La guerra, brutta bestia, non è un romanzo d’avventura
Immagine di copertina, dettaglio, fonte.
Marco Nicoletti, che ringraziamo, segnala l’articolo di Le Chiffre (un nome, un programma), Come la Russia da cacciatrice è diventata preda e perché l’Europa deve svegliarsi, pubblicato su “Formiche” il 2 maggio 2023. L’articolo comincia così: «The Great Game è uno splendido libro che racconta la lotta tra due superpotenze dell’Ottocento, Russia e Inghilterra, che si scontrarono ferocemente per il controllo del subcontinente indiano e delle sue incredibili ricchezze. La Russia perse quel gioco e la sua storia nei decenni successivi subì un’involuzione che poi la portò alla rivoluzione e alla fine del regno dei Romanov. L’Inghilterra, che la vinse, prosperò per un altro secolo abbondante. Oggi, forse senza accorgercene, stiamo assistendo ad un nuovo Great Game e la preda, ironia duplice della storia, è proprio la Russia di Putin che rischia di essere il nuovo ed ultimo Tsar di “tutte le Russie”». Leggi qui l’intero articolo.
Il termine “Il Grande Gioco” usato per definire la lotta tra l’Impero britannico e l’Impero russo per il dominio sull’Asia centrale tra Otto e Novecento ha vari padri nobili, tutti di lingua inglese (l’agente segreto Arthur Conolly, lo scrittore Rudyard Kipling, lo storico Henry William Carless Davis). Sinonimo di lotta tra sfere di influenza nell’Asia del Sud e del Centro, la locuzione si diffuse in Occidente dopo la Seconda guerra mondiale e fu riportata alla ribalta dalla guerra sovietico-afghana (1979-1989). Avendo successo è diventata però un’espressione passe-partout, anche abusata, anche troppo giornalistica e soprattutto criticata in quanto poco rispettosa delle popolazioni abitanti nei territori oggetto di contesa tra le (due o più) grandi potenze. In breve: un cliché-metafora, una parola-mito (vedi).
“L’orso russo e il suo invincibile cavaliere incontrano la legione britannica”. La caricatura mostra l’imperatrice Caterina la Grande di Russia con il corpo di un orso (19 aprile 1791). Fonte.
Il Grande Gioco altro non fu che la rivalità coloniale, la contrapposizione di potere e di influenza, il contrasto di strategie e interessi non solo economici e non solo regionali tra l’impero russo e quello britannico per la supremazia in Asia centrale: quella vasta porzione di mondo tra a ovest il Mar Caspio, a est la Cina, a nord la Russia, a sud il Pakistan, l’Afghanistan e l’Iran. Terminata la minaccia napoleonica l’Impero zarista si lanciò alla conquista dei khanati e delle tribù dell’Asia centrale espandendosi attraverso le steppe verso il Caucaso e il Caspio, verso il Tibet e l’Himalaya, e verso gli sbocchi del Golfo Persico e dell’Oceano Indiano. La Gran Bretagna, tesa a consolidare e a estendere la sua presa sull’India, temette che l’Impero russo potesse avanzare anche verso l’India britannica e strapparle quel continente che era considerato a Londra il gioiello della Corona. Perno centrale del teatro asiatico era l’Afghanistan, strategico sia per la Russia in espansione sia per la Gran Bretagna preoccupata di contenerla. Tra spie, trafficanti e doppiogiochisti, esploratori e geografi-cartografi, intrecci e intrighi, duelli diplomatici, mosse e contro-mosse, tensioni e conflitti armati, la contrapposizione tra i due Imperi durò circa un secolo, grosso modo fino alla Prima guerra mondiale. Successivamente sotto la voce de “il Grande Gioco” si sarebbero rubricate – dopo la seconda guerra mondiale, dopo la fine della Guerra fredda e ancora in tempi recenti – altre forme di competizione politica e militare con altri e più numerosi attori.
L’Asia centrale nell’Impero zarista. Le aree colorate indicano le unità amministrative dell’Impero all’inizio del XX secolo, mentre le linee verde-chiaro mostrano i confini degli attuali Stati nazionali. Fonte.
Turkestan orientale, Mappa del 1872, fonte.
Cynthia Smith della Geography and Map Division della Library of Congress di Washington ha curato un elegante sito, The Great Game and Afghanistan, con accurate ricostruzioni storiche e notevoli carte. Sintetizza: “”Prima del XIX secolo l’Afghanistan era un importante crocevia, dominato da altre civiltà nel corso della sua storia (…) Dopo secoli di invasioni, la nazione cominciò finalmente a prendere forma nel corso del XVIII secolo (…) Il Grande Gioco tra Inghilterra e Russia iniziò nel 1830. I due imperi giunsero a confrontarsi quando le loro aree di influenza in Asia centrale si avvicinarono progressivamente l’una all’altra (…) Gli inglesi erano preoccupati per i progressi russi in Asia centrale. L’Inghilterra usava l’Afghanistan come stato cuscinetto per proteggere l’India britannica da ogni tentativo di invasione russa. La preoccupazione britannica per l’influenza russa sull’Afghanistan portò alla Prima guerra anglo-afghana (dal 1838 al 1842) e alla Seconda guerra anglo-afghana (dal 1878 al 1880). La Terza guerra anglo-afghana iniziò nel maggio 1919 e durò un mese. La Gran Bretagna non ebbe più il controllo degli affari esteri dell’Afghanistan dopo la firma dell’armistizio dell’8 agosto 1919″.
Zimmerman Eugene, How the “Herald” does it, “Puck Magazine”, vol. XVII, n. 426, May 6, 1885. Illustration shows Nicholas II and General Obruchev looking over a “War Map” spread on a table, with “Russia” on one side, “England” on the other, and “Afghanistan” between them; beneath the table, having come through a “Nihilists’ Private Trap Door”, is “the Herald’s Special Correspondent” with an oversized right ear listening and holding a notebook labeled “N.Y. Herald”, Library of Congress, Prints and Photographs Division, Washington. Fonte.
Il libro che maggiormente ha contribuito a rendere popolare il concetto di Grande Gioco è quello del giornalista-scrittore Peter Hopkirk, The great game: on secret service in high Asia, London: John Murray, 1990, apparso per la prima volta in Inghilterra nel 1990, poi innumerevoli volte ristampato e tradotto in molte lingue – in italiano Il Grande Gioco. I servizi segreti in Asia centrale, traduzione di Giorgio Petrini, Adelphi, 2010.
Si tratta di un saggio di divulgazione storica che numerose recensioni descrivono come un “grande affresco storico”, “una delle letture più appassionanti, “un saggio storico che somiglia molto a un romanzo d’avventura”, “un grande romanzo d’avventure, popolato di straordinari personaggi” (Umberto Eco), “guerre, trame e agguati”, “le alleanze con i khan, le esplorazioni di terre misteriose, le trame, gli scontri, gli agguati, il doppio gioco”; in sintesi: le “affascinanti ‘mille e una notte’ della diplomazia imperialista”.
Dalla recensione de Il rifugio di Long John Silver, leggiamo: “Uno dei periodi storici sicuramente più interessanti ma decisamente sconosciuti al grande pubblico è la guerra silenziosa che vide coinvolti per circa un secolo (1800-1905) l’Impero Russo e quello Inglese per il controllo delle ricche zone dell’Asia centrale, una guerra che ricorda per molti versi la successiva guerra fredda tra URSS e Stati Uniti. Una guerra atipica perché combattuta con mezzi poco avvezzi all’arte militare e con le sottili arti della diplomazia e delle spie. Un conflitto che vide spesso come atipici eroi negli esploratori e cartografi, che spesso per necessità dovettero nascondersi dietro a vari travestimenti (come dei precursori di James Bond), in missioni che si svolgevano in terre di cui non sapeva nulla e dove la legge era in mano a sanguinari Khan che bisognava sperare di blandire con regali munifici e confessioni di profonda amicizia alternate a tante bugie (e molte blandizie). Un libro che spiega bene nel dettaglio le piccole battaglie, la corsa sfrenata dei due imperi per il dominio di oasi o posti chiave per stoppare l’avanzata nemica. Non una guerra in grande stile ma svolta con una complessa trama fatta di piccoli colpi di mano, propaganda, sotterfugi per far passare il nemico come la parte perdente, l’uso della cartografia per creare mappe di luoghi completamente sconosciuti, il superamento di catene montuose pericolosissime e infestata da predoni e banditi. L’isteria collettiva che colpiva ora una ora l’altra parte alla notizia di una qualche sconfitto o vittoria dell’avversario (…) Un periodo decisamente sconosciuto che sembra uscito da un romanzo di James Bond”; e una serie di storie che” – ecco un punto da sottolineare – “non trasfigurirebbero in un romanzo o film/serie tv”.
Dalla recensione di Stefano Olivari: “nel libro di Hopkirk, peraltro equilibratissimo e per niente anti-russo, si respira a pieni polmoni la parte idealistica del colonialismo che c’è in Kipling, e che di recente ha messo Kim nel mirino della cancel culture. Fra l’altro nel Grande Gioco l’oggetto del desiderio finale è proprio l’India in cui cresce Kim, in una maniera quasi ossessiva”. Olivari si entusiasma non per i disegni espansionistici di Regno Unito e Russia bensì per le “vicende umane di protagonisti, spesso eroi solitari o comunque lasciati soli”. Sono “alcuni personaggi eccezionali, non necessariamente grandi condottieri o primi ministri, anzi quasi mai, che provano a infrangere o a forzare le regole con obbiettivi vaghi ma sempre trascinati da un misto di coraggio, sete di conoscenza, avidità, brama di gloria e soprattutto inquietudine”; personaggi “pronti ad imprese militari impossibili o a incredibili operazioni di spionaggio in ambienti sospettosi e dispotici”. Insomma, un libro che “conquista anche per lo spirito di avventura da romanzo che trasmette, davvero da brivido, superiore a quello di un viaggio su Marte nel 2021. Lo spirito di uomini che volevano fare la differenza e il cui sangue ha reso più grandi i loro paesi”.
Dalla Scheda dell’Editore Adelphi: “Davanti al palazzo dell’emiro di Buchara, due uomini in cenci sono inginocchiati nella polvere. A poca distanza, due fosse scavate di fresco, e tutt’intorno una folla sgomenta, che assiste in un silenzio irreale. Non è certo insolito che l’emiro faccia pubblico sfoggio di crudeltà, ma è la prima volta che il suo talento sanguinario si esercita su due bianchi, e per di più servitori di Sua Maestà britannica. La scena non è stata scritta da Kipling, anche se di lì a poco la contesa fra russi e inglesi per i luoghi che oggi chiamiamo Turkmenistan, Tagikistan o Afghanistan avrebbe trovato, nelle pagine di Kim, un nome destinato a durare: Grande Gioco. È invece realmente accaduta una mattina di giugno del 1842, dando inizio a una vicenda che in questo celebre libro Peter Hopkirk ricostruisce nella sua fase più avventurosa, allorché gli ufficiali dei servizi segreti zarista e vittoriano valicavano passi fino allora inaccessibili, cartografavano valli inesplorate, raccoglievano informazioni dalle carovane di passaggio sulla Via della Seta, tramavano complesse alleanze con i khan della regione, rischiando a ogni mossa, come i loro epigoni attuali, di ridestare da un sonno millenario quelli che Bruce Chatwin chiama «i giganti addormentati dell’Asia centrale». Che le sorti del mondo dipendano da ciò che avviene in quella vasta zona è una percezione antica, oggi confermata quotidianamente da guerre, trame e agguati. Una storia, dunque, quanto mai utile da conoscere. Ma va aggiunto che nella fase raccontata nel Grande Gioco quella storia era anche il romanzesco allo stato puro – e sarà un intensissimo piacere per chi la ascolta. Molte sono le memorie e i documenti che ne compongono il mosaico, ma occorreva un maestro come Peter Hopkirk per farci seguire in tutte le sue ramificazioni questo strepitoso romanzo a puntate”.
Ora rovesciamo la prospettiva. Certamente l’autore “narra divinamente” e il libro è scritto “in uno stile davvero coinvolgente ed emozionante” ed è ricco di mappe disegnate a mano, illustrazioni, fotografie. Ma nelle “affascinanti ‘mille e una notte’ della diplomazia imperialista”, forse, andrebbe sottolineato l’aggettivo “imperialista”. L’oggetto della narrazione è pur sempre poco nobile: la lotta/guerra diplomatica e paramilitare fra Inghilterra e Russia che scorre per tutto l’Ottocento, avente come obiettivo il dominio politico-commerciale nell’Asia Centrale e la difesa degli interessi dei rispettivi imperi. Mentre “il grande impero moscovita scivolava verso i mari caldi inghiottendo ogni giorno, mediamente, 150 chilometri quadrati, la Gran Bretagna cercava di estendere verso nord i suoi possedimenti indiani. Vecchia storia? Acqua passata? Chi darà un’occhiata alla carta geografica constaterà che i grandi attori hanno cambiato volto e nome, ma i territori contesi o discussi sono sempre gli stessi (…) il lettore troverà l’antefatto di molti avvenimenti degli scorsi anni in Afghanistan e in Iran” (Sergio Romano).
Indubbiamente quello di Peter Hopkirk “è un libro prezioso per farsi un’idea di come si è evoluta la storia in una zona chiave e nello steso tempo poco nota dell’Asia. Inoltre, è notevole come il passato abbia ancora riverberi e conseguenze sulla storia contemporanea: ad esempio si può capire come la contrapposizione Impero Russo-Impero Britannico abbia lasciato strascichi sulla psicologia di oggigiorno. L’ambientazione inoltre fa immergere in quella che era stata una zona chiave dell’Antica Via della Seta. Peccato che nella parte terminale il libro scada in una lunga serie di descrizioni dettagliate di imprese ‘eroiche’ di militari britannici contrapposti a quelli che spesso vengono liquidati come ‘indigeni selvaggi’. Dal che si capisce come l’antico atteggiamento colonialista dei britannici non sia affatto scomparso. Infine, lascia sbigottiti come l’autore abbia descritto con noncuranza il massacro di migliaia di monaci tibetani da parte dei ‘valorosi’ soldati britannici: in fondo l’esercito britannico stava solo invadendo un paese indipendente, cosa pretendevano questi personaggi del medioevo? Mah …” – commenta un lettore (Corrado Crotti).
Un altro lettore (Alberto D) osserva: “Il tema è affrontato principalmente dal punto di vista britannico, avendo l’autore (egli stesso inglese) attinto a fonti per lo più britanniche ed essendo il libro apparso nel 1990 (pertanto in un periodo in cui l’accesso a fonti d’archivio russe risultava tutt’altro che semplice). (…) Unica vera pecca è che l’autore tende a tratti a cadere nella trappola dell’esaltazione dell’eroe romantico ottocentesco, inevitabilmente incarnato dal ‘giocatore’ britannico a scapito di quello russo e dei popoli oggetto della contesa, e in generale dell’esaltazione delle ‘mosse’ britanniche, facendo di tanto in tanto perdere di imparzialità ed equilibrio alla trattazione”. Un terzo lettore (Andrea Pujatti) riconosce: “L’unica riserva riguarda la tendenza eccessiva a lodare e magnificare l’operato dei britannici (è scritto da un inglese) nonostante il loro atteggiamento imperialista non sia sempre stato positivo, trasparente e corretto. Aiuta a comprendere perché l’Afghanistan è tuttora una terra contrastata e oggetto di conquista”. Un Quarto commentatore (Nicola Mucchi): “lo consiglio fortemente a chi intende sapere di più sulle azioni politiche propagandistiche e militari che noi europei abbiamo intrapreso nel Medio ed Estremo Oriente.” Un quinto (Nick Parisi): “il tutto a danno delle popolazioni locali che ne pagano le conseguenza ancora oggi”.
Vedi Recensioni a Il Grande Gioco. I servizi segreti in Asia centrale.
L’Afghanistan chiede di essere salvato dalle ambizioni coloniali dei suoi “amici”, la Russia (l’orso) e la Gran Bretagna (il leone). Save Me From My Friends, political cartoon created by Joseph Sway, published in “Punch, or the London Charivari” (November 30th, 1878), dettaglio, fonte immagine.