasi tra “West”, Ovest, ed “explaining”, spiegare; l’Enciclopedia Treccani lo definisce “l’atteggiamento paternalistico con il quale una parte dell’intellettualità progressista europea e statunitense presume di spiegare la geopolitica dei Paesi dell’ex blocco sovietico e, più in generale, dei Paesi non allineati, sminuendo opinioni, posizioni e motivazioni espresse all’interno di quei campi”, NdR].
La prima delle voci ucraine raccolte nello speciale è quella di Vasyl Cherepayn, direttore del Visual Culture Research Center di Kiev e Visiting Fellow dell’IWM nel 2016. Come si evince già dal titolo, il suo articolo Z: Putins Krieg der Welten (Z: La guerra dei mondi di Putin), tradotto dall’inglese da Jan Doolan, si sofferma sullo scontro di ideologie che la guerra in Ucraina sottende. Da un lato, un Occidente concettualmente e fattualmente disarmato dopo il fallimento del cosiddetto “militarismo umanitario” (Cherepayn cita, in proposito, gli interventi nel Kosovo, in Iraq e in Afghanistan) e un Occidente in una situazione di costante ritardo (così una battuta ucraina: “Mentre la UE si prendeva del tempo per decidere, la Russia si è presa la Crimea”). Dall’altro, la Russia putiniana, che costruisce la propria immagine di potenza antiglobalista, si contraddistingue come entità ancora disposta a difendere i “valori tradizionali” in netta contrapposizione con l’Occidente e recupera, per descrivere l’invasione dell’Ucraina, la retorica sovietica della Grande Guerra Patriottica (appellativo con cui Stalin definiva la Seconda Guerra Mondiale).
Questioni di ideologia e di riscrittura della storia a scopi propagandistici sono affrontate anche negli articoli di Oksana Klymenko e di Timothy Snyder. Nel primo, Soviet “Experiments” with History, l’autrice – docente presso il dipartimento di Storia dell’Università nazionale accademia Mogila di Kiev – confronta la campagna di falsificazione della storia ucraina messa in atto dal regime di Putin a partire dal 2014, anno dell’occupazione di Crimea e Donbass, con altri precedenti di manipolazione del racconto degli eventi all’interno dell’Unione sovietica. Cito (traducendo) dall’articolo:
Nell’Unione sovietica la creazione di un passato “corretto” proseguì per tutta l’esistenza di quest’ultima, ma fu nel periodo tra le due guerre mondiali – che in Ucraina restò noto come il “decennio rosso” per via della repressione, del Holodomor del 1932-1933 e del Grande Terrore – che gli “esperimenti” sovietici con la storia furono più attivi. Trattare il passato alla maniera sovietica significa sostituire alcuni concetti ed espungere certi eventi.
L’intervento di Timothy Snyder invece, si intitola Der Krieg in der Ukraine ist ein Kolonialkrieg (La guerra in Ucraina è una guerra coloniale). Versione tedesca (la traduzione è di Katharina Hasewend) con qualche taglio di un saggio breve originalmente pubblicato in inglese su “The New Yorker”, l’articolo dello storico e docente presso l’Università di Yale analizza per l’appunto la svolta coloniale nella politica putiniana – che Snyder fa risalire al 2012, anno di inizio del terzo mandato di Putin:
Nel 2012, [Putin] descriveva la Russia come uno “Stato-civiltà”, che per sua natura assorbe le culture più piccole, come quella ucraina. L’anno successivo sostenne che russi e ucraini sono legati da una “unità spirituale”. In un lungo saggio sulla “unità storica” pubblicato lo scorso luglio [2021], ha affermato che Ucraina e Russia sono un solo paese, legato da un’origine comune. La sua visione è quella di un mondo frammentato che dev’essere ricomposto con la violenza. La Russia può essere sé stessa solo annientando l’Ucraina.
La logica imperialista putiniana, spiega Snyder, si basa su premesse tipiche del colonialismo – e in particolare sulla divisione fra soggetti e oggetti. Lo storico cita qui la teoria di Frantz Fanon secondo cui i colonizzatori considerano sé stessi come agenti attivi aventi un obiettivo, ritenendo invece i colonizzati semplici strumenti nella realizzazione della loro visione imperiale – oggetti, come si diceva, che non hanno diritto all’autodeterminazione. Una retorica, questa, che è per l’appunto diventata particolarmente caratteristica della politica di Putin a partire dal 2012: assimilandola alla Russia, nega all’Ucraina la sua identità.
Alla propaganda putiniana Snyder oppone la storia effettiva della nazione ucraina, fatta di grandi rivolgimenti – che hanno portato alla creazione di uno Stato che nel momento attuale nella sua contrapposizione all’impero russo si configura, a suo parere, non tanto come anticoloniale (e quindi avente la sua ragion d’essere semplicemente nel rifiuto di un dato potere imperiale, magari opponendogli una nazione concepita comunque come “mini-impero”), quanto piuttosto post-coloniale, ovvero come un nuovo tipo di nazione:
L’Ucraina è una nazione post-coloniale, che non si definisce in contrapposizione allo sfruttamento ma piuttosto accetta, e talvolta celebra persino, le circostanze che ne derivano. I suoi cittadini sono bilingui, e i suoi soldati parlano sia la lingua dell’invasore che la propria. La guerra è combattuta in maniera decentralizzata, dipende dalla solidarietà delle comunità locali, che insieme difendono la nozione dell’Ucraina come nazione politica. […] Il modello della nazione come mini-impero, che replica su scala più piccola le disuguaglianze e aspira a un’omogeneità scambiata per identità, si è ormai esaurito.
Gli articoli di Kyrylo Tkachenko (dottorando presso l’Università europea Viadrina di Francoforte) e di Anastasiia Platonova e Daria Badior (entrambe giornaliste e critiche) si concentrano invece sull’atteggiamento europeo nei confronti di Ucraina e Russia, adesso e nel corso della storia. In Ein „besonderes Verhältnis“ und die Notwendigkeit, es umzudenken (Un “rapporto speciale“ e la necessità di ripensarlo), Kyrylo Tkachenko analizza in particolare la peculiare relazione che da secoli lega la Germania alla Russia, vista in terra tedesca come un luogo “selvaggio e mirabile”. Un legame di lunga data che spesso porta la Bundesrepublik a non prendere in considerazione gli interessi delle altre, più piccole nazioni dell’Est, Ucraina compresa – e ciò sia dal punto di vista ideologico (eleggendo a mito politico Caterina la Grande, artefice sì dell’avvicinamento della Russia all’Europa occidentale ma ricordata con decisamente meno entusiasmo in Ucraina o in Polonia) che da quello politico (costruendo gasdotti che aggirano l’Ucraina in collaborazione proprio con la Russia). Il trascurare tutto ciò che, geograficamente e culturalmente, è percepito come periferico viene appurato anche da Platonova e Badior, che nel loro articolo Life Beyond the Center: Lessons from the War in Ukraine (Vite al di là del centro: lezioni dalla guerra in Ucraina) cercano invece di immaginare nuove vie per la “decentralizzazione”.
L’ultima sezione dello speciale, intitolata Reflections on Ukraine (Riflessioni sull’Ucraina) contiene quattro interessanti testimonianze, tre delle quali riguardano una regione di cui tanto si parla in questo periodo: il Donbass, teatro di scontri fin dal 2014. Il territorio con le sue complessità viene raccontato da chi ci è nato e cresciuto, magari parlando più russo che ucraino (è il caso di Volodymyr Rafeenko, scrittore originario di Donetsk che per le sue opere fino al 2014 ha usato il russo); oppure sviluppando un’identità bilingue difficile da incasellare (come Kateryna Iakovlenko, ricercatrice di Cultura visiva). Traduco qui i brevi abstract dei quattro interventi:
- The “Russian minority in Donbas” and the History of the Majority (La “minoranza russa nel Donbass” e la storia della maggioranza), di Yulia Abibok. Si parla tanto della “minoranza russa” nel Donbass. Ma uno sguardo più da vicino alle vite complesse delle persone e alle forze all’opera nella regione – nel periodo sovietico e in quello successivo – rende chiaro quanto questo concetto celi.
- Freedom Is an Identity (La libertà è un’identità), di Kateryna Iakovlenko. Cercare di ridurre l’identità ucraina semplicemente alla lingua o all’etnia è un errore. Esaminare le storie familiare ci aiuta a pensarla come una scelta, una scelta per l’Ucraina e per la libertà, nel bel mezzo e nonostante la violenta e traumatica esperienza del XX secolo, e adesso anche del XXI.
- Sprache und Krieg (Lingua e guerra), di Volodymyr Rafeenko (traduzione di Lydia Nagel). Per giustificare la sua guerra nel Donbass, la Russia cita tra l’altro la sicurezza della popolazione di lingua russa. Un ucraino di Donetsk condivide le sue esperienze nel paese prima e dopo l’invasione russa.
- Fans (Tifosi), di Natalya Vorozhbyt (traduzione di Lydia Nagel). Nell’Ucraina di epoca tardo-sovietica, l’atmosfera di superiorità culturale russa era rotta da narrazioni private sull’identità ucraina repressa. Il testo che segue è una riflessione su un’infanzia segnata da questa tensione.