Appunti dopo il 24 febbraio 2022
di Paolo Morawski
I premier di Polonia (Mateusz Morawiecki, accompagnato da Jarosław Kaczyński, leader del PIS), di Repubblica Ceca (Petr Fiala) e di Slovenia (Janez Jansa) si sono recati oggi (15 marzo) in treno a Kiev per incontrare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Periglioso gesto di solidarietà, importante ma altamente simbolico. I Tre non sono dotati di alcuna delega o mandato né del Consiglio europeo né tantomeno della Nato. Gesto positivo, di aiuto morale, utile a rafforzare l’idea che gli ucraini non solo soli né isolati; che gli slavi occidentali sono coesi fra loro; che gli europei li sostengono e – volendo – possono fare molto. Sostenere e aiutare l’Ucraina è un imperativo, dunque bene che siano andati, ma la missione si doveva costruire meglio per portare nel caso frutti più concreti. Così non lascerà traccia, a meno che si siano pattuite cose che non sappiamo.
Per la Polonia l’andata a Kiev ha un precedente non banale. Nell’estate 2008 (12 agosto) in piena guerra russo-georgiana l’ex presidente polacco Lech Kaczyński (gemello di Jarosław) si precipitò in aereo a Tbilisi insieme ai presidenti di Estonia, Lituania e Ucraina, e al premier della Lettonia, a dare sostegno morale ai georgiani, aggrediti dai russi in Ossezia meridionale, e al loro presidente Mikheil Saakashvili (vedi). Lech Kaczyński annunciò allora – era il 2008 – che “è iniziata la lotta” contro Mosca e ambì a creare un fronte dell’Est in chiave antirussa. Ammonì: “Oggi [ad essere attaccata è] la Georgia, domani l’Ucraina, dopodomani gli Stati baltici, e più tardi forse sarà l’ora del mio paese, la Polonia”.
Il viaggio a Tbilisi di polacchi, baltici, ucraini fu un atto di indubbio coraggio (la capitale era assediata) e un partecipe segno (certamente simbolico) di solidarietà da parte dell’Est europeo a un “Est ancora più a est”. Lech Kaczyński emerse allora come il più deciso alleato slavo/europeo della Georgia attaccata dai russi. Ma la sua chiamata alla lotta contro la Russia e il suo monito (“domani toccherà l’Ucraina” – come purtroppo è poi accaduto, dal 2014) non turbò più di tanto né le cancellerie europee né le pubbliche opinioni europee. Perché? Perché dall’ingresso nell’UE nel 2004 la conoscenza e la visione che la Polonia ha del proprio Est (Bielorussia, Ucraina, Russia) non fa breccia a Ovest, non viene ascoltato nelle capitali europee?
Varie possibili spiegazioni:
- Lech Kaczyński era polacco (e si sa i polacchi sono per definizione antirussi – come vorrebbe lo stereotipo).
- Lech Kaczyński era un nazionalista conservatore tiepido verso l’UE (e quindi l’UE non voleva “dargli corda”).
- I Cinque dell’Est convenuti a Tbilisi erano molto critici rispetto al compromesso proposto ai russi e ai georgiani dal presidente francese Nicolas Sarkozy, allora leader di turno dell’Unione Europea, andato a Mosca e a Tbilisi per mediare un cessate-il-fuoco tra russi e georgiani. Se erano critici e bastian contrari, perché ascoltarli’.
- La Georgia era considerata una “questione interna” alla sfera di influenza russa.
- La Russia è una grande potenza con la quale si fanno affari (e pertanto merita tutto il rispetto, anche quando sbaglia o esagera), mentre georgiani, polacchi, baltici sono, come dire, “inezie”.
Tutte queste possibili spiegazioni non giustificano la sordità europea. Al contrario, sarebbe importante non lasciar correre le sviste e gli errori di ieri, e indagare invece le ragioni profonde della sordità ovest-europea nei confronti delle voci (opinioni, moniti, esigenze) che arrivano dall’Est europeo. La verità è che siamo collettivamente sordi, ciechi e disinteressati non da oggi a quanto accade nell’area postsovietica, russa e non russa, come lo siamo per altri versi alle tragedie extra-europee ma pure alle stesse tragedie europee (ex Jugoslavia, Balcani). Anche questa sordità, cecità e questo disinteresse andrebbero indagati in profondità. Alla fine, delle sorti del nostro continente, dell’intero continente dobbiamo essere responsabili noi in prima persona, e sempre più siamo e saremo chiamati a farlo.
L’unico effetto che la perigliosa visita di solidarietà del 2008 dei Cinque a Tbilisi sortì fu, forse, di natura immateriale. Contribuì, forse, a cambiare la collocazione della Georgia nella mappa mentale degli europei. Potremmo dire che nel 2008 la Georgia entrò maggiormente (sebbene ancora timidamente) nel nostro immaginario europeo (cosa che non era accaduta in precedenza con la guerra russo-cecena). A differenza di quanto accade oggi con l’Ucraina, la guerra in Georgia venne considerata in Europa e in Occidente una questione solamente russa.