La guerra della Russia contro l’Ucraina vissuta in prima persona da un imprenditore francese
di Ignace Haertlé
Immagine di copertina: Henri Rousseau, La guerre, 1894 circa, Parigi, Museo d’Orsay, fonte.
Ignace Haertlé, formatosi al Politecnico di Parigi, imprenditore francese di ingegneria e costruzioni in Ucraina e in diversi Paesi limitrofi, ha vissuto in prima persona gli eventi che hanno portato alla guerra della Russia in Ucraina. Oggi vive in Italia ed è in costante contatto con l’Ucraina, dove le sue aziende hanno potuto riprendere le loro attività. Racconta la sua vita in Ucraina dal 2010 fino allo scoppio del conflitto e riflette sulle esperienze vissute.
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Dal febbraio 2022, l’invasione russa dell’Ucraina occupa una parte significativa della nostra sfera mediatica. Sono presenti narrazioni contrastanti sulla guerra in corso – e questo è un elemento relativamente nuovo. Contrastanti, cioè in competizione? Sarebbe un termine debole, poiché queste versioni sono spesso incompatibili tra loro e non possono esistere in concomitanza! Come possiamo quindi discernere il vero dall’approssimativo e l’approssimativo dal falso? Come spesso accade avere informazioni dal campo permette di vedere le cose un po’ più chiaramente.
Un punto di vista dal campo
Ho vissuto a Kyïv (la forma ucraina di Kiev) dal 2008 al 2020. Mia moglie è russa e i nostri figli sono nati in Ucraina. Nel 2009 ho avviato lì un’azienda di ingegneria e costruzioni: la Ertle Ltd. Lo slancio imprenditoriale è stato tale che abbiamo aperto filiali nei paesi vicini: in Russia, Bielorussia, Polonia. In altre parole, una geografia aziendale che è da sogno, oggi! Mi spostavo molto nell’area e la mia attività – l’edilizia – mi ha portato a entrare regolarmente in contatto con uno spettro sociale molto ampio. Dal 2020, con la famiglia ci siamo trasferiti in Italia, a Roma, da dove continuo a gestire le mie attività.
Il Donbass di “prima”
Il “prima” in Ucraina è il periodo precedente al 2014. Il presidente era Viktor Janukovyč, eletto nel 2010 (democraticamente). Veniva dal Donbas ed era, insieme alla sua cerchia, un cleptocrate. A quel tempo, la lingua ucraina era parlata fianco a fianco con la lingua russa senza particolari conflitti, la società era divisa – senza accesi dibattiti o battaglie campali – tra chi pensava che il futuro dell’Ucraina fosse in Europa e chi riteneva che l’Ucraina appartenesse al mondo russo; e nessuno sosteneva che le due prospettive fossero incompatibili. Il Donbas, di cui tanto si parla oggi, era una regione ucraina come tutte le altre, senza particolarità di rilievo, tranne che agli occhi dei suoi stessi abitanti, come nella maggior parte dei posti. Lungi dall’essere oppresso o trascurato, il Donbas dominava il Paese, poiché la stragrande maggioranza dei leader nazionali proveniva da lì.
Le proteste popolari del novembre 2013
Tutto è iniziato nel novembre 2013. Janukovyč, nella sorpresa generale, si è rifiutato di firmare il trattato di associazione con l’Unione Europea. Un trattato annunciato da tempo e sul quale un certo numero di speranze erano state riposte. Pochi giorni prima si era svolto un incontro con Putin a Mosca, durante il quale Janukovyč aveva ottenuto un prestito statale di 3 miliardi di dollari. Questo prestito è poi stato molto probabilmente sottratto da Janukovyč. In seguito si è ritenuto che i due eventi fossero collegati. Resta il fatto che il rifiuto di Janukovyč ha fortemente scontentato l’opinione pubblica ucraina, già scottata dai numerosi scandali di corruzione. Gli studenti sono andati a protestare e hanno piantato le tende in piazza (Maidan). Dopo qualche giorno, i berkut – la polizia antisommossa – hanno brutalmente sloggiato gli occupanti. Radiogiornali e telegiornali diedero evidenza al fatto. Forse è stato in quel momento che tutto si è deciso. Vedere questi giovani uomini e giovani donne picchiati a sangue e in lacrime fece insorgere la popolazione. Il sabato successivo prese avvio una enorme manifestazione. Più di 500.000 persone si riunirono a Khreshchatyk, la strada principale di Kyïv, per denunciare il regime. Si sente parlare qua e là di “ingerenze straniere” e si è cercato di far apparire le manifestazioni come artificiose, ma la tesi non è compatibile con il carattere massiccio e spontaneo delle proteste.
La fuga di Janukovyč
Le manifestazioni sono continuate nei fine settimana, perdendo un po’ di intensità, esaurendosi anche, finché Janukovyč non commise la sua successiva stupidità politica, che è riuscita a rianimare le manifestazioni suo malgrado. Da metà febbraio 2014 ha deciso di (o è stato spinto a) inasprire la repressione. Ricordo molto bene quei giorni di parossismo. Prendendo l’aereo per Mosca vengo a sapere che la strada per l’aeroporto è stata bloccata, che a Maidan si comincia a sparare, che la gente muore. In due giorni moriranno un centinaio di persone. La metropolitana viene chiusa. Mia moglie mi chiama per dirmi che i ponti sono bloccati – Kyïv è attraversata dal Dnipro (Dnepr) e ci sono tre grandi ponti. Mia moglie è sulla riva sinistra, i miei figli sulla riva destra, io sono a Mosca, senza sapere se i voli di ritorno saranno sospesi o meno. Apprendiamo che un reggimento stava arrivando da Dnepropetrovsk a Kyïv (oltre 450 km). Poi qualcosa si rompe nel sistema. I ponti riaprono, la metropolitana riparte, tutte le strade vengono sbloccate. Qualcuno, non si sa bene chi, si è rifiutato di obbedire, trascinando gli altri come tessere del domino. Janukovyč fuggirà due giorni dopo. Questo evento viene talvolta definito un “colpo di Stato”, ma dopo le morti di Maidan, dopo che la sua stessa squadra si rifiutò di obbedirgli, rimanere al potere era per lui del tutto inimmaginabile. E, vista dall’Ucraina, qualsiasi altra opzione che non fosse la sua partenza sembrava impensabile.
Immagine: Bottega di Hieronymus Bosch, La visione di Tundalo (1500 circa). Tempera su tavola. Madrid, Museo Lazaro Galdiano, inv. 2892. Courtesy of Ufficio Stampa Scuderie del Quirinale, fonte.
Il colpo di Stato in Crimea
Pochi giorni dopo – la circostanza non è nota a tutti – uomini armati sono entrati nel Parlamento della Crimea, hanno costretto i deputati a deporre il primo ministro della Crimea (la Crimea era una repubblica autonoma e aveva un primo ministro) e hanno fatto nominare Sergej Aksёnov. Questo, si, è un vero e proprio colpo di Stato, come da manuale! Aksёnov non era molto conosciuto prima del febbraio 2014. Era a capo di un partito apertamente pro russo, che aveva ottenuto il 4% dei voti alle elezioni parlamentari in Crimea dell’ottobre 2012. Successivamente, i russi hanno annesso la penisola.
La ribellione di Donec’k e Luhans’k
Nelle settimane successive, anche nelle tre regioni orientali si sono verificate tensioni, che sono state rapidamente sedate a Char’kiv, ma sono degenerate in un conflitto armato nelle regioni di Donec’k e Luhans’k. “Ci sarà proibito parlare russo e i nazisti verranno da Kyïv e ci taglieranno la gola” – questo sembrava essere il motivo alla base della ribellione pro russa. Visto da Kyïv – dove la maggioranza delle persone parlava russo – e per chi era già stato nel Donbas, tutto ciò pareva incomprensibile e sembrava essere stato creato ex nihilo. Quelle regioni sono poi cadute nel caos. La sociologia fu un incredibile alleato dei russi. Le persone che poterono permettersi di partire lo fecero – all’epoca, nei colloqui di lavoro per essere assunti, le incontravamo spesso a Kyïv, ma raramente a Mosca, dove avevamo anche attività imprenditoriali. Mentre le classi meno abbienti talvolta si schierarono dalla parte della ribellione pro russa – (quando si riceve un’arma automatica, all’improvviso si diventa così importanti…). Non importa, in fondo, se le ragioni del conflitto fossero fondate o logiche!
Il mito della giunta neonazista
Nel frattempo a Kyïv era in corso la campagna presidenziale del 2014. I giochi erano molto aperti. L’imprenditore e politico Petro Porošenko aveva stretto alleanza col politico (già pugile) Vitalij Klyčko. Quest’ultimo vinse l’elezione a sindaco di Kyïv, mentre Porošenko divenne presidente dell’Ucraina (2014-2019) con una vittoria schiacciante. È interessante notare che Putin si congratulò con lui per la vittoria. L’estrema destra, di cui si sentiva tanto parlare nella stampa russa, ottenne in quelle elezioni nel suo insieme circa il 2%. Pensavo che visti i risultati la stampa russa avrebbe smesso di parlare del “regime di Kyïv” o della “giunta neonazista”, definizioni molto inesatte e francamente inverosimili. Ma i media russi hanno continuato; e il minimo tatuaggio runico fotografato a Kyïv era presentato come hard fact, verità nuda e cruda di un paese scivolato in una sorta di apocalisse fascista!
Il legittimo tentativo di riprendere il controllo
Porošenko ha continuato i tentativi per riprendere il controllo del Donbas – iniziati prima della sua elezione. Ha risposto alla forza con la forza. Ogni tanto si sente dire che avrebbe dovuto fare diversamente. Tuttavia, godeva di molto sostegno e sembrava ovvio non lasciare che altre città e villaggi cadessero sotto il controllo dei ribelli pro russi. E in effetti, senza dubbio era meglio rimanere “in Ucraina” che nella DNr (Repubblica Popolare di Donec’k) o nella LNr (Repubblica Popolare di Luhans’k). Inoltre, la conseguenza di un atteggiamento conciliante nei confronti dei russi da parte ucraina avrebbe probabilmente portato a perdite territoriali molto maggiori.
La guerra nel Donbas
La guerra nel Donbas continua. Nell’estate del 2014 non era ancora chiaro se sarebbe rimasta circoscritta al Donbas o sarebbe dilagata nell’intero territorio ucraino. Tutti temevano un attacco aperto da parte della Russia. A Kyïv sono apparse delle frecce rosse che indicavano l’ubicazione dei rifugi antiaerei più vicini. Ce n’erano dai tempi dell’Unione Sovietica, sono stati rinfrescati per l’occasione, ma alla fine non sono stati utilizzati (almeno non nel 2014). Navigavamo un po’ a vista. Poi l’Ucraina ha iniziato a riguadagnare terreno: ha ripreso le città di Slov”jans’k, Kramators’k, Mariupol’ – è tornata a Luhans’k. E poi un aereo di linea malese è stato abbattuto dalla contraerea russa. Cito questo evento perché potrebbe aver giocato un ruolo nella rottura della dinamica russa e aver pesato nella decisione di Mosca se “andare o non andare”. Quell’evento mortale è stato molto traumatico per l’Ucraina. In quelle tristi circostanze, abbiamo potuto osservare i giornalisti russi operare in modalità “non siamo noi, è stato qualcun altro” (del resto questo è spesso il loro modus operandi) con un numero di versioni quasi pari a quello dei giornalisti (versioni tutte incompatibili tra loro).
L’intervento russo e l’accordo di Minsk
I russi inviarono delle forze di spedizione per contenere gli ucraini. Questi ultimi subirono diverse sconfitte che lasciarono il segno negli animi. Furono respinti da Luhans’k, sconfitti a Ilovajs’k, poi a Debal’ceve e all’aeroporto di Donec’k. A fine 2014, il fronte si era più o meno stabilizzato e nel 2015 ci fu un incontro in Bielorussia che portò all’Accordo di Minsk. L’accordo di Minsk e i suoi contenuti sono stati ampiamente misconosciuti in Ucraina. La stragrande maggioranza del Paese non sarebbe stata in grado di spiegare genericamente il contenuto dell’accordo. Tutti lo hanno preso per quello che era in realtà: solamente un accordo di cessate il fuoco. Anche i russi lo consideravano sostanzialmente così (anche se, a seconda delle circostanze, lo definivano un accordo di pace non rispettato).
Un successo democratico
Gli anni successivi sono stati relativamente pacifici, l’economia si è ripresa, soprattutto a partire dalla fine del 2016. Nel 2019, Porošenko ha perso le elezioni contro Volodymyr Zelens’kyj. Zelens’kyj era un comico molto noto prima dell’inizio della sua presidenza. Personalmente lo trovavo molto divertente. È interessante notare che i suoi sketch erano in russo.
Nonostante i molti difetti e problemi, l’Ucraina è la storia di un caso di successo: è una democrazia. Gli ucraini scelgono il loro presidente, la scelta è entrata a far parte dei loro usi e costumi – e di questo sono orgogliosi.
Il girone di riscaldamento russo nel 2020
Il 2020 è l’anno del Covid, come ovunque. Gli ucraini si sono distinti per mancanza di disciplina nel distanziamento e poi anche nella vaccinazione. Ma il 2020 è anche un anno importante per il seguito. E’ l’anno (verso novembre) del primo rafforzamento russo sul confine – circa 200.000 soldati dispiegati con tutto il loro equipaggiamento, anche in Bielorussia. Il dispiegamento è durato due o tre mesi, poi le truppe si sono ritirate. Era chiaramente una fase di riscaldamento – oggi lo si capisce. A posteriori, la mia opinione personale è che la decisione di invadere l’Ucraina sia stata presa proprio quell’anno – dopo le proteste in Bielorussia. Aljaksandr Lukašėnka è stato molto vicino a essere rimosso dall’arena politica, lui che aveva (e ha ancora) un apparato repressivo di successo. Questo “anche in Bielorussia” è stata la spinta democratica di troppo dal punto di vista russo. E così, dopo aver ripescato Lukašėnka, Putin potrebbe aver iniziato a preparare l’attacco all’Ucraina.
L’aggressione russa
A fine 2021, la Russia ha ricominciato ad ammassare truppe ed equipaggiamenti alle frontiere ucraine, col risultato che ora conosciamo. Fino all’ultimo momento le intenzioni russe non erano chiare. Volevano negoziare qualcosa, volevano invadere solo il Donbas? La quantità di truppe intorno all’Ucraina sembrava incompatibile con un’invasione totale. Gli americani e i britannici hanno fatto un lavoro straordinario per smascherare i tentativi russi di operazioni sotto falsa bandiera (false flag operations).
Il 24 febbraio tutto si ferma di colpo. Dalle 5 del mattino, esplosioni risuonano nell’intero Paese. Tutti i miei cantieri e contratti sono sospesi. I miei dipendenti fuggono da Kyïv verso ovest o scendono nei rifugi. I russi invadono massicciamente i paesi, avanzano su Sumy, su Chernihiv, occupano la periferia nord di Kyïv. Inizia un periodo terribilmente pesante. Ma alla fine, a causa della resistenza ucraina, decidono di evacuare il Nord dell’Ucraina il 25 marzo. Vivevo allora in Italia – meta di vacanza per gli ucraini. Prendo la decisione di tornare a Kyïv a metà aprile: un elementare senso di leadership mi impone di essere lì di persona.
Scene di guerra
Il viaggio è lungo, l’autobus da Varsavia passa per strade secondarie quando arriva vicino a Kyïv, perché le strade principali sono parzialmente impraticabili. Scopro una città cupa: barricate, sacchi di sabbia, illuminazione notturna spenta per evitare di indirizzare gli aerei, coprifuoco alle 21:00, negozi chiusi, finestre sigillate. La tempesta di informazioni sconnesse ricevute per un mese è ora messa in prospettiva dalle testimonianze dei miei colleghi. Nei primi giorni e nelle prime settimane, i russi sono ovunque: paracadutati nel nord della città, a Vasyl’kiv nel sud della città, persino a Kyïv. Ovunque risuonano spari – la polizia si è unita all’esercito, ma anche i civili che possedevano armi. Sembra che i russi fossero così convinti che gli ucraini li stessero aspettando con i fiori in mano che hanno fatto scendere i loro paracadutisti – le loro truppe d’élite – in profondità, in maniera estremamente esposta, così li hanno persi.
Anche i miei dipendenti erano traumatizzati dagli eventi di Buča, appena liberata. Il 30-40% di loro infatti vive nei sobborghi periferici di Kyïv tra Buča-Irpin’-Hostomel’. Tutti hanno una loro storia, fatta di violenze o saccheggi – inclusi di oggetti curiosi come cabine doccia o biancheria intima femminile. Durante il mio soggiorno, la nave ammiraglia della Flotta russa del Mar Nero, l’incrociatore “Moskva”, è affondata colpita da missili da crociera antinave di produzione ucraina del tipo R-360 Neptun. Il giorno dopo un missile russo colpisce la fabbrica dove si producevano i famosi Neptun. Uno dei nostri cantieri, situato nel terreno vicino, è saltato in aria. Niente più finestre sulle nostre macchine da costruzione. Riparammo le nostre macchine e riprendemmo il lavoro solo dopo qualche mese.
Il potere russo demistificato
Molti dei miei operai sono andati al fronte, alcuni sono feriti, altri sono stati uccisi. Lo stato d’animo della popolazione è far uscire i russi dal Paese: non ci può essere alcun compromesso. Se nei primi mesi il tema della Crimea era un po’ incerto – rispetto alle ambizioni ucraine di riconquistarla – oggi è prersente. La minaccia rappresentata dalla Russia è stata completamente demistificata! La campagna russa per far crollare il sistema energetico ucraino dopo il primo attacco contro il ponte di Kerch in Crimea, se ha avuto inizialmente un certo effetto, appartiene ormai al passato. A Kyïv non c’è stata interruzione di corrente da un mese. Gli attacchi missilistici sono relativamente meno frequenti e gli allarmi sono spesso ignorati dalla popolazione. La capitale è completamente riaperta, oltre che difesa ottimamente con sistemi di difesa antiaerei.
Costruire il futuro!
Oggi lo scenario della fine del conflitto è incerto, così come la sua durata. Una parvenza di vita normale è tornata nelle aree lontane dalla linea del fronte sebbene la capacità della Russia di causare danni continui. Di contro sembra altamente improbabile che possa fare ulteriori e sostanziali avanzamenti territoriali. È quindi giunto il momento di guardare all’Ucraina come a un orizzonte di investimento. Nella ricostruzione che verrà, le ripercussioni dell’essere arrivati un po’ presto saranno molto meno importanti delle ripercussioni dell’essere arrivati un po’ troppo tardi.