Esiste una via pragmatica al federalismo europeo? Sulle possibili coalizioni tra conservatori europei da una parte e innovatori europei dall’altra
di Pier Virgilio Dastoli
La via pragmatica del Federalismo europeo
Se il Consiglio europeo accettasse la proposta, adottata dal Parlamento europeo nello scorso mese di maggio, di organizzare le decime elezioni europee giovedì 9 maggio 2024 – il giorno in cui la cristianità celebrerà l’Ascensione – mancherebbero 485 giorni alla fine della nona legislatura europea.
Da qui al 9 maggio 2024 gli equilibri politici nazionali potrebbero cambiare in Polonia, in Finlandia, nel Lussemburgo, in Estonia, in Grecia, in Spagna, in Slovacchia e in Bulgaria dopo le elezioni legislative che si svolgeranno nel 2023 e qualcuno parla anche di possibili elezioni legislative anticipate in Francia dove Emmanuel Macron ha perso nello scorso giugno la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale.
Non si vota per il Parlamento nazionale in Repubblica Ceca e a Cipro ma le elezioni presidenziali potrebbero incidere sugli equilibri politici nazionali tenendo conto che il presidente cipriota ha anche funzioni di governo e che l’attuale presidente ceco Milos Zeman sostiene scelte di politica estera favorevoli alla Russia di Putin.
Secondo i sondaggi attuali, il centro-destra potrebbe rafforzarsi nel Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo come è avvenuto con le recenti elezioni in Svezia e in Italia e ciò renderà più probabile una alleanza conservatrice alle elezioni europee nel maggio 2024.
Quest’ipotesi è emersa del resto nei due incontri romani fra il capo gruppo del PPE al Parlamento europeo, il bavarese Manfred Weber, e la leader dei Conservatori e Riformisti europei, l’italiana Giorgia Meloni, quando sono state esaminate la possibilità di una adesione di Fratelli d’Italia al PPE e la candidatura di Roberta Metsola alla presidenza della Commissione europea come Spitzenkandidatin del fronte del centro-destra europea per chiudere la storica convergenza della grande coalizione fra popolari e socialdemocratici insieme ai liberali.
Se ci si affida dunque ai sondaggi attuali l’Unione europea potrebbe essere governata nel 2024 dal centro-destra sia nel Consiglio europeo, che ha assunto un ruolo preponderante nel sistema europeo dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009, sia nel Parlamento europeo che nella Commissione europea dove tuttavia i commissari sono designati dai governi nazionali in accordo con il/la presidente della Commissione in un sistema ibrido che assegna all’esecutivo europeo compiti sia politici che tecnici sotto il doppio controllo del Parlamento europeo e dei governi e dunque con la coabitazione di membri della Commissione europea che a livello nazionale appartengono a maggioranze e minoranze contrapposte.
La rottura della grande coalizione fra popolari e socialdemocratici insieme ai liberali con la vittoria eventuale di un’alleanza conservatrice nel Consiglio e nel Parlamento europeo avrebbe una doppia conseguenza negativa sul funzionamento del sistema europeo:
- lo sviluppo o il mancato sviluppo delle politiche dell’Unione europea sarebbe condizionato dalla prevalenza di un approccio confederale e cioè dalla costante ricerca di un compromesso fra interessi nazionali spesso confliggenti, da una interpretazione riduttiva del principio di sussidiarietà nella ripartizione delle competenze fra l’Unione europea e gli Stati membri e da una ricorrente contestazione del primato del diritto dell’Unione insieme ad una visione nazionalista del rispetto dello stato di diritto ed una evaporazione del concetto di valori comuni.
- una conflittualità fra i membri della Commissione europea chiamati a rispondere nello stesso tempo alle sollecitazioni di una nuova maggioranza parlamentare europea e ai governi che li hanno a designati con maggioranze talvolta diverse rispetto a quella esistente del Palamento europeo.
I rischi di una progressiva disgregazione dell’Unione europea sarebbero in questo caso più evidenti per l’aumento della conflittualità fra le istituzioni e all’interno delle singole istituzioni proprio nel momento in cui l’Unione europea sarà chiamata a prendere delle decisioni comuni per passare dalla gestione delle emergenze (la pandemia, la guerra in Ucraina, la lotta al cambiamento climatico, la cybersecurity, le ingerenze esterne, i flussi migratori…) alla pianificazione del suo futuro per creare politiche interne necessarie alla garanzia di beni pubblici europei finanziati da vere risorse proprie e debito pubblico europei, per avviare politiche esterne necessarie alla sua autonomia strategica e per adottare riforme costituzionali necessarie in vista del suo ampliamento verso i Balcani e l’Europa orientale.
Nel mondo conservatore europeo molto più che nella sinistra prevale sempre di più l’idea della dimensione confederale dell’Unione europea e cioè della difesa degli interessi nazionali, una difesa legata al concetto di nazione come dimensione territoriale di un inesistente spazio occupato da una sola etnia.
Il vortice delle alleanze europee inizia a comporsi in vista delle elezioni europee nel maggio 2024 di cui gli incontri romani fra Manfred Weber e Giorgia Meloni sono stati solo un assaggio sapendo che non tutto il PPE è ancora pronto a scegliere la via di un governo con le destre estreme in Europa in una convergenza che è impensabile in Polonia, in Belgio, nei Paesi Bassi ma anche in Germania fra la CDU e la CSU da una parte e AFD dall’altra.
Che farà la famiglia liberale europea guidata da Emmanuel Macron i cui alleati sono al governo con i socialdemocratici e i verdi in Germania, in Belgio e in Lussemburgo conoscendo l’idiosincrasia del presidente francese verso il metodo degli Spitzenkanididaten, su cui potrebbe puntare le sue carte la coalizione conservatrice a sostegno di Roberta Metsola, e il suo impegno per una Europa sovrana contrapposta a quella delle sovranità nazionali?
Si tratta di una scelta dirompente che non riguarderà solo i liberali ma, come abbiamo detto più sopra, una parte del PPE diviso fra il conservatorismo confederale della coppia Weber-Meloni e il popolarismo cristiano della cultura universalista di Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi ed anche i socialdemocratici spaccati fra il sovranismo laburista nell’Europa del Nord e l’internazionalismo solidale degli iberici, della Germania e dell’Austria, del Benelux, dell’Italia e di una parte dell’Europa centrale.
E’ possibile immaginare una risposta coraggiosa e innovatrice alla alleanza confederale dei conservatori e alla loro epifora reazionaria con la costruzione – difficile ma necessaria – di una coalizione di idee e di programmi al di là dei recinti ermeticamente chiusi dei vuoti partiti europei che scelga la via pragmatica del federalismo europeo, solidale e democratico, rivolgendosi alla società civile, al mondo del lavoro e della produzione ecologicamente sostenibile per chiedere loro di sostenere un progetto di governo europeo espresso da una maggioranza nel Parlamento europeo che sarà eletto nel 2024 e che condivida la sfida di una riforma costituzionale dell’Unione europea ?
Nel costruirla pensiamo al manifesto dei resistenti europei a Ginevra nel 1944 ispirati dal Manifesto di Ventotene, al progetto della Rosa Bianca dei fratelli Scholl, al liberalismo di Luigi Einaudi e più avanti nel tempo di Bronisław Geremek, al sogno di una costituzione europea di Vaclav Havel, all’idea di Willy Brandt di un parlamento europeo come costituente permanente, all’Europa della pace e della fratellanza di Alex Langer e sapremo che la loro visione non era un sogno ma il progetto di una battaglia politica che valeva e che vale la pena di combattere.
Roma, 9 gennaio 2023
Il testo è ripreso dall’Editoriale della Newsletter del 9 Gennaio 2023 del Movimento Europeo Italia.
Le riflessioni sopra tratteggiate sono state poi riprese nell’Editoriale della Newsletter del 16 Gennaio 2023 del Movimento Europeo Italia.
Verso le elezioni europee nel 2024. Come e perché è necessaria una via pragmatica verso il federalismo europeo
Il nostro sasso nello stagno europeo sull’idea di una coalizione di innovatori in vista delle elezioni europee nel 2024 (newsletter 9 gennaio 2023) – a partire dagli esempi esistenti di governi in Germania, Belgio e Lussemburgo – a suscitato per ora limitate reazioni in Italia dove gli spazi delle culture politiche europee (il popolarismo cristiano, la socialdemocrazia, il liberalismo, l’ambientalismo) sono in pieno subbuglio e sia il popolarismo cristiano che il liberalismo sono rivendicati nello stesso tempo dal centro-destra e dal centro-sinistra.
Il nostro sasso ha suscitato interessanti reazioni in Europa soprattutto nello spazio politico di quella che era una volta la cultura del popolarismo cristiano e che appartiene in buona parte oggi e sempre di più al conservatorismo economico e sociale.
Questa cultura è stata alla base del progetto europeo nato nella “piccola Europa” (Germania, Italia Francia e Benelux) e non è un caso che nella lista ristretta dei “padri dell’Europa” venivano inizialmente collocati solo esponenti di quell’area culturale come Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi dimenticando tre esponenti di cultura socialista come Paul-Henry Spaak, di cultura liberale come Jean Monnet e di cultura federalista come Altiero Spinelli.
Per molti anni il popolarismo cristiano è stato egemone nei governi della “piccola Europa” in coalizione con i liberali e più tardi con i socialdemocratici con scelte politiche che univano all’idea della democrazia occidentale atlantista scelte economiche di quella che è stata chiamata poi nel Trattato di Lisbona la “economia sociale di mercato” essendo ancora lontani i tempi del cosiddetto “ordoliberismo”.
E’ oggi interessante notare che nessun capo di Stato (con funzioni governative) o di governo nel Consiglio europeo a nome dei paesi della “piccola Europa” appartiene al popolarismo cristiano.
L’Unione europea, come sappiamo, è uno strano soggetto politico in cui il confederalismo rappresentato dal Consiglio europeo, dal Consiglio dell’Unione europea e da centinaia di comitati intergovernativi – dove si decide normalmente secondo il principio del consenso anche quando i trattati prevedono il voto a maggioranza qualificata o addirittura a maggioranza semplice – convive con il federalismo rappresentato dal Parlamento europeo – ma anche dalla Corte di Giustizia essendo i suoi giudici vincolati al principio della totale indipendenza dagli Stati di provenienza, dalla BCE dove si decide a maggioranza, dalla Corte dei Conti e da organi monopersonali come il Mediatore o l’OLAF senza dimenticare la nuova Procura europea (EPPO) – e con la Commissione europea di ispirazione monnettiana che è un ermafrodito strattonato dai governi e dal Parlamento europeo, a lungo considerata (più a torto che a ragione) come un segretariato del Consiglio, i cui membri provengono dalle maggioranze governative nazionali ma sono da esse indipendenti con un(a) presidente espressione invece di una maggioranza politica nel Parlamento europeo che non sempre coincide con quella dei suoi commissari.
Nonostante questa stranezza, le Comunità europee prima e l’Unione europea poi hanno fatto molti passi in avanti andando al di là del mercato comune e sviluppando parziali politiche comuni per rispondere a sfide non previste e non prevedibili ai tempi dei trattati di Roma e dotandosi fra le altre cose di una moneta unica, di una “carta dei diritti fondamentali” e di un provvisorio debito pubblico europeo con il Next Generation EU oltre che di un considerevole acquis communautaire dotato di regolamenti, direttive e decisioni che, nei settori di competenza dell’Unione europea, prevalgono sui diritti nazionali.
Per superare la logica delle risposte emergenziali (il governo dei flussi migratori, la sicurezza interna ed esterna, un’economia socialmente ed ecologicamente sostenibile, le risorse energetiche…), l’Unione europea deve tuttavia dotarsi di una sua capacità di governo per programmare il proprio futuro nel rispetto della democrazia e delle sue diversità sapendo che, se essa resterà uno strano soggetto politico, non potrà avere una capacità di governo per programmare il proprio futuro.
Per uscire da questo stato di cose, in vista e dopo le elezioni europee del 2024, possono essere percorse due strade alternative:
- La prima consiste nel tentare di rendere coerente in tutte le sue istituzioni la dimensione confederale con una battaglia politica che coinvolga sia i livelli nazionali che quello europeo per far prevalere nel Consiglio europeo e dunque nel Consiglio dell’Unione europea maggioranze di ispirazione confederale o sovranista in occasione delle prossime elezioni nazionali che avranno luogo in Finlandia, in Estonia, in Grecia, in Spagna, in Slovacchia, in Polonia e in Bulgaria con coalizioni simili a quelle che governano in Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca ed ora in Svezia e in Italia dove il PPE ha deciso di sostenere coalizioni a trazione sovranista, per far vincere alle elezioni europee una maggioranza parlamentare confederale o sovranista e per eleggere poi una Commissione dello stesso colore di questa maggioranza. La stranezza politica del soggetto europeo renderebbe tuttavia impervia questa strada perché in qualche “provincia dell’impero sovranista” e cioè in qualche Stato membro c’è e ci sarà una maggioranza europeista che esprimerà un(a) commissario(a) europeista, i giudici della Corte difenderanno nelle loro sentenze il primato del diritto europeo e la BCE agirà governando la politica monetaria nel pieno rispetto della sua indipendenza dai governi nazionali. A questi equilibri o squilibri istituzionali si aggiungeranno ed anzi si sovrapporranno gli interessi nazionali che spesso non coincidono ed anzi divergono nella ricerca di un accordo sulla politica economica e monetaria fra paesi dell’euro e paesi al di fuori dell’euro, sulle politiche di bilancio fra paesi contributori netti e paesi beneficiari, sulle politiche migratorie fra paesi di prima accoglienza e paesi con frontiere ermeticamente chiuse, sulla transizione ecologica fra paesi con forti e paesi con deboli politiche ambientali, sulla politica estera fra paesi più o meno sensibili all’attrazione verso l’Est o verso il Sud. L’Unione europea sarebbe presto paralizzata dai veti incrociati e gli interessi nazionali non otterrebbero risposte adeguate a livello europeo.
- La seconda strada consiste nel tentativo di far prevalere quella che noi abbiamo chiamato “la via pragmatica verso il federalismo europeo” lavorando alacremente e nei prossimi mesi su un programma di idee e di politiche europee per pianificare e governare il futuro che si traduca a termine in un patto costituzionale e in un nuovo trattato secondo la logica della “linea di divisione” – a cui ci richiamava il Manifesto di Ventotene – fra innovatori e immobilisti o, se volete, fra federalisti e nazionalisti. Affinché le cittadine e i cittadini europei siano consapevoli della scelta europea che dovrà emergere dalle elezioni europee nel 2024, gli innovatori dovrebbero tradurre il programma di idee e di politiche nella condivisione di un(a) candidato(a) comune alla presidenza della futura Commissione europea proponendo di unificarla con la presidenza del Consiglio europeo con una leadership di coalizione secondo il metodo suggerito da Tommaso Padoa Schioppa e dalla Fondazione Delors nel 1999 e non nella contrapposizione di Spitzenkandidaten indicati dai singoli partiti europei destinati ad essere l’espressione di una maggioranza relativa come fu suggerito da Martin Schulz nel 2018 e come fu tradotto poi in una proposta dei gruppi politici nel Parlamento europeo. Se sarà impossibile trovare un accordo su una comune leadership di coalizione, i partiti europei e/o le liste nazionali che condivideranno un programma di idee e di politiche europee destinato a tradursi in un patto costituzionale almeno potrebbero impegnarsi ad eleggere solo il candidato o la candidata del partito che avrà più voti fra coloro che avranno sottoscritto quel programma essendo consapevoli che la forza (o la debolezza) elettorale di quel programma sarà legata alla scelta o alla non-scelta di un’unica Varrebbe la pena che i promotori della via pragmatica al federalismo europeo intervengano nelle prossime campagne elettorali nazionali il cui significato sarà europeo e non nazionale.
La strada di una coalizione di innovatori è irta di ostacoli perché l’idea di “contarsi” alle elezioni europee come se fosse un secondo appello trasformando il confronto transnazionale in una contrapposizione per la conquista del governo nazionale su temi nazionali è purtroppo molto diffusa nei partiti mentre il confronto tra programmi europei è pressoché inesistente.
L’idea di una coalizione di innovatori come risposta all’ipotesi di una coalizione di centro-destra emersa nei due colloqui romani fra il capo-gruppo europeo del PPE Manfred Weber e la presidente dei Conservatori e Riformisti europei Giorgia Meloni ha sollecitato nel frattempo l’attenzione negli ambienti del PPE in Germania e in Polonia dove CDU e CSU da una parte e la Piattaforma Civica dall’altra hanno escluso una alleanza elettorale fra PPE e ECR ricordando che sia Ursula von der Leyen che Roberta Metsola sono state elette grazie alla grande coalizione fra popolari, socialdemocratici e liberali, che il sostegno dell’ECR è stato nei due casi ininfluente e che alle prossime elezioni legislative in Polonia la Piattaforma Civica che aderisce al PPE e il Partito Diritto e Giustizia al governo dal 2015 che aderisce a ECR si presenteranno con liste contrapposte.
Lo stesso Manfred Weber ha cercato del resto di fare un goffo passo indietro affermando che la collaborazione fra PPE e ECR si realizza case by case come sta avvenendo in queste settimane sulla direttiva relativa alla prestazione energetica negli edifici con un’azione di vero e proprio filibustering che ignora l’azione di S&D, Renew Europe e Verdi per ottenere un miglior equilibrio fra aspetti economici, ambientali e sociali, come è avvenuto ancor sul tema del rispetto dello stato di diritto in Polonia e Ungheria, sul progetto di un nuovo Protocollo sociale e come sta avvenendo nei lavori della commissione affari costituzionali sulla questione del primato del diritto dell’Unione europea.
Appare così chiaro che il futuro dell’Unione europea in occasione delle elezioni europee nel 2024 sarà legato alla scelta fra la prevalenza della dimensione confederale – e cioè di un’estensione delle competenze degli Stati membri, di un indebolimento del ruolo del Parlamento europeo e della Commissione, di un congelamento della Carta dei diritti e dell’attuazione del Pilastro Sociale, di un rallentamento della transizione ecologica, di un rinvio sine die del Patto sulla migrazione e di una permanente complicità con chi viola lo stato di diritto e il principio del primato del diritto europeo – e la via pragmatica del federalismo europeo che richiederà un’azione convergente di movimenti politici, di attori della società civile, di portatori di interesse nel mondo del lavoro e della produzione sostenibile, di reti giovanili, di realtà innovatrici nella ricerca e nell’università per costruire una coalizione di idee e di progetti con l’obiettivo di tradurli in un patto costituzionale europeo.
Per far cambiare rotta all’Unione europea sarà necessario far cambiare rotta ai partiti e nei partiti europei sapendo che la scelta radicale fra il confederalismo e il federalismo potrebbe aprire la strada a inimmaginabili divisioni negli spazi politici che sono per ora chiusi nella difesa di ideologie superate dalle nuove sfide della società europea e che l’Unione europea si integra o si disintegra solo se le elezioni europee del 2024 saranno colte e sfruttate come una occasione irripetibile per una sua riforma profonda che eviti il rischio di una paralisi fatale impossibile da sostenere.
Roma, 16 gennaio 2023
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