Il 15 marzo a Roma a Piazza del Popolo alle ore 15:00
di Paolo Morawski
Una manifestazione non risolve nulla. Ma a quella del 15 marzo a Roma a Piazza del Popolo alle ore 15:00 andrò per il puro piacere di vedere sventolare migliaia di bandiere europee. Non capita spesso una piazza pro-Europa. Solo lo spettacolo vale lo spostamento.
Una manifestazione nulla decide. Ma nell’era della comunicazione forsennata e istantanea, quella manifestazione in particolare comunicherà un messaggio importante: che a Roma, in Italia in più di mille, diecimila, cinquantamila siamo convinti nella necessità, ragion d’essere, realtà, speranza d’Europa. Affermarlo è importante per non lasciare tutto il campo libero agli euroscettici ed eurocontrari, a chi – nel nostro continente stesso e fuori dai suoi confini – vorrebbe un’Europa divisa, debole, da conquistare, da sottomettere. Con un’aggravante: dieci-venti anni fa, schematicamente, le destre europee combattevano l’idea stessa di Europa unita, oggi dilagano dentro le istituzioni europee per plasmare l’Europa secondo la loro visione del mondo. Stanno, vorrebbero, provano a costruire un’Europa molto diversa dalla mia/nostra/vostra. Pertanto, non vi è nessuna convenienza, ma proprio nessuna a tirarsi fuori dal gioco, a chiudersi nella propria chat, nella propria tenuta in campagna, nella propria torre narcisa e indifferente. Questa tipologia di Aventino dà solo maggiore spazio alle destre che lavorano per un’Europa meno unitaria, basata soprattutto sugli Stati e i governi nazionali, destinata a successive sottomissioni. Mai dimenticare che l’Europa è ciò che i governi nazionali vogliono (o non vogliono) che sia e faccia.
Una manifestazione che riempie una piazza romana che può ospitare, secondo vari calcoli, sino a 65 mila persone è comunque un raduno di minoranza. Non v’è dubbio. Ciò nonostante costituisce un segnale forte a favore dell’Europa, un segnale che direttamente e indirettamente aiuta e rafforza un paese come l’Italia a rappresentare a Bruxelles come a Strasburgo i propri interessi, la propria visione del mondo, la propria sensibilità italico-mediterranea. Obiettare che “non mi riconosco” negli attuali rappresentanti e governanti italiani non è una buona obiezione. Il silenzio è assenso. Anche sventolare una bandiera è una forma di non-assenso.
Trovo notevole l’adesione di tanti sindaci da tutta Italia. E trovo ancor più notevole che a mobilitarsi siano comuni cittadini in diverse città italiane.
L’Europa a favore della quale sabato 15 marzo si andrà a manifestare è concetto indubbiamente vago. Per certo ciascun manifestante ha un proprio giudizio sull’UE di oggi, ha opinioni diverse su quali debbano essere i destini del continente europeo, su quale debba essere il futuro assetto dell’Unione Europea, su quali siano le auspicabili future competenze delle istituzioni comunitarie, su come rapportarsi alla Russia, agli Stati Uniti d’America, alla guerra in Medio Oriente, a Israele, ai palestinesi, al Nord Africa, all’Africa, alla Cina, ai Balcani… S’incontreranno in piazza del Popolo chi sa che la minaccia russa è concreta (guerra ibrida, violazione delle frontiere europee e del diritto internazionale) e chi ritiene che la minaccia russa è perlomeno esagerata se non già inesistente. Saranno fianco a fianco chi è impegnato da tempo nella costruzione degli Stati Uniti d’Europa, chi si ferma all’attuale Europa confederale e chi immagina la “Comunità europea delle nazioni”, chi sostiene i valori fondanti per compattarsi e chi per opporsi. C’è chi vuole boicottare e chi rianimare il percorso verso l’integrazione politica dell’Europa. Chi vuole una difesa comune, chi aborrisce al solo pensiero che si parli di armi, chi esige che l’UE prima ripensi la propria politica estera, chi crede che la guerra che colpisce l’Ucraina sia una “nostra guerra” e chi al contrario afferma che “no, non è la nostra guerra”, chi pensa che l’Europa va sostenuta anche con eventi simbolici e chi ironizza sugli sventolii di bandiere chiedendo riforme concrete e politiche serie su difesa comune, energia, industria, migrazioni. Chi reputa il riarmo necessario e chi invoca in alternativa la diplomazia e i diritti. Tra analisi geo-storiche e geo-politiche, c’è chi pensa soltanto alle proprie personali convenienze, chi difende l’economia, chi l’artigianato made in Italy, chi la cultura, gli scambi Erasmus, i voli no-cost, l’assenza di frontiere da Helsinki a Madrid e da Copenaghen ad Atene. Vi è chi vuole reagire ai dazi con altri dazi, e chi non vuole irritare alcuno dei potenti di turno… Insomma, un bel caleidoscopio non esente da polemiche, distinguo, ambiguità.
Bene, benissimo, ottimo, discutiamo, parliamo, confrontiamoci, proviamo anche solo a parole a elaborare un progetto europeo comune adeguato a questo tempo. Per costruire il nostro futuro continentale, noi che abitiamo qui, non abbiamo altra maniera: dialogare invece di litigare. Ovviamente, non tutti sono interessati al futuro, non tutti hanno figli o nipoti, non tutti sono rimasti giovani di testa, non tutti sentono il richiamo dell’Europa, non tutti amano le manifestazioni, non tutti hanno la stessa percezione delle sfide e dei pericoli di questa terza decade del XXI secolo – bene, ottimo, w la pluralità, w ogni differenza. L’importante è costruire. Dire solo e sempre no – “ma questo lo fanno i bambini”.
Andrò a manifestare per l’Europa proprio perché il mondo di ieri non c’è più. Ogni giorno che passa il distacco dal bel tempo che fu (ma fu solo bel tempo?) si approfondisce. Non da oggi, da anni, da decenni. Forse – per alcuni aspetti – da quando l’America per prima tra la fine degli anni 1970 e l’inizio degli anni 1980 imboccò con crescente decisione quella che fu definita “l’autostrada dell’informazione”. La quale autostrada, di digitalizzazione in digitalizzazione, di realtà elettronica in realtà virtuale, ci ha portato alla Rete e ai social di oggi, allo strapotere dei Big Tech e alle nuove opportunità dell’Intelligenza detta artificiale (e non è finita). Che si cominci la fine del mondo di eri nel 2022 o nel 2008 o nel 2003 o nel 1991 o prima, il fatto indiscutibile è che quel mondo non c’è più e non torna. Nessun rimpianto, nessuna nostalgia. Certo, assumere tutte le conseguenze di questa enorme e duratura trasformazione esige che si esca dalla propria zona confort, il confort di una vita, e ciò fa fatica. Non tutti hanno ancora voglia di faticare a cambiare – pace. Rimpiangere è un lusso, peggio una cecità, un’auto-esclusione, una forma di suicidio mentale.
Andrò alla manifestazione pro-Europa proprio perché il mondo di ieri non c’è più, quindi serve una maggiore consapevolezza di cos’è il mondo nel quale viviamo oggi. Un mondo nel quale quel luogo geo-umano noto come Europa ha perso la sua centralità planetaria durata secoli, un luogo in cui vivono 450 milioni di persone sempre più anziane (già oggi il 20% di tutta la popolazione, più di una persona su cinque). Noi italiani, europei siamo non già “i figli delle stelle”, ma gli abitanti di un continente che invecchia, che il resto del mondo emargina, siamo i figli fortunati, privilegiati, capricciosi, smemorati di una lunga pacchia: la pacchia della pace (ma le guerre nell’ex Jugoslavia? Ma le guerre nel resto del mondo?); la pacchia della Guerra fredda (stare da questa parte della Cortina di ferro per 45 anni sotto la protezione degli USA ci ha arrecato a noi italiani solo vantaggi); la pacchia del post-Guerra fredda (migliaia sono le aziende italiane che hanno beneficiato per 35 anni dell’implosione dei comunismi Est europei e dei successivi allargamenti a Est). Ebbene, tutte queste pacchie sono finite. Ed eccoci qua, noi 50-60-70-80-90enni nel post-pacchia. La domanda è: che vogliamo fare? Niente, è un’opzione. Un’Europa migliore è un’opzione migliore.
Aderisco alla manifestazione del 15 marzo non perché sottoscriva ogni singola parola detta e ogni omissione nelle convocazioni, nei vari appelli, nei fin qui messaggi ricevuti. Fondamentalmente aderisco perché una parte non indifferente della mia persona si sente “europea” (i sentimenti di appartenenza sono sempre plurali e spaziano dalla tana locale alla più ampia dimensione trans-nazionale). Nessun merito in questo. Abitare in 4 lingue, essere nati da una parte (Varsavia) e vivere in un’altra (Italia), aver studiato anche in Francia, aver viaggiato per lavoro e per diletto in una ventina di paesi europei, aver lavorato 5 anni a tratti a New York, aver visitato il Nord Africa dal Marocco all’Egitto, da tutti questi dati biografici e dal complesso di tali esperienze risulta una personale “europeità”. Confrontarmi con altre, differenti dalla mia “europeità”, mi ha sempre divertito e ancor più mi diverte oggi. Chi non ride non è serio.
Da leggere:
Contro
- Le dieci firme, 15 marzo, l’ipocrita piazza bielorussa che vuole l’Europa fragile e meno libera: perché non parteciperemo alla manifestazione
- Contromanifestazione, Sabato 15 marzo h 15:00 a Roma, piazza Barberini: no all’Unione Europea che si riarma, no alla difesa comune, la sicurezza è nel ripudio della guerra. L’effetto Serra nuoce alla pace
- Giulio Cavalli, Più bandiere che idee
- Emergency, Perché il 15 marzo non saremo in piazza per l’Europa
- Sofia Spagnoli, La sinistra si divide anche in Piazza: le due manifestazioni sull’Europa del 15 marzo e chi ci va
- Barbara Spinelli, Il nemico dell’Europa è il riarmo di von der Leyen
A favore
- Michele Serra, Una piazza per l’Europa
- Pina Picierno, Per un’Europa libera e forte
- Movimento Europeo, Per un’Europa libera, unita, solidale e di pace
- Riccardo Magi, Sabato in piazza perché serve più Europa. Piano riarmo presupposto per difesa comune
- Commissione Europea, Un’Europa più forte nel mondo. Rafforzare la nostra leadership mondiale responsabile
- Parlamento europeo, Conferenza sul futuro dell’Europa
- Luigi Ferrajoli, Perché manifestare per l’Europa con le bandiere della pace