Una lente inusuale per ragionare con Claudia Podio e Simone Sibilio
di Claudia Podio e Simone Sibilio
Immagine di copertina: Calligrafia a forma di leone, di ignoto Sufi. Iran, XVI secolo
L’invasione russa dell’Ucraina avviata il 24 febbraio 2022, ed il protrarsi del conflitto tra i due Stati, che al momento in cui si scrive potrebbe raggiungere un punto di svolta grazie all’intensificarsi dell’azione congiunta di sostegno all’Ucraina da parte degli Stati Uniti e delle potenze europee, ha sconvolto gli equilibri geopolitici ed economici mondiali, con inevitabili ripercussioni anche nella regione mediorientale. Qui, come noto, Mosca gioca da diversi anni un ruolo politico-strategico di grande peso nell’asse con l’Iran e con il partito libanese Hezbollah a sostegno del regime siriano di Assad, ma conserva anche in campo economico solidi rapporti con l’Egitto nonché con alcune potenze del Golfo, in primis l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi. Il posizionamento degli Stati arabi sulla guerra in Ucraina è subito emerso in occasione della sessione speciale di emergenza dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che si è tenuta il 2 marzo 2022. Quindici Paesi arabi hanno votato, infatti, a favore della risoluzione non vincolante per la condanna dell’invasione russa dell’Ucraina, con la richiesta a Mosca di ritiro militare immediato e incondizionato dai territori ucraini. Si sono astenuti tre Stati arabi, Algeria, Sudan e Iraq, mentre la Siria è stata l’unica ad opporsi alla decisione, in sostegno alle operazioni russe. Assente dalle votazioni il Marocco, che è parso assumere una posizione di neutralità, pur avendo poi inviato rifornimenti d’armi a sostegno della resistenza ucraina.
Ad ogni modo sul piano politico-diplomatico, i governi arabi che pure hanno espresso un voto a sostegno dello Stato occupato e per l’avvio di un processo di pace, nei fatti hanno preferito adottare un atteggiamento di neutralità, da un lato per salvaguardare i propri interessi commerciali ed economici, dall’altro in previsione delle possibili conseguenze di questo conflitto su scala globale. Il timore condiviso è che esso possa mutare la natura delle relazioni dei singoli Paesi arabi con le superpotenze mondiali, configurando un assetto geopolitico che preveda la definizione di nuovi equilibri e nuove alleanze.
Alla luce della complessità del quadro geo-strategico attuale e del diverso posizionamento assunto dai Paesi arabi nei confronti della potenza russa – riassumibile in tre prevalenti atteggiamenti: appoggio, condanna, o neutralità – vediamo per grandi linee quale è stata la copertura mediatica della guerra in Ucraina offerta dalle principali testate arabe e panarabe.
Naturalmente, quando si analizza la copertura dei media arabi bisogna sempre considerare che le linee editoriali, nella maggior parte dei casi, rispondono alle agende politiche degli Stati che li hanno fondati o agli specifici interessi di chi li finanzia. Bisogna altresì tener presente la doverosa distinzione tra i media nazionali sotto il controllo governativo o di specifici gruppi di potere o parti politiche e quelli basati all’estero che godono di una maggiore libertà editoriale.
In un dibattito tra giornalisti provenienti da diversi Paesi arabi dedicato a questo argomento, ospitato nello scorso aprile da France 24 Arabic si metteva proprio in rilievo come inevitabilmente le coperture mediatiche delle emittenti arabe riflettessero o fossero condizionate da precisi orientamenti politici, esattamente come avviene nei media occidentali dove il sostegno all’Ucraina è stato unanime parallelamente alla demonizzazione dell’aggressore russo.
Già agli inizi di marzo 2022, a pochi giorni dal lancio dell’offensiva militare russa, un gruppo di ricerca della BBC Arabic, monitorando la copertura mediatica di alcune note testate arabe sull’attacco russo e il successivo esito del voto all’Assemblea Generale dell’ONU, rilevava significative differenze da parte dei media arabi nel raccontare gli eventi in corso. Se il quotidiano egiziano Al-Masri al-youm aveva definito un “voto storico” quello dei Paesi arabi a favore della risoluzione ONU per la condanna dell’invasione russa, la testata siriana Al-Watan confermava la necessità dell’allineamento siriano alla Russia, motivata da ovvie ragioni di carattere strategico e dall’impossibilità della Siria di esprimere neutralità nel nuovo assetto polarizzato e caratterizzato da alleanze guidate esclusivamente da interessi nazionali. Altri giornali si assestavano su posizioni più diplomatiche come la qatarina Al-Jazeera o Al-Quds al-Arabi, quotidiano panarabo con sede a Londra, che, nell’analizzare gli effetti su scala globale della crisi innescata dalla Russia, auspicava il rifiuto da parte degli Stati arabi di una politica di allineamento con una delle due parti.
Tra i fattori trasversali a diverse opinioni spicca la critica delle politiche estere statunitensi, in generale improntate all’esportazione della guerra e non della democrazia in diverse parti del mondo, e nello specifico dell’espansionismo della Nato come fattore di ingerenza, all’origine delle azioni militari intraprese da Mosca. A ciò si aggiunge il timore delle ripercussioni economiche e della crisi energetica a livello globale che avrebbero flagellato in particolare quei Paesi arabi in preda all’instabilità socio-economica e politica, accresciuta da anni di conflitti interni, recessione e pandemia. Un terzo fattore, sovente rimarcato, è l’ipocrisia dei media occidentali nel sostegno unilaterale al paese aggredito e al suo diritto alla resistenza e nel costante appello al rispetto del diritto internazionale, sostegni e appelli che vengono meno quando i Paesi aggrediti e le vittime di attacchi e violazioni sono popoli arabi o musulmani – come dimostrano le coperture dei casi di Palestina, Iraq e Afghanistan.
Fonte immagine.
A sei mesi dall’avvio delle operazioni militari, Al-Jazeera evidenziava, come il conflitto si fosse trasformato da regionale a internazionale, con l’inevitabile riconfigurazione della mappa del potere globale anche grazie alla capacità della potenza russa di destabilizzare l’ordine economico mondiale. Da operazione di annessione e difesa russa delle quattro regioni ucraine Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson, il conflitto si è in breve tempo trasformato in una crisi internazionale che ha coinvolto, più o meno direttamente, tutti i Paesi del mondo. L’intervento dei Paesi occidentali, guidato dagli Stati Uniti con il supporto degli Stati aderenti alla Nato, si è concretizzato fin da subito non solo sotto forma di sostegno militare strategico ma anche in campo economico-finanziario attraverso l’imposizione di durissime sanzioni alla Russia, l’uscita dal mercato russo di grandi aziende occidentali, la sospensione quasi totale del traffico aereo, l’interruzione dell’importazione del carbone russo e la riduzione del petrolio e dei suoi derivati.
La reticenza nei confronti delle politiche estere statunitensi si riflette nella copertura mediatica di buona parte delle maggiori emittenti arabe, caute nel condannare apertamente Putin e l’intervento russo, o in alcuni casi, persino ‘tormentate’ dall’interrogativo se il leader russo fosse un folle aggressore o l’unico leader capace di contrastare l’egemonia statunitense con quella prova di forza. Come afferma Olivier Roy in un’intervista rilasciata nel marzo scorso a Orient XXI, non bisogna dimenticare che l’opinione pubblica del mondo arabo resta ancorata a posizioni “anti-imperialiste”, e pur riconoscendo, una larga parte di essa, il ruolo nefasto delle politiche russe nella guerra siriana e la minaccia proveniente dall’asse con l’Iran, non può sbarazzarsi della visione degli Usa come la principale ed ineguagliata responsabile delle sofferenze inflitte negli ultimi decenni a tanti popoli arabi o musulmani, in primis iracheni, palestinesi e afghani.
Questa tendenza interpretativa, che richiama i paradigmi della Guerra Fredda, si coglie nell’analisi del giornalista Ghassan Sharbal dell’emittente saudita Al-Arabiyya che sembra guardare all’attuale guerra in Ucraina come un prolungamento dello storico conflitto tra le due superpotenze. Essa, a suo avviso, rappresenta una risposta “personale” di Putin ad una serie di ferite ed offese subite nel corso dei decenni, a partire dal crollo del muro di Berlino e dell’Unione Sovietica, a cui ha fatto seguito la costante e progressiva avanzata della Nato verso i confini della Russia, in particolare con il diffondersi delle cosiddette “rivoluzioni colorate” in diversi paesi dell’ex-Unione Sovietica. E così, la decisione dell’Ucraina di entrare a far parte della Nato, allontanandosi ulteriormente dall’orbita russa, avrebbe rappresentato, agli occhi di Putin, l’affronto definitivo. È da qui che secondo lui bisogna partire per comprendere l’atteggiamento russo e porre in risalto le responsabilità dell’Occidente nello scoppio della crisi ucraina. Egli scrive, infatti, che “l’Occidente, in preda alla vanagloria del vincitore, dopo il crollo del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, ha ignorato alcune significative vicende e situazioni russe che andavano attentamente valutate. Ha inoltre ignorato il sentimento russo nei confronti dell’Europa, in cui l’ammirazione per il progresso si mescola al timore per la sopravvivenza della propria identità”. L’Occidente, a suo dire, è reo di non aver attirato la Federazione russa nell’orbita europea, bensì di aver minacciato costantemente i suoi confini spostando le pedine della Nato. E, in seguito, non è stato capace di cogliere le avvisaglie che hanno portato a questa guerra: l’intervento in Georgia, la conquista della Crimea, l’intervento militare in Siria e l’avvio delle operazioni del Gruppo Wagner in Libia e altrove.
Su posizioni dichiaratamente filorusse si assesta invece il quotidiano libanese, vicino a Damasco, Al-Mayadeen, che a più riprese, dallo scoppio della guerra, ha colto l’occasione per giustificare l’operato di Mosca e attribuire ogni colpa alle mire egemoniche statunitensi. Dal racconto del conflitto offerto da questa testata, l’Ucraina sembra perdere la sua essenza di Stato sovrano per essere ridotta ad una mera pedina strategica di cui dispongono gli Stati Uniti e i suoi alleati nella disputa contro la Russia, con l’obiettivo di tenerla sotto tiro, limitarla in ogni sua decisione e prosciugarla dal punto di vista economico. All’Occidente imperialista ed egemone – sembra suggerire il punto di vista lì predominante – non piacciono i leader indipendenti che difendono la dignità e i diritti del proprio paese. La data del 24 febbraio assume, pertanto, un valore simbolico ancora maggiore rispetto ad altre date più recenti, perché per la prima volta dalla caduta del muro di Berlino la Russia sta mettendo in discussione la leadership assoluta a livello globale dell’America, per proporre un ordine mondiale alternativo. Nell’arena ucraina si starebbe dunque assistendo allo scontro frontale tra Russia e Stati Uniti, decisivo nello stabilire nuovi rapporti di forza mondiali. La guerra indiretta e per procura ha lasciato il posto alla tattica dello scontro diretto che oppone la massima potenza militare e nucleare alla massima potenza economica e finanziaria.
Quanto all’evoluzione del conflitto, sul finire del 2022, Al-Mayadeen ipotizzava tre scenari possibili:
1) la prosecuzione dello scontro come guerra di logoramento;
2) la vittoria militare della Russia con la resa dell’Ucraina e la conseguente accettazione di tutte le condizioni russe per mettere fine ai combattimenti – opzione che appare utopistica alla luce dei più recenti sviluppi;
3) la prosecuzione del conflitto finché non si sarebbero verificate condizioni negoziali accettabili per entrambe le parti.
Secondo Al-Jazeera, la cui copertura finora si è distinta per equidistanza e volontà di raccontare le vessazioni subite dagli ucraini e di dar voce alle vittime del conflitto, senza tralasciare i diversi fattori in gioco e il confronto delle narrazioni antagoniste, l’ipotesi più accreditata e che gode di maggior sostegno internazionale è la soluzione diplomatica perseguita attraverso negoziati che portino ad una pace giusta e duratura. Questo perché, nonostante nessuna delle due parti sembri davvero intenzionata a negoziare con l’altra e nonostante le dichiarazioni di facciata, parte del gioco strategico, appare ora impossibile per entrambe perseguire una soluzione militare. Rimarrà pertanto indispensabile per le due parti valutare il momento più opportuno per l’apertura dei negoziati, in modo da potervi accedere da una posizione di forza. Per l’emittente, non è semplice avanzare una previsione, dato l’apparente equilibrio in campo dovuto alla capacità della resistenza ucraina di tenere testa, grazie al sostegno occidentale, all’offensiva russa e all’improbabilità che l’esercito russo arretri dopo gli iniziali successi.
Interessante è, infine, notare come il giornale panarabo Al-Araby al-Jadeed (The New Arab), che sin dallo scoppio del conflitto ha assunto una posizione di condanna dell’aggressione russa e in sostegno alla resistenza del popolo ucraino, ponendo enfasi sulle violazioni della sovranità nazionale ucraina e sui crimini contro l’umanità perpetrati da Mosca, ha nel luglio scorso pubblicato un articolo sul consolidamento delle relazioni diplomatiche ed economiche russo-egiziane in occasione della visita di Lavrov ad al-Sisi. Nell’articolo si denuncia apertamente come i servizi di Intelligence egiziani avessero emesso, attraverso l’agenzia United Media Service, delle disposizioni rivolte ai media nazionali in cui si ‘invitava’ ad adottare la narrazione russa degli eventi legati al conflitto in Ucraina, attingendo alla versione araba di Russia Today, e ad evitare di pubblicare servizi di informazione provenienti dalle agenzie di stampa americane ed europee.
Fonte immagine.
Da questo rapido sguardo alla copertura e al dibattito mediatico arabo, sviluppatosi dalle fasi inziali grossomodo fino alla vigilia del nuovo anno, si può in conclusione constatare come buona parte dei commentatori e giornalisti arabi abbiano ipotizzato, tra gli effetti di questa guerra, l’emergere di un nuovo ordine mondiale multipolare che opponga allo storico dominio statunitense nuove potenze antagoniste. Tra queste, la Russia di Putin in prima linea, che con la guerra di annessione dei territori ucraini ha inviato un chiaro messaggio al mondo. Poi la Cina che viene considerata l’unica potenza in grado di concorrere commercialmente, economicamente e sotto alcuni punti di vista militarmente con gli Stati Uniti. Infine, guardando al contesto mediorientale, l’Iran. Ma alcuni ipotizzano anche la formazione di un terzo blocco, che prenda le distanze da entrambe le parti, un po’ come il blocco dei non allineati durante il periodo della Guerra Fredda. Ed è proprio da questo «terzo spazio» che potrebbero emergere in maniera sempre più preponderante i Paesi del Golfo, con particolare riferimento all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti. Essi, infatti, pur restando solidi alleati del blocco occidentale hanno maturato negli ultimi anni nuove alleanze, soprattutto economiche, con la Russia. Ed è proprio in virtù di queste dinamiche che qualcuno ipotizza che la guerra in Ucraina possa aver dato inizio ad una profonda trasformazione dell’atlante geo-politico e strategico mondiale, con una progressiva transizione dall’egemonico Occidente verso un Oriente in cerca di libertà e sviluppo.
Immagine: “Mahmud Kha, figlio di ‘Abd al-Hamid, il Sempre Vittorioso”.
Claudia Podio, arabista laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia.
Simone Sibilio, Professore associato di lingua e letteratura araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia.