Tra Storia, storie, libri
di Farian Sabahi
Le prime pagine del romanzo I drusi di Belgrado sono ambientate a Beirut. Una mattina della primavera del 1860 il governatore ottomano ordina che i leader drusi siano caricati su una nave ancorata nel porto di Beirut e siano mandati in esilio nei Balcani. È la rappresaglia nei confronti del massacro da loro perpetrato nei confronti dei cristiani maroniti del Monte Libano e della Siria. Cinque drusi sono figli dello sceicco Ghaffar ‘Izz al-Din. Ormai anziano, lo sceicco si reca a Beirut per chiedere al governatore che siano graziati, ma gli viene permesso di salvarne uno soltanto. Sottratto un prigioniero, i conti non tornano. E così, al posto del giovane druso che torna a casa con il padre, nella stiva finirà Hanna Yaqub. Un venditore di uova, un povero cristiano che si trova nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Negli anni successivi il suo destino sarà segnato da celle malsane e lavori forzati in Serbia, Kosovo, Albania e Montenegro.
Una storia tragica, quella del venditore di uova condannato alla stregua di un leader druso. Un peregrinare, quello di questi prigionieri provenienti dal Chuf libanese e dalla Siria, in cui non mancano barlumi di umanità. Come nel caso delle donne anziane a volto scoperto che stanno sedute sulla soglia di casa. Si alzano lentamente e scompaiono nel buio delle porte, ma non per paura. Ricompaiono, infatti, portando acqua e pane per i soldati e per i prigionieri. Una vecchina che pare avere cent’anni si china su quegli uomini rigidi come il legno cui le ossa sporgevano sottopelle, e con gli occhi spiega che dà da bere ai soldati solo perché poi le permettano di darne anche a loro. I drusi di Belgrado, grazie a lei, bevono acqua zuccherata. Preso il pane, lo mangiano in fretta, coprendosi la bocca affinché i soldati non se ne accorgano.
La moglie Hanna e la figlia Barbara aspettano per anni il ritorno di Hanna Yaqub. Finalmente sulla via di casa, mescolato a un gruppo di pellegrini diretti alla Mecca, il venditore di uova incontra un giovane pastore che gli offre pane fresco, formaggio e olive nere. Il ragazzino gli parla di suo nonno, di sua madre, di suo padre che serviva nell’esercito del Sultano. E rivolgendosi al vecchio osserva: “Mio nonno dice che più la casa del derviscio è lontana dalla Mecca e più il viaggio è lungo e difficile, più la sua casa in paradiso sarà vicina a quella del Profeta”. L’esilio, la prigionia, il dolore, la fame e la povertà lo hanno reso simile a un mistico in cerca di Dio. Sfinito da un viaggio durato dodici lunghi anni, Hanna Yaqub giunge finalmente a casa. Si inginocchia e si scioglie in un pianto appena sua moglie lo riconosce e lo abbraccia.
Antoine-Laurent Castellan. Moeurs, usages, costumes des Othomans, et abrégé de leur histoire; par A. L. Castellan, auteur de Lettres sur la Morée et sur Constantinople, Paris, Nepveu, 1812, fonte.
Il romanzo I drusi di Belgrado è un libro che vale la pena leggere nella scorrevole traduzione di Elisabetta Bartuli, punto di riferimento della letteratura araba tradotta in italiano, per Crocetti Editore (2024, pp. 316, €18). Classe 1972, l’autore Rabee Jaber è redattore del supplemento culturale del quotidiano libanese “Al-Hayat”. In Italia era uscito per Feltrinelli Come fili di seta (2011).
Di drusi si parla spesso anche in questi mesi, perché rappresentano una comunità religiosa a sé, presente in Libano (240.000), Siria (730.000) e Israele (143.000). Seppur derivante dallo sciismo ismailita, la loro fede non si conforma alla legge islamica e le loro dottrine, poco note perché contenute in testi segreti la cui conoscenza è riservata ai soli iniziati, sono di carattere gnostico. Credono nella metempsicosi, e quindi nella trasmigrazione dell’anima, in particolare nella sua reincarnazione dopo la morte. Di conseguenza si può essere ritenuti drusi soltanto se lo sono entrambi i genitori, e quindi la comunità è rigorosamente endogama. Nel corso dei secoli le persecuzioni li hanno indotti a praticare la dissimulazione (taqiyya) in caso di pericolo, al pari degli altri sciiti, e anche a rinunciare al proselitismo.
Dal punto di vista politico i drusi non hanno mai cercato la creazione di un loro Stato e, al contrario, hanno prestato lealtà all’interno delle strutture di autorità in cui si sono inseriti. Nel caso del Libano, si erse a campione del nazionalismo arabo. In Israele, i responsabili della comunità drusa non parteciparono alla costruzione nazionale palestinese e nel 1948 giurarono fedeltà a Israele. Ne accettarono la coscrizione obbligatoria e presero quindi parte attiva nella difesa dello Stato ebraico, scalando i vertici dell’IDF giacché considerati assolutamente leali allo Stato ebraico che permette loro di restare una comunità a sé, chiusa. E a proposito dei drusi in Israele si segnala la ricerca etnografica di Isabelle Rivoal nella comunità drusa di Israele nel villaggio di ‘Isfiya tra il 1990 e il 1995, ricerca dal titolo Les maîtres du secret. Ordre mondain et ordre religieux dans la communauté druze en Israël (Éditions de l’École des Hautes Etudes en Sciences Sociale, Parigi, 2000, pp. 432, €38,11).
Un altro volume interessante per approfondire questo argomento è The Druze di Robert Brenton Betts Yale University Press, New Haven – Londra, 1988, pp. 178). A quel tempo direttore dell’American Research Center in Egitto, l’autore attinge a fonti primarie e secondarie, fornendo al lettore informazioni generali sulla storia, le tradizioni, la struttura sociale, la demografia nel Ventesimo secolo, la storia moderna dei drusi sotto i mandati britannico e francese e poi negli Stati indipendenti di Libano, Siria e Israele. Venti pagine di glossario, cinque cartine e ventidue fotografie in bianco e nero arricchiscono il volume. Ed è proprio in questo libro di Brenton Betts che si trova il riferimento storico al massacro di oltre 12.000 cristiani nella primavera e nell’estate del 1860, da cui trae spunto il romanzo I drusi di Belgrado. Il patriarca maronita chiese aiuto all’imperatore Napoleone III; che mandò a Beirut settemila soldati francesi al comando del marchese Charles de Beaufort d’Haoutpoul per ripristinare l’ordine e proteggere i cristiani. Per Bonaparte era l’occasione buona per rivendicare la Terrasanta.
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Una prima versione di questa recensione è apparsa nell’inserto Alias de il manifesto, il 22 febbraio 2025.