Un concetto che lentamente si fa avanti
di Paolo Morawski
Marina Bedzki, che ringrazio, mi segnala alcune evidenze trovate casualmente in Rete sull’uso del termine “poli-logo” da cui prende nome questa rivista. Concetto sul quale mi ero concentrato nel 2008 ragionando sulla storia dei rapporti tra polacchi e ucraini, vedi.
Come si vede l’idea del polilogo piaceva molto al sociologo polacco Zygmunt Bauman.
Lorenzo Fazzini, Bauman: al dialogo serve un POLILOGO, “Avvenire”, mercoledì 29 ottobre 2014.
Nell’intervista di Lorenzo Fazzini il sociologo polacco Zygmunt Bauman sosteneva tra l’altro: “Tutte le varietà di dogmatismi, in fin dei conti, sono il rifiuto o la non capacità di comunicare e intraprendere un dialogo: sono queste due le arti cruciali per sopravvivere in questo mondo segnato dalla diversificazione crescente e da una diaspora che fa nascere una crescente interdipendenza». Domanda: Cosa significa questa interdipendenza? «Significa che non possiamo più separarci dagli altri, siano essi stranieri, credenti in altre fede rispetto alla nostra oppure sostenitori di modi diversi di vivere; essi non sono lontani o sull’altra sponda rispetto a un confine controllato da qualche guardiano, ma si trovano in mezzo a noi, li incontriamo ogni giorno sul lavoro, nelle scuole frequentate dai nostri figli, nelle strade dove viviamo. La diversità umana ci è accanto, anche nei posti più vicini. Imparare e praticare l’arte del dialogo dovrebbe essere una delle scelte da inserire tra i compiti più urgenti con i quali dobbiamo confrontarci. L’alternativa al prenderci in carico gli uni gli altri è spararci a vicenda!» (…) «Un dialogo genuino e degno di questo nome non consiste nel parlare solo con persone con cui ci piace discutere, negando il diritto di intervenire e rifiutandoci di ascoltare. Il dialogo consiste nell’aprirci, senza nessuna preclusione o pregiudizio, al fatto della diversità umana che possiede molte facce; esso si esplica nel cercare di capire le ragioni che stanno dietro all’attaccamento di qualcuno a determinati argomenti; nell’accettare di agire non subito come un maestro ma come un alunno; nell’assumere dall’inizio un atteggiamento cooperativo e non combattivo, cercando di raggiungere alcuni benefici reciproci in saggezza ed esperienza invece di dividere i partecipanti tra vincitori o sconfitti». (…) Domanda: Nel suo dialogo con Stanislaw Obirek lei suggerisce un nuovo modo di dialogare, ovvero attuare il “polilogo” tra posizioni diverse. «È l’estensione ovvia di monologo e di dialogo, ovvero di un confronto che sia più largo di due soli punti di vista: si tratta di un evento che avviene spessissimo in ogni città moderna o nelle strade sotto casa nostra. In realtà ogni discussione pubblica è per definizione un “polilogo”. Il mondo in cui noi viviamo è tutt’altro che digitale. Potremmo dire che è un mondo analogico, con molte divisioni che si incrociano, alcune semplicemente giustapposte, altre che si sovrappongono o che emergono in maniera leggera. Un vero dibattito pubblico ha bisogno di prendere in considerazione il fatto di aiutare a cristallizzare i punti di contesa e instaurare le potenziali teste di ponte fra la varietà di punti di punti di vista e di opinioni» (…) «Le verità, così come ogni conoscenza e tipo di comprensione, sono sempre e nient’altro che discorsive; gli incontri umani sono il loro luogo di nascita e il loro habitat naturale. Essi sorgono e vivono, nel corso della loro durata ed esistenza, all’interno della comunicazione interumana. Noi umani siamo per nostra natura sociali, interagiamo, comunichiamo con altri esseri umani; nessuno può reclamare una verità come sua propria creazione o proprietà. Essa viene formata e si sostiene attraverso continui negoziati, tramite la solidarietà e l’interazione propria degli umani. La verità non ha altro posto in cui abitare. Se dimentichiamo questo fatto, avviene quello per cui ammoniva Martin Buber, ovvero l’incontro si trasforma in un incontro mancato, inefficace e alla fin fine privo di scopo». Leggi tutta l’intervista qui.
Chiara Galbersanini, A che serve il “polilogo”?, “Città Nuova”, 23 febbraio 2022
Scriveva Chiara Galbersanini: “Si è appena concluso il seminario online Dal dialogo al poly-logos. Mediterraneo e oltre. Un percorso relazionale su identità, consenso, collaborazione. Il seminario, che si è inserito nella preparazione del grande incontro dei vescovi delle Chiese del Mediterraneo e dei sindaci del Mediterraneo del 23-27 febbraio a Firenze, è nato da un percorso iniziato circa un anno fa con professori di diverse discipline (dal diritto alle scienze politiche, dalla teologia alle relazioni internazionali, dalla comunicazione alla pedagogia) e con esperti che avessero alle spalle esperienze di dialogo già avviate su più fronti, per interrogarci e confrontarci sul tema: «Quale è cifra del dialogo, se la si può definire? È una modalità dell’agire comunicativo o implica altro? Quando può essere definito come un processo dinamico, capace di produrre effetti trasformanti?». E ancora: «È sufficiente parlare di dialogo oppure, in un mondo plurale e complesso, sarebbe più appropriato parlare di polilogo o poly-logos, un concetto che ritroviamo nel sociologo Bauman e che mette in luce i diversi piani e del dialogo stesso e la molteplicità delle verità umane?». Leggi qui.
Dario Prola, Elżbieta Jamrozik, Dal dialogo al polilogo. L’Italia nel mondo. Lingue, letterature e culture in contatto, “Kwartalnik Neofilologiczny”, Polska Akademia Nauk, Warszawa, vol.66/2, 2019
Scrive Dario Prola nell’Introduzione: “Nel contesto della comunicazione globale che caratterizza i nostri tempi, il tradizionale concetto di dialogo si sta ormai estendendo a quello di “polilogo”, ovvero – come spiega Zygmunt Bauman – a un confronto che sia più ampio di due soli punti di vista e ben più adatto a descrivere la realtà polifonica in cui viviamo. In un sistema così strutturato, che ha visto la fine delle grandi narrazioni (J.-F. Lyotard, La condition postmoderne), nessuno può ormai vantare il possesso esclusivo della verità o ricoprire un ruolo culturalmente egemonico. Tuttavia la cultura, intesa come insieme correlato di sistemi, è il risultato di lunghi processi elaborativi di scambio e prevede ancora canoni e gerarchie, centri di irradiazione di novità e centri periferici di ricezione e riformulazione. Se dunque il sistema culturale si configura necessariamente come un “polisistema”, la sua complessità cresce ulteriormente anche per il naturale dinamismo delle culture che lo compongono e delle lingue che le irradiano. Come constata Jurij Lotman, la cultura è infatti formata di strati che si sviluppano a velocità differenti, e i momenti di lentezza o rallentamento del sistema si alternano alle fasi rinnovative prodotte dalle esplosioni (J. Lotman, La cultura e l’esplosione)”.
“Da questa riflessione ha avuto origine la volontà di raccogliere dei contributi dedicati al tema: Dal monologo al polilogo: l’Italia nel mondo. Lingue, letterature e culture in contatto. I saggi che compongono il presente volume sono stati scritti da accademici – storici, letterati, linguisti, traduttologi e glottodidatti – rappresentanti di diversi atenei europei: Napoli “L’Orientale”, Firenze, Genova, Catania, Pisa, Università del Salento, Perugia, Messina, Bologna, Siena, Roma LUMSA, Roma “Tor Vergata”, “Roma Tre”, Varsavia, Varsavia SWPS, Cracovia, Università Pedagogica di Cracovia, Università della Slesia, Leuven, Lisbona, Zagabria. Il prevalere dei centri italiani e polacchi non è certo casuale ed è dovuto da un lato all’orientamento disciplinare dei redattori, dall’altro al profilo del progetto, che era incentrato sulla dialogicità del sistema linguistico e culturale italiano. I trenta contributi che compongono il presente volume, incrociando prospettive ermeneutiche e approcci differenti, permettono infatti di ripercorrere l’esperienza di crescita della civiltà italiana privilegiando in particolare quei momenti in cui essa, attraverso i suoi tanti mezzi espressivi, la lingua in primis, è stata in grado di intessere realtà polidialogiche attraverso l’intersezione con altre storie, letterature e lingue, apportando un contributo qualitativamente nuovo alla civiltà europea”.
“Attraverso un taglio diacronico che privilegia l’epoca moderna e contemporenea, nei saggi è nutrita la presenza di autori canonici della letteratura italiana, dei quali è stata messa in evidenza la dialogicità con altri sistemi culturali e lingue europee. Il dialogo può essere incentrato sul mito, per esempio quello di Orfeo – occasione per un fine parallelismo tra Cesare Pavese e la poetessa polacca Anna Świrszczyńska – a conferma della comunanza e del continuo dinamismo dei tradizionali modelli culturali e letterari europei; oppure può originarsi dal viaggio, la più dialogante delle esperienze umane, prospettiva di dislocazione culturale e straniamento linguistico che portò Luigi Pirandello a vivere fra Parigi, Berlino e l’America e a comporre un originale e inedito musical. Una prospettiva che privilegiava in passato lo scambio binario tra due lingue e culture – si veda il caso di Ugo Foscolo che si serviva in Inghilterra di un italiano semplificato per meglio servire i traduttori inglesi – e che in epoca contemporanea favorisce invece la polivocità, la partecipazione a un sistema culturale interrelato, dove i confini si confondono e accavallano e le prospettive si moltiplicano nella naturale partecipazione alla diversità. In questo senso la testimonianza della Mitteleuropa di Claudio Magris rappresenta un contributo importante a questo volume”.
(…) “Altri scambi, passaggi e tentativi di dialogo arricchiscono i contributi di questa sezione del volume: dalla scrittura saggistica-narrativa che si traduce in documento filmico (il caso di Cristo si è fermato ad Eboli del regista Francesco Rosi), alla ricerca di quei punti di convergenza nella letteratura italiana in cui la cultura scientifica ha saputo innestare e fecondare la cultura umanistica (si pensi al caso emblematico di Primo Levi). I due articoli di carattere storico di questa sezione rimandano ancora all’esperienza dell’emigrazione e del confronto – declinati nello specifico in chiave politica – momenti fondamentali che hanno portato prima a conservare e poi a realizzare la cultura democratica in Italia dopo la Seconda guerra mondiale. Come ben dimostra il saggio che chiude la prima parte di questo doppio volume di “Kwartalnik”, si tratta di una cultura democratica destinata nel prossimo futuro a modificare profondamente i modelli identitari passando – per usare una metafora dell’autore – dal mortaio contenente una massa uniforme (melting pot) alla scodella d’insalata piena di gusti differenti (salad bowl), e dunque dal monologo al polilogo”.
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Esiste anche la rivista russa The “Polylog / Polylogos”, rivista scientifico-teorica diretta da Mikhail Loktionov e Veronika Sharova pubblicata in inglese e in russo dall’Accademia russa delle Scienze quattro volte l’anno con l’obiettivo di diffondere i risultati delle ricerche nel campo della scienza politica, della filosofia della politica e della filosofia della storia. Peccato, si osserverà, che la rivista sia priva di riflessioni sulla guerra che insanguina l’Ucraina dal 2014. Non riguarda forse anch’essa la politica e la storia?