Ambientazioni e volti, esterni ed estetiche in Ucraina
L’unico lungometraggio italiano in gara alla quarantesima edizione del prestigioso Torino Film Festival, che si è da poco concluso, è stato La lunga corsa (Jailbird), opera seconda di Andrea Magnani, cinquantenne regista, sceneggiatore e produttore riminese formatosi a Trieste, dove ha sviluppato insieme ad altri la casa di produzione Pilgrim Film. Come già accaduto per il primo film di Magnani (Easy, un viaggio facile facile del 2017), anche la sua seconda opera presenta una rilevante particolarità produttiva (e insieme estetica), questa volta con più lacerante attualità: il film è coprodotto con la Fresh Production ucraina ed è stato interamente girato in Ucraina nei mesi che hanno preceduto l’invasione russa.
Scrive Paolo Lughi: “Paradossale romanzo di formazione, La lunga corsa sorprende sulle prime innanzitutto per l’accurato stile visivo, soprattutto negli esterni, dove la formula del road-movie appare appunto purificata, proiettata com’è negli sconfinati spazi ucraini, che a vederli oggi nel film assumono inevitabilmente un valore simbolico di attesa per l’ignoto, da deserto dei tartari”.
Scrive Roberto Manassero: “le terre piatte dell’Ucraina, fatte passare per l’Italia, oltre a giustificare la coproduzione internazionale, diventano una sorta di non-luogo dove allestire la vicenda del povero Giacinto [il protagonista]”.
Scrive Federico Gironi: “Girato tra l’Italia e l’Ucraina, in una realtà che il regista ha voluto «senza luogo e senza tempo», La lunga corsa è un film …”
Scrive Silvia Amadio: “Un non luogo, un non dialetto, un mondo di fantasia e la vita di un personaggio, Giacinto (Adriano Tardiolo), un fiore sì ma anche un qualcosa che tende a rimanere in un recinto”.
Scrive Enrica Brocardo: “Un’ambientazione resa ancora più surreale perché mescola volti, ambientazioni e dettagli scenografici chiaramente est-europei”.
Scrive Davide Abbatescianni: “Inoltre, una carrellata di personaggi surreali e con un physique du rôle da fiaba dei Fratelli Grimm appaiono uno dopo l’altro: tra questi spiccano la direttrice del carcere (Barbora Bobulova), il suo enigmatico padre ed ex direttore della struttura (Orest Syrvatka), il parroco Aldo (Gianluca Gobbi) ed un’anziana detenuta dall’occhio vitreo (Nina Naboka). L’effetto straniante è ulteriormente rafforzato dalle interpretazioni degli attori ucraini, poiché recitano quasi tutti con la loro voce in italiano. Il mondo che Magnani costruisce all’interno e all’esterno del penitenziario è ovviamente fantastico. Avvertiamo subito che, nonostante la trama ci suggerisca di essere in Italia, i volti delle comparse, le automobili, alcuni oggetti di scena, il paesaggio circostante e diversi altri elementi provengono da un altrove straniero – chiaramente est-europeo – contribuendo a dare allo spettatore la sensazione di essere in un «non-luogo» italofono”.
Dal sito di Mymovies.it vedi l’elenco di tutti i film documentari ucraini dal 1895 ad oggi: 32 schede con recensione, trama, poster e trailer.