Dalla memoria al futuro
di Paolo Morawski
Immagine di copertina: tutte le illustrazioni, salvo diversa indicazione, sono di Henry Holiday tratte dal libro di Lewis Carroll, The hunting of the Snark (1876). Leggi l’originale inglese qui e leggi la traduzione italiana di Adriano Orefice qui.
Ripropongo un appunto scritto a suo tempo (gennaio 2024).
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Per chi fosse interessato all’argomento Ucraina vorrei osservare che uno dei problemi sta nella complessità dell’area che chiamiamo Centro-Est o semplicemente Est situata tra Baltico e Mar Nero (e Adriatico). La complessità riguarda le singole esperienze, biografie, traiettorie esistenziali e famigliari. La non-linearità è insita in tutte le comunità che appartengono a quell’area. Complessità che riguarda non uno ma l’insieme dei paesi che sono tra loro differentemente collegati, ma comunque legati. Si tratta di terre plurali: pluri-etniche, pluri-lingue, pluri-religiose, ricche di milioni di punti di vista e prospettive diverse. Plurali nei letti e nelle cucine, in casa, per strada, nelle città e nelle campagne, da questa o quella parte delle attuali frontiere. Tale pluralità non è facile né da afferrare né da interpretare. Lo dico con sofferenza anzitutto a me stesso, data la difficoltà delle barriere non solo linguistiche. Soprattutto, data la difficoltà di capire che altre persone in altri contesti si sono trovate davanti a scelte solo in apparenza uguali alle nostre scelte (italiane, francesi, inglesi o spagnole). Aggiungo per chiarezza che cercare di capire l’ambiguità e non-linearità dei lasciti dei regimi autoritari (tra le due guerre: non solo in Polonia, Ungheria, Romania) e totalitari (nazista, comunista) e delle eredità della Seconda guerra mondiale, lasciti ed eredità che ancora ci avviluppano e avvelenano, non significa affatto prendere posizione a favore dei boia nazisti (o fascisti o stalinisti), quando boia sono. Ci mancherebbe. Ma mai dimenticare lo sfondo di quanto sia complicata e drammatica in quell’area la storia delle interazioni tra ucraini, russi, polacchi, tedeschi ed ebrei (anche fosse limitatamente a queste appartenenze) e in riferimento solamente al periodo della Seconda guerra mondiale. Una lettura in bianco e nero è comoda quanto illusoria. Nociva piuttosto.
Sono considerazioni riaffiorate a seguito del caso “SS in Canada” a fine 2023.
Il fatto. In occasione della visita in Canada del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj a Ottawa il 22 settembre 2023, il presidente della Camera dei comuni del Canada, il liberale Anthony Rota, aveva invitato in Parlamento, probabilmente senza aver verificato il suo passato, quello che riteneva essere un combattente per l’indipendenza ucraina dalla Russia durante la Seconda guerra mondiale, l’ucraino Yaroslav Hunka di anni 98 anni. Anthony Rota lo aveva pubblicamente presentato come “un veterano di guerra ucraino-canadese della Seconda guerra mondiale che ha combattuto contro i russi per l’indipendenza dell’Ucraina”, quindi “un eroe ucraino e canadese”, suscitando – con la mente rivolta a quanto di terribile accade ora in Ucraina e alla necessità di aiutare l’Ucraina – una standing ovation in aula da parte di tutti i parlamentari presenti, compreso il primo ministro Justin Trudeau e la presidente del Senato canadese Raymonde Gagne. Un “eroe”? Era quasi subito emerso che Hunka aveva, si, combattuto contro l’URSS per l’indipendenza ucraina, ma come volontario in un’unità di collaboratori ucraini nell’esercito nazista, ovvero in una divisione delle SS: “la 14a Divisione Waffen Grenadier delle SS, un’unità militare nazista i cui crimini contro l’umanità durante l’Olocausto sono ben documentati”. L’eroe era dunque un ex soldato nazista colpevole di aver ucciso migliaia di ebrei. Scoperta scioccante, scandalo, indignazione, polemiche nazionali e internazionali, richieste di dimissioni.
Sul caso “SS in Canada”, mi limito a osservare alcune evidenze.
(1) Lo speaker della Camera dei Comuni Anthony Rota si è dimesso il 26 novembre dal Parlamento canadese per il suo madornale e inconcepibile errore (chi mai si dimette in Italia o in Polonia o in Russia per un errore?).
(2) I media canadesi hanno fatto un notevole sforzo per informare il proprio pubblico cercando di spiegare chi fosse Yaroslav Hunka, ma anche cercando di farlo evitando sensazionalismi ed emotività. In una logica di servizio ai cittadini, hanno generalmente provato a fornire ai canadesi minimi strumenti di conoscenza anche storica (sia detto senza esterofilia e senza illusioni).
(3) L’omaggio reso a Hunka è stato immediatamente sfruttato dalla propaganda del Cremlino e dai media ad essa sensibile, come “ennesima” dimostrazione che gli ucraini “sono nazisti”. Il caso “scandalo SS in Canada” è entrato subito nei tanti vortici della guerra contro l’Ucraina.
(4) I circa 6 milioni di ebrei, uomini, donne e bambini, che i nazisti, insieme ai collaboratori delle SS, hanno sterminato durante la Shoah, erano in maggioranza europei: polacchi, sovietici (lituani, estoni, lettoni, bielorussi, ucraini, russi), ungheresi, rumeni, cechi, slovacchi, tedeschi, olandesi, francesi, jugoslavi, austriaci, greci, belgi, italiani, e altri. L’annientamento di circa due terzi degli ebrei che vivevano in Europa prima della Seconda guerra mondiale è un’immensa tragedia per gli ebrei e per gli europei. Anche da questo punto di vista l’Europa si è auto-distrutta.
(5) Da parte polacca si è insistito sul fatto che l’ex soldato nazista aveva ucciso migliaia di ebrei, che erano ebrei polacchi, ossia cittadini polacchi. Sui 6 milioni di ebrei sterminati dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale, 3 milioni erano ebrei polacchi. Per i polacchi, che durante la Seconda guerra mondiale hanno sofferto immensamente per mano sia dei tedeschi sia dei sovietici (in tutto 6 milioni di morti su 35 milioni di abitanti nel 1939 = ucciso un polacco su sei), qualsiasi imprecisione nella narrazione storica è considerata a torto o a ragione “profondamente offensiva”. Le SS Galizien si sono peraltro accaniti anche su cittadini polacchi non ebrei, come le istituzioni polacche hanno subito precisato (vedi).
(6) Da parte polacca anche in occasione del caso Hunka si è ribadito il pieno e incondizionato appoggio della Polonia all’Ucraina aggredita, sebbene sia ancora irrisolta la questione dell’esumazione delle vittime polacche massacrate dai nazionalisti ucraini in Volinia durante la Seconda guerra mondiale (cioè in territorio polacco tra le due guerre, oggi territorio ucraino). I massacri di Volinia furono pianificati, organizzati ed eseguiti da una fazione dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN) di Stepan Bandera e dall’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA) da esso creato. Dopo la guerra alcune centinaia di quei nazionalisti ucraini massacratori di polacchi in Volinia emigrarono in Canada, dove si stabilirono. Oggi una parte dei canadesi di origine ucraina è costituita da nipoti e pronipoti di quei crudeli signori. Discendenti canadesi che nulla sanno di quanto accaduto nel 1943-1945 in Volinia oppure, se ne sanno qualcosa, per loro la Volinia è un episodio minore, secondario della Seconda guerra mondiale. La parte polacca considera invece altamente legittimo chiedere agli ucraini di non dimenticare, anzi di rendere conto dei crimini dei nazionalisti ucraini commessi in Volinia (fermo restando che le colpe collettive non esistono, esistono i colpevoli). Tra polacchi e ucraini la Volinia resta al centro di accese controversie (vedi). Sulla riconciliazione tra polacchi e ucraini vedi e vedi anche.
(7) Il caso di Yaroslav Hunka delle SS Galizien, nello scandalo e con dolore, ripropone il tema della distorsione della verità storica in un mondo che facilmente soffre di amnesia. Dire che quanto accaduto in Canada è stato un “incidente” (peraltro da dimenticare in fretta) non facilita alcuna comprensione. All’evidenza la “memoria storica nel mondo” è un’etichetta che fascia un barattolo vuoto. La memoria di quanto accaduto in passato non è mai data una volta per tutte, al contrario.
Oltre il caso specifico c’è da chiedersi chi si preoccupi veramente di rendere agevole la separazione tra semplificazioni politiche e pubblicistiche; e più meditate, necessarie e approfondite riflessioni sul nostro comune passato, sulle sue luci e ombre. Il punto è chiarire bene l’obiettivo. Si può guardare solo a ciò che conferma che “so già tutto”, che “ho ragione, come sempre”, e che “non c’è niente da aggiungere”. E’ un modo di sprangare porte e finestre a ogni dubbio. Oppure si può approfittare di questa ennesima (triste) opportunità per oltrepassare il Rubicone delle proprie certezze (legittime, ma pregne – non solo, ma anche – di idee fatte, semplificazioni, stereotipi, erronee convinzioni e altri piccoli e grandi difetti) per andare alla “scoperta” delle terre e delle popolazioni dell’Europa centro-orientale al fine di “ri-posizionarci” meglio rispetto al nostro presente e alle memorie del nostro passato. Memorie al plurale – quanti sono gli europei. Per varcare il Rubicone ovest/est (ma allo stesso modo si dovrebbe attraversare il vallo nord/sud dell’Europa) servono come minimo conoscenze, apertura mentale, capacità di ascolto (delle loro voci) e di traduzione (delle loro esperienze e categorie nelle nostre). “Quelle” sono altre geografie esperienziali, altre storie rispetto alle nostre abituali italiane (pur nelle similitudini). Non si tratta di “meglio” o “peggio”, si tratta di “altre” coordinate geo-storiche e umane. Peraltro, l’uso-abuso della storia, ossia il facile ricorso a parziali riferimenti alla storia (come schizzi di condimento più che come piatto principale), anche in questa occasione corre di pari passo al dilagare non solo online di pseudo-false-superficiali-non verificate verità in un contesto nel quale il pericolo di confusione aumenta. Sempre più difficile è discernere quale informazione sia attendibile, quale conoscenza sia degna di tale nome, quali i fatti e quali i commenti. Per non dubitare, si tira a sé la coperta del già acquisito.
La storia dell’area orientale dell’Europa – concretamente parliamo di milioni e milioni di estoni, lettoni, lituani, bielorussi, ucraini, russi, moldovi, rumeni, bulgari, polacchi, slovacchi, cechi, ungheresi, tedeschi, ebrei, armeni e altre minoranze – dalla Prima guerra mondiale ai giorni nostri è di una tale densità e intensità, è costellata di tali speranze e sofferenze, di tali drammi e grumi di sangue, di tali successi e fallimenti, che non può è non deve più essere letta con le riduttive categorie del XX secolo, ideologiche ed ereditate dalla Guerra fredda. A modo loro anche le élite occidentali hanno oggi il compito urgente di contribuire a “decolonizzare” la visione del continente europeo inteso nella sua interezza. “Decolonizzarla” dalle narrazioni dominanti che spesso risalgono alla fine del Settecento e che costituiscono sovente pesanti zavorre, oltre che filtri deformanti, se non accecanti. Decolonizzare la propria visuale occidentale significa, in sostanza, aprirsi a una inedita ed effettiva “europeizzazione da Est”.
Chi vuole può intellettualmente ringiovanire anche attraverso un vigoroso corpo a corpo con la Storia – vale a dire confrontandosi con una narrazione storiografica non occasionale, scritta da professionisti, che hanno dedicato una vita a cercare di capire cosa è esattamente accaduto prima. Possiamo immaginarli simili a rigorosi topi di archivio dotati di appropriate conoscenze e chiavi di lettura. La loro è il più delle volte storia documentata, multi-stratificata, non facile da ricostruire; e, di contro, non facile da interiorizzare, assumere, assimilare, elaborare. Per citare solo due nomi stranieri, si può utilmente fare riferimento ai lavori storiografici di Timothy Snyder e di Norman Davies.
Difficile, contradittorio, incompleto è il rapporto di noi contemporanei con la storia europea, con le sue molte memorie e i suoi numerosi oblii. La relazione con la nostra storia (contemporanea, moderna, medioevale, antica) si dipana ora in un periodo certamente non facile per il nostro continente e per il nostro pianeta, ambedue in impietosa trasformazione a ogni livello. Eppure, è periodo colmo di incredibili novità e di continue scoperte e invenzioni. Forse – è provvisoria conclusione – soprattutto chi è sensibile alle novità e alle innovazioni del presente, specie quelle che annunciano possibili scenari futuri, ha/avrebbe bisogno di una solida, robusta e arricchita visione del comune passato europeo. Se desideriamo come italiani/polacchi/europei avere la possibilità di svolgere un qualche ruolo positivo nel XXI secolo non possiamo evitare di ripensare da cima a fondo la storia del nostro continente – nella sua unità variegata, nei suoi contorcimenti interni, nelle sue proiezioni esterne – alla luce delle pressioni, delle sollecitazioni e delle sfide vecchie e nuove che ci provengono dall’esterno, dai paesi nostri vicini (attraverso Mar Nero-Mediterraneo-Atlantico) e dai continenti più lontani.
La vera questione è il rapporto Europa-Resto del Mondo. Da tempo – dai torbidi della Prima/Seconda guerra mondiale? Dalle decolonizzazioni avvenute nel secondo dopoguerra? Dalle crisi energetiche degli anni 1970? – si sta chiudendo un lungo ciclo di storia, quella storia che ci ha portato qui, noi che siamo oggi appena 500 milioni in un mondo che tende verso i 10 miliardi di persone. Quel lungo ciclo è iniziato oltre 5 secoli fa con le grandi scoperte, poi conquiste del XV-XVI secolo. La sfida del XXI secolo è re-inventare il rapporto Resto del Mondo-Europa. Per farlo occorre re-inventare l’Europa.
Siamo nuovamente lì – Paul Haldol, Nouvelle Carte d’Europe dressée pour 1870, Parigi (Carta umoristica d’Europa 1870), citata da Edoardo Boria in Carte come armi pubblicato in Limes 3/2010.
Reinventare – World Map Typography Vector upside down, fonte.