Tra realtà e leggende, storie molto europee
di Marta Nykytchuk
Immagine di copertina: Jerzy Franciszek Kulczycki vestito da turco
La storia del caffè risale a tempi e paesi antichi. La patria della pianta del caffè è considerata l’Etiopia, in particolare la provincia di Cuffa. Secondo una leggenda, un pastore aveva notato che le sue capre mangiavano il frutto della pianta del caffè diventando assai vivaci e, in seguito, non volevano dormire. Preoccupato, il pastore parlò del fatto con un monaco che si mise a osservare il comportamento delle capre e comprese l’effetto che la pianta aveva sugli animali. A sua volta, il monaco, decise di assaggiare quel frutto per non addormentarsi durante le lunghe preghiere.
All’inizio i frutti del caffè dal sapore amaro venivano consumati crudi, soprattutto dai commercianti per non stancarsi troppo durante i loro lunghi spostamenti e viaggi. In seguito, quando cominciarono ad arrostirne i chicchi, si scoprì che così facendo il frutto donava un effetto ancora più forte. Successivamente, iniziarono anche a schiacciarne i chicchi e a fermentarli (ancora oggi i turchi schiacciano i chicchi, non li macinano). In questi sviluppi c’è stato un periodo di transizione nel quale i chicchi di caffè venivano usati per fare il vino, il “vino d’Arabia”.
Diffondendosi nel mondo arabo-musulmano, il caffè inizialmente creò non pochi problemi ai teologi. Questi entrarono in conflitto con i credenti, i quali non bevevano alcool (vietato dal Corano), quindi subito apprezzarono la bevanda. I teologi si preoccuparono del fatto che a causa del caffè i credenti avrebbero diminuito la loro frequentazione delle moschee. Una tazza di caffè risultava sempre un motivo in più per passare più tempo altrove, con amici, parenti, conoscenti. Pertanto, il caffè veniva periodicamente bandito, chiunque lo bevesse veniva imprigionato e giustiziato. Si accusava il caffè di creare dipendenza e di distrarre la popolazione dal lavoro. Le misure prese, tuttavia, non furono assolutamente d’aiuto e alla fine teologi, autorità e credenti furono costretti a riconciliarsi. Si incominciò a capire che, al contrario dell’alcool che provocava l’intorpidimento del cervello, il caffè, grazie alle sue proprietà eccitanti, poteva avere la funzione di stimolare l’intelletto.
I mercanti della Sublime Porta ne fecero un prodotto di consumo e in poco tempo la fortuna del caffè fu talmente ampia che attorno al 1500 nel mondo ottomano si diffusero i primi locali pubblici nei quali ci si riuniva a degustare la bevanda. Presto la bevanda avrebbe cominciato la sua conquista del continente europeo. Un passaggio fondamentale in questo senso avvenne nel 1683, quando Vienna, capitale del Sacro Romano Impero, fu pesantemente assediata dagli eserciti ottomani. La città resistette coraggiosamente per diversi mesi finché le sopraggiunte truppe alleate (soprattutto polacche, austriache, tedesche) riuscirono nell’impresa di sconfiggere duramente i Turchi.
Occorre ricordare che gli ottomani in effetti assediarono la città di Vienna due volte e non riuscirono mai a espugnarla. L’assedio era azione preliminare per poter conquistare il territorio circostante. Nonostante i mitici racconti sull’immenso esercito Ottomano, sulle sterminate orde turche, in realtà gli eserciti erano piccoli e si muovevano un po’ alla volta lentamente. Risultava davvero complicato rifornirli per cui, prima di avanzare in un’area o in un paese nemico, era indispensabile assediare le città circostanti e tutto ciò che gli invasori si trovavano davanti. Nel 1683 il crollo della capitale austriaca avrebbe portato al controllo da parte della Sublime Porta di una estesa porzione dell’Europa centrorientale.
Il primo assedio è del 1529 e si conclude con la sconfitta dei Turchi ma senza distruggere la potenza turca (vedi il documentario di Rai Storia basato su materiali tedeschi). Il secondo assedio, quello del 1683, è più famoso e rilevante perché, in quel caso i cristiani non solo fermarono l’avanzata dell’esercito turco, ma la sua disfatta significò davvero l’inizio del ripiegamento ottomano da diverse parti del continente europeo. La realtà storica è certamente molto diversa dalle spettacolarizzazioni contemporanee che puntano sull’enfasi e tendono a leggere talvolta in maniera anacronistica le vicende del passato con chiavi di lettura prese con troppa facilità dall’attualità. Vedi per esempio il trailer del film del 2012 di Renzo Martinelli che ripercorre la vita di Marco da Aviano, il frate cappuccino veneziano che ebbe un ruolo propulsivo nella battaglia di Vienna del 1683. Vedi anche un dibattito televisivo di presentazione del film.
L’assedio di Vienna è ricordato anche come La battaglia di Vienna ma ha anche un altro nome meno noto: la battaglia del caffè vale a dire, se vogliamo rimanere legati alle origini del termine, “Кавова битва”. Questa denominazione alternativa della battaglia è collegata a un singolare personaggio originario dalla regione di Leopoli oggi L’viv (Львів). Secondo la leggenda tutto ebbe origine da Yuriy Franz Kul’chytsky o Юрій Франц Кульчицький (per gli ucraini), ma anche Jerzy Franciszek Kulczycki (per i polacchi) e anche Georg Franz Kolschitzky (per gli austriaci) – K*** per noi.
È interessante notare che la “nazionalità” di K*** sia spesso messa in discussione, talvolta addirittura contesa. Secondo alcune fonti Jerzy Kulczycki (Kolczycki, Kólczycki) considerava se stesso “un polacco nativo” della “libera città reale polacca di Sambor”. Per i polacchi proveniva presumibilmente dalla linea polonizzata e cattolica romana della famiglia Kólczycki, originariamente “russa”, del villaggio di Kulczyce (oggi Kulchytsy, nel distretto di Sambir, della regione di Leopoli, in Ucraina). Probabilmente discendeva dalla parte nobile della famiglia che portava lo stemma Lis (Volpe). Per gli studiosi ucraini Yuriy Kul’chytsky nasce in una famiglia della piccola nobiltà ucraina, è un ucraino ortodosso, uno zaporiggiano (abitante della regione di Zaporižžja) che partecipa a numerose spedizioni contro gli ottomani. Catturato in gioventù dai Turchi, trascorre due anni in cattività. Durante la prigionia studia a fondo la lingua e le usanze dei Turchi. Uscito di prigione si trasferisce a Vienna, dove lavora come traduttore-interprete sia per i mercanti viennesi sia per la diplomazia imperiale (in quanto spia). Trafficando con i Turchi in sacchi di caffè, in realtà fornisce ai viennesi notizie sulla dislocazione delle truppe turche e sui loro movimenti. Per alcuni storici ungheresi, Georg Franz Kolschitzky era in origine Djuro Kolèic, serbo di Zombor, che a un certo punto arriva a Vienna dalla Serbia e la cui presunta identificazione con la Polonia altro non sarebbe che un semplice camuffamento.
Di fatto la giovinezza di K*** (Kulczycki-Kul’chytsky-Kolschitzky) sfugge, sebbene paia appurato che egli sia nato all’incirca nel 1640, che parli turco e ungherese, per altri ancora arabo e persiano e sia assunto come traduttore in un ufficio di Belgrado della Compagnia Orientale, un’associazione di mercanti viennesi che commerciavano con l’Oriente. Divenuto un commerciante indipendente, si stabilisce a Leopoldstadt, vicino a Vienna.
Quando la capitale dell’impero è assediata già da oltre un mese nell’estate del 1683, le capacità e competenze di K*** tornano utili. La situazione a Vienna peggiora, iniziano le malattie, non c’è abbastanza cibo, la città è paralizzata dall’assedio e affamata. K*** si offre volontario per un’importante missione. D’intesa con il sindaco della città e il comandante in capo della difesa, il conte Starhemberg, K*** dovrà farsi strada attraverso il campo dei Turchi per contattare il duca di Lorena Carlo V. Travestito da mercante turco (alcuni dicono travestito da soldato turco), K*** insieme a un fidato servitore serbo (Yuri Mikhailovich) nella tarda serata del 13 agosto lascia Vienna per chiedere aiuto. La storia è quanto mai avventurosa. Uscendo da una delle porte occidentali, i due attraversano il campo nemico canticchiando canzoni ottomane. Un āghā turco – (agħà è un titolo di riguardo attribuito nell’Impero ottomano a funzionari militari e civili della corte sultaniale, estesosi anche in Persia e in India) – notando i due sotto la pioggia propone loro di unirsi a lui nella sua tenda per riposare e asciugarsi. Al riparo, l’agha turco interroga i due “mercanti” che lo convincono di essere venditori d’uva, al punto che il militare dà loro persino un ottimo consiglio su come evitare i pericoli lungo la strada. Passato indenne attraverso l’accampamento turco, la mattina del 15 agosto K*** raggiunge Carlo V, duca di Lorena, che gli dà risposta scritta da portare indietro nella città assediata. Tornati con successo in città, i due inviati non solo riferiscono ciò che hanno visto tra i Turchi ma soprattutto recano notizia sugli eserciti alleati in arrivo, che si avvicinano in loro aiuto per liberarli, notizia che incoraggia la resistenza degli abitanti assediati. Il successo della missione rende K*** famoso e ricco: riceverà i diritti di un borghese viennese e un appezzamento di terreno su cui costruire la sua casa, situata nel luogo dell’attuale Piccolo Palazzo Vescovile. Sarà anche nominato traduttore di turco dell’imperatore il 10 gennaio 1684.