Il Novecento in un intreccio di culture, lingue e paesaggi
Katja Petrowskaja, Forse Esther, traduzione di Ada Vigliani, Milano, Adelphi 2014
Dalla presentazione dell’Editore:
“Si sarà proprio chiamata Esther quella bisnonna che, nella Kiev del 1941, chiese fiduciosa a due soldati tedeschi la strada per Babij Jar, la fossa comune degli ebrei, ricevendone come risposta una distratta rivoltellata? Forse. E dell’intera famiglia, dispersa fra Polonia, Russia e Austria, che cosa ne è stato? Il monolite sovietico conosceva l’avvenire, non la memoria. Per ricostruire quella ramificata genealogia, quel vivace intreccio di culture e di lingue – yiddish, polacco, ucraino, ebraico, russo, tedesco –, Katja Petrowskaja intraprende, sulle tracce degli scomparsi, un intenso viaggio a ritroso nella storia di un Novecento sul quale incombono la stella gialla e quella rossa, e in cui si incrociano i destini di memorabili figure: la babuška Rosa, incantevole logopedista di Varsavia, che salva duecento bambini sopravvissuti all’assedio di Leningrado; il nonno ucraino, prigioniero di guerra a Mauthausen e riemerso dal nulla dopo decenni; il prozio Judas Stern, che spara a un diplomatico tedesco nella Mosca del 1932, e dopo un processo-farsa viene spedito «nel mondo della materia disorganizzata»; il fratello Semën, il rivoluzionario di Odessa, che passando ai bolscevichi cambia in Petrovskij un cognome troppo ebraico… Ma indimenticabili protagonisti sono anche i paesaggi: l’immane pianura russa invasa dai tedeschi e le città della vecchia Europa: Kiev, Mosca, Varsavia, Berlino. E i ghetti, i gulag e i lager nazisti. In questo romanzo vero, vibrante, venato di ironia – il migliore che la letteratura tedesca ci abbia dato dopo Austerlitz di Sebald –, mondi inabissati risorgono vividi, rapinosi, e più che mai contemporanei”.
Intervista di Fabio Cappelli a Katja Petrowskaja al salone del Libro di Torino il 18 maggio 2015, durata 1’33.
Intervista-conversazione in tedesco di Gesa Ufer e Frank Meyer con Katja Petrowskaja a proposito del suo romanzo Forse Esther (Vielleicht Esther, 2014) nella rassegna di Radioeins, durata 9’.
Franziska Mencz legge in tedesco estratti di Vielleicht Esther, con accompagnamento musicale. Michael Rettig (pianoforte) e Clovis Michon (violoncello) eseguono From Jewish Life“, brani del compositore ebreo Ernest Bloch. Durata 10’25.
Sul patchwork linguistico di Vielleicht Esther ha scritto qui Tomas Benevento, che spiega: “la scrittrice ripercorre la genealogia della propria famiglia e tematizza il massacro nazista di Babij Jar, forra nella quale presumibilmente la bisnonna Esther fu trucidata. Attraverso l’appropriazione e l’ibridazione della lingua tedesca, Petrowskaja forgia un codice linguistico artificiale che le permette non solo di tramutare la propria saga familiare in una storia universale, ma anche di creare una lingua franca in grado di trascendere i confini idiomatici. Il patchwork linguistico plurilingue, inclusivo e ibrido è quindi da interpretare come il tentativo di instaurare un nuovo discorso unitario sulla Shoah che inserisca l’eccidio di Babij Jar nel medesimo contesto di altri stermini nazisti”.
Il libro è stato recensito, tra l’altro, qui e qui e qui e qui e qui e qui (in tedesco) e qui (in inglese) e ancora in inglese e qui (in inglese).
Sul lavoro di traduzione in inglese del suo libro da parte di Shelley Frisch vedi.
Sulla rivista “Antinomie” 07/12/2021 si può leggere di Katja Petrowskaja, Storia di una fotografia del 29 settembre 1941, nella traduzione di Valentina Parisi.