Architetture transnazionali – UE, euro, Comunità politica europea…
di Andrea Moretti
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Due novità di rilievo hanno movimentato ultimamente la vita europea. Il 16 giugno, l’Eurogruppo, che riunisce i ministri delle Finanze della zona euro, ha approvato l’adesione della Croazia alla zona euro a partire dal primo gennaio 2023. Il 17 giugno, la Commissione europea ha dato parere favorevole a concedere lo status di paese candidato all’EU a Ucraina e Moldova. Anticipando la mossa, Emmanuel Macron (presidente della Francia), Olaf Scholz (cancelliere tedesco), Mario Draghi (primo ministro italiano) e Klaus Iohannis (presidente della Romania) hanno dato il loro fondamentale benestare politico durante la loro visita a Kiev il giorno prima. Il Consiglio europeo del 23-24 giugno deciderà.
Contestualizziamo queste due novità nel quadro più ampio della costruzione europea e facciamo un passo indietro. Il 9 maggio, davanti al Parlamento europeo a Strasburgo, Emmanuel Macron ha lanciato l’idea di costituire, accanto all’Unione europea, una più vasta Comunità politica europea (la CPE) che possa raggruppare insieme ai Ventisette tutti gli altri paesi europei che condividono i valori fondamentali dell’UE, ma che per ragioni varie non possono ancora, o non vogliono, aderire all’UE, o quelli addirittura che ne sono usciti (leggi: Regno Unito).
Macron è stato netto. “L’Unione europea non può essere il solo mezzo per strutturare il continente europeo”, ha detto davanti all’emiciclo, aggiungendo: “Non possiamo fare come in passato, e dire che la sola risposta [per integrare gli altri paesi] è l’adesione all’UE”. Il presidente francese ritiene per esempio che anche riconoscendo oggi all’Ucraina lo status di paese candidato, passeranno anni (forse decenni) prima che questa adesione si realizzi. Nel frattempo, secondo Macron, l’UE deve imparare a gestire lo spazio ai suoi confini (gli Stati ex sovietici, i Balcani, il Regno Unito…) con nuovi strumenti che favoriscano un avvicinamento politico laddove le condizioni socio-economiche divergano.
Mettiamo insieme questi tre elementi e divertiamoci a fare un po’ di “fantaeuropa”. Da qui a dieci anni, il nostro continente potrebbe strutturarsi intorno a tre cerchi concentrici: la UE al centro, la più ridotta zona euro dentro l’UE ma con vocazione a dilatarsi oppure ad approfondirsi, e la major CPE fuori a ricomprendere l’UE più quasi tutto il vicinato dell’UE, a prescindere dallo status di paese candidato o no. In questa logica, domani la CPE potrebbe ricomprendere anche la Turchia, e forse la Bielorussia post-Lukashenko. The sky is the limit.
L’UE di oggi rimane ovviamente il faro della costruzione europea, ma se guardiamo bene constatiamo che dopo aver raggiunto 28 Stati membri (l’ultima adesione è stata quella della Croazia nel 2013, seguita dalla prima uscita di un socio, il Regno Unito, nel 2021) la voglia di accogliere nuovi membri non è altissima e non crea consensi fra i Ventisette.
L’adesione all’UE rimane l’agognato punto di arrivo per diversi paesi candidati e costituisce un tavolo di lavoro permanente per la Commissione di Bruxelles, ma una parte dei soci esistenti sembra percepire eventuali nuove adesioni come il punto di partenza di nuovi problemi. Le tensioni sullo stato di diritto in Polonia e Ungheria stanno lasciando un segno sulle pur resilienti strutture e consuetudini comunitarie. Ai criteri di convergenza con l’acquis comunautaire si sommano ormai le valutazioni sullo stato di diritto, sulla tenuta statuale dei paesi candidati, l’assenza di conflitti con i vicini, etc. L’Unione europea resta un club aperto, ma oggi bisogna bussare più volte prima di poter entrare.
Da qui la proposta di Macron, che seppur vaga, ha il merito di porre la questione almeno all’interno dell’UE. Ai paesi candidati la proposta francese ovviamente non piace perché temono di venir condannati a un’anticamera perpetua. La CPE potrebbe dunque definire una nuova geopolitica o finire con un buco nell’acqua. Siamo appena alle prime dichiarazioni. In Italia sulla stessa linea si è espresso il segretario del Partito democratico, Enrico Letta che si è fatto portavoce di “un progetto forte per il futuro dell’Europa (…) Un’architettura paneuropea per accogliere l’Ucraina”, nella logica di “una grande unità” e come “spinta decisa verso la pace”. Il dato di partenza è che l’allargamento dell’UE all’Ucraina è “un processo che può durare anni e porterebbe non solo a frustrazione, ma anche a guardare più agli Stati Uniti che all’Europa. Sarebbe un grave errore. Invece va fatta ora una Confederazione europea che accolga subito non solo l’Ucraina, ma anche Moldavia, Georgia, Macedonia del Nord, Albania e Serbia.”
Da qui anche l’interesse di sorvegliare quello che accade a livello della zona euro, uno dei cuori pulsanti dell’UE. Il prossimo ingresso della Croazia porterà da 19 a 20 il numero dei paesi UE aderenti all’unione monetaria. Ne rimarranno fuori 7: Bulgaria, Danimarca, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Svezia e Ungheria. In sé, un paese in più o in meno fa poca differenza sull’equilibrio generale. Ma se guardiamo in prospettiva vediamo che la Brexit ha fatto uscire dall’UE il Regno Unito con la sua sterlina: osserviamo quindi che il campo dei paesi UE senza l’euro si affievolisce gradualmente. Finché c’era il Regno Unito, l’UE aveva in seno nove paesi con monete “altre” fra cui la sterlina. Non si poteva fare l’equazione zona euro = UE. Ora però, piano piano, la parte si avvicina al tutto.
L’adesione prossima della Croazia dimostra la capacità di attrazione dell’euro. La moneta unica rimane un elemento essenziale per il completamento dell’unione economica fra i paesi UE e diviene anche fattore di coesione geopolitica. Lo hanno capito da tempo i tre paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) che sono entrati rapidamente nell’euro a maggiore garanzia di un non ritorno nella sfera russa. Lo ha capito la Croazia, che ultimo paese ad entrare nell’UE, avrà impiegato appena dieci anni a qualificarsi anche per l’euro. Lo ha capito anche la Bulgaria, che vorrebbe entrare, ma che si vede negare per il momento l’accesso per dubbi sulla sua tenuta, a dimostrazione che gli esami di ingresso sono difficili.
La zona euro non è solo una somma di soci. È un club con un nome (l’Eurogruppo), in cui i ministri delle finanze dei paesi aderenti discutono di coordinamento delle politiche economiche e di temi comuni. Benché sia un organo informale fra le istituzioni europee, l’Eurogruppo ha una sua governance, con un presidente eletto a turno per due anni e mezzo fra i ministri delle finanze (attualmente è l’Irlandese Pascal Donohue), riunioni mensili (che si tengono alla vigilia dell’Ecofin) a cui partecipano di diritto il presidente della Banca centrale europea (BCE) e il vice-presidente della Commissione europea. Prende decisioni e le comunica a mezzo stampa.
In vent’anni di esistenza, l’euro ha sopravvissuto a diverse crisi, fra cui quella finanziaria degli anni Dieci (collasso di Lehman Brothers, crisi del credito, spread fra titoli di Stato…). Ha superato finora le forti opposizioni politiche interne ai paesi aderenti (fra cui: il primo governo Conte in Italia con Salvini e il primo Di Maio, Le Pen in Francia, Alternative fur Deutschland in Germania). Ha accolto nuovi membri e assistito senza scosse all’uscita della sterlina dall’UE. Si è dotata come abbiamo visto di una governance che fa capo alla BCE ma che include anche l’Eurogruppo dei ministri delle finanze dei 19 (fra poco 20).
È presto per capire se e come la zona euro crescerà per influenza e competenze all’interno dell’Unione europea. L’UE come la conosciamo oggi, avente come fulcro la Commissione europea e il Parlamento europeo che rappresentano tutti i Ventisette, rimane un motore incontrastato della vita comunitaria.
Sotto la guida di Ursula von der Leyen la Commissione sta addirittura espandendo il proprio raggio d’azione. Oltre a disporre del tradizionale bilancio comunitario (circa mille miliardi di euro per 7 anni), ha lanciato il grande piano da 750 miliardi di euro battezzato Next Generation EU, che raccoglie fondi sul mercato dei capitali del mondo intero per finanziare i piani di recovery post pandemia nei 27 Stati membri (in Italia il PNRR). Ora l’esecutivo di Bruxelles lancerà probabilmente anche il piano di recovery per l’Ucraina (vedi questo factsheet preliminare). La Commissione, in nome dei Ventisette, sta girando a mille portando a casa risultati non banali.
Eppure… Le prevedibili complessità di far funzionare bene un’Unione che potrebbe domani comprendere 30 e passa membri, alcuni con situazioni interne eterogenee, fa riflettere i leader dei Ventisette. È significativo che Macron e Scholz abbiano entrambi avanzato l’ipotesi di rivedere i Trattati europei per modernizzare l’UE. Il cantiere istituzionale è l’ultimo che si vorrebbe aprire, per la complessità del tema e l’imprevedibilità dell’esito in un periodo di euroscetticismo crescente fra le opinioni pubbliche interne. Ma è anche una presa d’atto che senza cambiamento si rischia l’asfissia.
Sul fronte esterno, la proposta macroniana di creare una Comunità politica europea ad ampio raggio vuole aggiornare la politica comunitaria attuale di vicinato e di pre-adesione con lo spazio extra-UE. Sul fronte interno, l’adesione della Croazia alla zona euro mostra che la moneta unica è una calamita e un fattore sempre più unificante in Europa. Anche qui: tanto più la zona euro si allarga, tanto più sarà necessario coordinare maggiormente le politiche fiscali e la convergenza fra i paesi aderenti, per evitare asimmetrie eccessive e rafforzare la solidità dell’euro anche a livello internazionale.
Tutto questo senza menzionare la politica estera e di sicurezza dell’UE, un altro cantiere non da poco.
Possiamo immaginare che domani il vero “approfondimento” della costruzione europea si farà intorno all’euro? A quel punto, l’Unione europea come la conosciamo oggi potrà allargarsi più facilmente da 27 a nuovi Stati membri, che condivideranno così un progetto avanzato di integrazione politica, economica, sociale e culturale, con un mercato unico, la libera circolazione, politiche comuni ed altro ancora, ma senza il tassello importante della moneta e dei suoi corollari, finché non saranno pronti anche per essa.
Lo stesso allargamento dell’UE sarà forse reso più gestibile dall’esistenza, nel frattempo, di una comunità politica europea che avrà servito a creare solidarietà di fatto attorno a valori comuni. Il tempo così non avrà giocato contro gli Ucraini, i Moldavi ed altri popoli europei, ma a loro favore. E magari, come nella canzone di Lucio Dalla, in cui “anche i preti potranno sposarsi, ma solo a una certa età” – anche gli Inglesi torneranno, ma solo a un certo livello di intimità.
Come al fantacalcio, a fantaeuropa è lecito immaginare su basi reali. Per l’Europa, potrebbe essere un progetto geopolitico affascinante. Altro che declino della nostra stanca civiltà. Altro che dissoluzione dell’UE.
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