L’esposizione su Arte e Politica al MOCAK di Cracovia
di Serena Buti
Immagine di copertina: Pyotr Pavlensky, Seam, 2012, photographic documentation of event in public space, courtesy P. Pavlensky.
Al Museo di Arte Contemporanea di Cracovia (MOCAK), è stata inaugurata il 28 aprile scorso (e rimarrà aperta fino al 26 febbraio 2023) una mostra intitolata Politica nell’arte – Polityka w sztuce. Sul sito del MOCAK il programma è così riassunto:
“La mostra Polityka w sztuce presenta – in sei sezioni – una visione diffidente e critica delle azioni del potere, rivelando e denunciando l’artificiosità e l’ipocrisia delle strategie politiche. Dimostra che la politica, in nome dell’ambizione, della conservazione del potere e della nutrizione di ego dittatoriali può mentire, manipolare e persino uccidere. Gli artisti si oppongono a questo sia come critici che come soldati”.
Se la mostra propone una prospettiva contemporanea sul rapporto tra arte e potere, il MOCAK da tempo ha iniziato a costruire un percorso di esplorazione del rapporto tra arte e civiltà. Questa nuova mostra è la decima della serie Cywilizacja w sztuce (La civiltà nell’arte). La selezione comprende le opere di 66 artisti e artiste provenienti da diversi Paesi. L’esposizione è divisa in sei sezioni: proverò ad attraversare i temi affrontati seguendo l’ordine suggerito dalla stessa curatrice della mostra – nonché direttrice del museo – Maria Anna Potocka. Mi soffermerò in particolare sulle opere che raccontano le realtà dell’area “dal Baltico al Mar Nero”.
Figura 1: “Il mio utero non è una cappella”, Protest NIE dla pseudowyroku! TK, wypierdalać, vol. 2, Wrocław, 5.2.2021, fot. B. Sadowski, courtesy B. Sadowski, Archiwum Protestów Publicznych.
La prima sezione (Opór i protest, “resistenza e protesta”) è dedicata alle proteste nella Polonia contemporanea. Sono esposte innanzitutto le testimonianze fotografiche delle manifestazioni dello Strajk Kobiet (sciopero delle donne) in particolare quelle successive alla sentenza del Tribunale Costituzionale del 22 ottobre 2020. In seguito a quella sentenza abortire in modo sicuro in Polonia è diventato praticamente impossibile, fatta eccezione per le donne che riescono a ricevere assistenza dalle associazioni come Aborcja bez granic (Aborto senza confini). Accanto alle foto delle proteste dello Strajk Kobiet sono state collocate quelle delle manifestazioni per i diritti delle persone LGBT+. La Polonia figura all’ultimo posto nell’elenco di ILGA-Europe, dal momento che il tasso di violazione dei diritti e la discriminazione nei confronti delle persone LGBT+ è molto elevato. È anche l’unico Paese nell’Unione Europea a non aver riconosciuto in nessun modo le unioni delle coppie non eterosessuali. Gli altri due macro-temi affrontati dalle testimonianze fotografiche sono le proteste polacche/internazionali contro il respingimento dei migranti al confine polacco con la Bielorussia; e le manifestazioni giovanili di Fridays for Future ed Extinction Rebellion per chiedere al governo polacco maggiore attenzione e azioni concrete in risposta alla crisi climatica.
La seconda sezione Podważanie systemów i granic (“Sovversione di sistemi e confini”) riguarda invece la messa in questione di confini e sistemi che spesso si accompagna alla proposta di un’alternativa. Oltre alle opere di artisti già affermati – Edward Durnik, Mirosław Bałka e Krzysztof M. Bednarski – è esposto il celebre poster di Tomasz Sarnecki, il grafico che nel 1989 trasformò il manifesto di Marian Stachurski del 1959 per il film “Mezzogiorno di fuoco” nel manifesto elettorale di Solidarność. In questa sezione appaiono però anche lavori di artisti non polacchi, come Once in the XX Century (2004) del lituano Deimantas Narkevičius, breve video di otto minuti in cui, con un suggestivo rewind, viene eretta una statua di Lenin a Vilna.
La terza sezione Demokracja i jej deprawowanie (La democrazia e la sua depravazione) si concentra sulla democrazia e sulle sue storture e ipocrisie. È senza dubbio la sezione più vasta e ricca di opere. Salvo poche eccezioni, tutte le opere esposte sono state realizzate da artiste e artisti provenienti da Polonia, Ucraina, Federazione russa e Bielorussia. Nel video The F-Word (2021) l’artista bielorussa Olia Sosnovskaya insieme all’artista a.z.h. riflette sull’uso della parola “fascista” da parte tanto degli oppositori quanto dei sostenitori di Lukašėnka durante le proteste del 2020 in Bielorussia. L’artista confronta quindi l’uso corrente di questo termine con la sua definizione accademica. A raccontare le proteste in Bielorussia è anche Maxim Sarychau con l’installazione I don’t want to kill you (2019). Dal 2018 Sarychau cerca di raccontare le esperienze delle molte persone trattenute dalla polizia in Bielorussia e che subiscono ogni giorno violenze e soprusi di vario genere. L’artista ha incitato queste persone a scrivere lettere e a disegnare per raccontare quanto hanno vissuto.
Figura 2: Svetlana Sokolovskaya. Figura 3: Sergey Sazonov. Foto inserite nell’installazione di M. Sarychau.
Una terza opera dedicata all’attuale situazione in Bielorussia è quella del performer e attivista russo Artëm Loskutov, autore nel 2012 della Icona delle Pussy Riot. È esposta al MOCAK una documentazione della creazione di Belarus’ (Bielorussia, 2020): nel video si vede l’artista colpire più volte con un manganello la tela, macchiandola di tracce color rosso sangue. Oltre alle opere dell’ucraino Andrij Bojarov e quelle di numerosi artisti polacchi (Agnieska Mastalerz, Jerzy Bereś, Paweł Althamer, Pawel Susid e altri) si possono trovare in questa sezione due opere del celebre artista russo Pëtr Pavlenskij. Le opere esposte sono Seam (2012), l’immagine-manifesto dell’intera mostra, e Carcass (2013). Entrambe le opere sono documentazioni di eventi avvenuti in pubblico: nel primo caso Pavlenskij si era cucito le labbra per esprimere la sua solidarietà verso le donne del gruppo Pussy Riot condannate a due anni di colonia penale per aver cantato la canzone Mother of God, Chase Putin Out! (Madre di Dio, manda via Putin!) in una cattedrale moscovita. In questo modo l’artista voleva porre l’attenzione sulla limitazione della libertà di parola, sul silenzio-assenso della società civile e sul pericoloso coinvolgimento della Chiesa ortodossa nella vita politica.
Figura 4: Piotr Pawlenski, Szew, 2012, dokumentacja fotograficzna wydarzenia w przestrzeni publicznej, courtesy P. Pawlenski.
La scelta di esporre due opere di un artista russo, e ancor più quella di dare all’immagine di Piotr Pawlenski (altri suoi nomi Pyotr Pavlensky, Pëtr Andreevič Pavlenskij, Pjotr Andrejewitsch Pawlenski) il ruolo di “rappresentare” l’intera mostra, hanno spinto più di cento artisti a scrivere una lettera indirizzata alla direttrice del museo e al sindaco di Cracovia. Nella lettera gli artisti criticavano questa scelta, sottolineando che con tale gesto il museo privilegiava la narrazione delle vittime russe del regime di Putin. Inoltre, secondo questi artisti, Pavlenskij pur essendosi sovente espresso contro il regime non lo aveva fatto riguardo al tema della guerra contro l’Ucraina. La risposta dell’artista, che ora risiede in Francia, è stata pubblicata sul sito del MOCAK in tre lingue (polacco, russo e inglese). Vale la pena tradurne e riportarne alcuni passaggi:
“Tornate in voi, gente! Leggete la storia e, meglio ancora, la storia dell’arte. Fatelo, se ci sono ancora esseri umani tra di voi! Per evitare qualsiasi ambiguità, ribadirò ancora una volta che dalla fine del 2013 ho sempre sostenuto e continuo a sostenere l’indipendenza dell’Ucraina. […] Ero contrario all’annessione della Crimea da parte della Russia e all’interferenza bellica della Russia nell’Ucraina orientale, iniziata nel 2014. La mia posizione è sempre stata pubblica e ben nota. Dal momento che nulla è cambiato della mia posizione sull’Ucraina, è chiaro che sono contrario all’invasione militare della Russia iniziata il 24 febbraio 2022. […] Ma ho anche scritto lì che sono contro questa guerra così come sono contro il blocco totale e la responsabilità collettiva che si vuole imporre a tutti coloro che sono rimasti in Russia. Sono contrario alla responsabilità collettiva perché – in primo luogo – in Russia ci sono moltissime persone che odiano sinceramente il regime e hanno cercato di rovesciarlo. Sì, il regime si è dimostrato più forte e queste persone hanno fallito. Ma non si possono punire le persone per la loro debolezza. […] Sono contrario alla responsabilità collettiva perché è uno dei metodi preferiti dall’amministrazione penitenziaria per fare pressione sui detenuti. […] Chiunque sia stato in carcere lo sa bene e mi capirà facilmente. […]. Sono d’accordo sul fatto che sia molto efficace, ma è uno dei metodi di controllo più ripugnanti che io conosca. Sono contrario alla responsabilità collettiva, ma sono favorevole alla responsabilità individuale. Perché ognuno dovrebbe essere responsabile delle proprie azioni. […] Le sanzioni dovrebbero essere mirate contro coloro che sostengono consapevolmente questa guerra con parole e azioni, non contro coloro che sono così deboli da non essere riusciti a reprimere questo regime negli ultimi dieci anni”.
Si sprecano in Rete gli articoli riguardanti la serie di gesti e discussioni scatenatesi nel mondo culturale europeo in seguito all’invasione russa dell’Ucraina: tra chi sostiene l’importanza delle ‘sanzioni culturali’, sottintendendo la responsabilità degli artisti russi e dei loro prodotti nella costruzione di un immaginario imperialista al servizio del potere; e chi invece al contrario parla della pericolosità di tali scelte, sollevando talvolta l’argomento della crescente ‘russofobia’. Lo stesso Putin in un suo discorso ha parlato del “boicottaggio” delle opere russe facendo riferimento all’operato dei nazisti, alla cosiddetta cancel culture e al caso legato alla scrittrice J.K. Rowling. La polemica su Pawlenski si inserisce quindi all’interno di un dibattito acceso già da anni e da esso stesso trae il suo linguaggio e le argomentazioni. La direttrice del MOCAK ha deciso di lasciare la foto dell’artista russo dov’era e di non espellere le sue opere dall’esposizione, motivando la sua scelta in varie occasioni.
Il tema della quarta sezione (Nacjonalizm) è il nazionalismo. Particolarmente interessante è l’opera dell’artista visivo ucraino Daniil Galkin, dal titolo Blood Brother Bibs (2019). Dopo aver trovato in vendita online degli articoli per bambini con simboli e slogan suprematisti bianchi polacchi e ucraini, l’artista ha deciso di giustapporre le immagini di un uomo che indossa una maglia con quegli slogan razzisti a immagini di bambini con indosso gli articoli in vendita online. In questo modo Galkin vuole evidenziare come le visioni degli adulti possano essere trasmesse ai bambini. Sia lo slovacco Tomáš Rafa (Independence March in Warsaw 2016, video, 2016) che la polacca Ada Zielińska (Independence Day, 2018) hanno scelto di rappresentare la famosa marcia del Giorno dell’indipendenza della Polonia (Narodowe Święto Niepodległości).
Figura 5: Ada Zielińska, Dzień niepodległości, 2018, fotografia, 70 × 100 cm, courtesy galeria Propaganda.
In occasione di quella marcia si riunì a Varsavia buona (si fa per dire) parte dei neofascisti e degli estremisti di destra polacchi, che raggiunsero le decine di migliaia di partecipanti. Il governo polacco e le forze di polizia sono state sovente accusate di supportare la marcia e di non prendere le misure necessarie a contrastare l’operato dei suprematisti bianchi.
La quinta sezione (Unia Europejska) si concentra sull’Unione Europea. Tra le opere che spiccano maggiormente c’è Europeans Only (2010), fotografia di un vecchio segnale esposto nel museo dell’apartheid di Johannesburg, dell’artista polacco Paweł Kowalewski che vuole avvertire chi guarda del possibile riemergere dell’ideologia totalitaria radicata nel razzismo. Sono rimasta personalmente colpita dall’installazione The Barge (2011/2022) di Sislej Xhafa. L’artista kosovaro nel 2011 ha raccolto le scarpe che trovava sulle spiagge di Lampedusa per realizzare la scultura di un barcone, simbolo del durissimo viaggio compiuto dai migranti attraverso il Mediterraneo. L’installazione del 2022 è stata realizzata con scarpe donate dalla cittadinanza cracoviana, con la speranza di sensibilizzare i cittadini e le cittadine sul tema delle migrazioni.
Figura 6: Sislej Xhafa, Barka, 2011, instalacja, wymiary zmienne, courtesy S. Xhafa, GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Pekin / Les Moulins / Hawana / Săo Paulo / Rzym / Paryż, widok instalacji w Museo Madre, Neapol 2011, fot. A. Benestante.
La sesta sezione (Medialność polityki) analizza il ruolo dei mass media nella formazione e manipolazione dell’opinione pubblica. Attraverso le opere di alcuni artisti, tra cui il bielorusso Andrey Anro e il polacco Jarosław Kozłowski, viene affrontato un tema che è stato particolarmente gettonato in Polonia l’anno scorso con l’emergere delle proteste di Media bez wyboru (Media senza scelta) contro la tassazione delle pubblicità (chiamata dal governo “tassa della solidarietà”) volta a limitare lo spazio di manovra dei media indipendenti.
La mostra Polityka w sztuce non è semplice da seguire. Si possono trovare tra le opere tracce di questioni ancora aperte, interrogativi attuali e contraddizioni difficili da decifrare. Ciò che sicuramente la curatrice è riuscita ad esprimere è la sua idea del rapporto tra arte contemporanea e politica. Gli artisti, un tempo al servizio del potere temporale e religioso, sono oggi in prima linea quando si tratta di opporsi al potere e di mostrarne le nefandezze, talvolta stimolando l’immaginazione del visitatore fino a renderlo capace di vedere un’alternativa allo status quo. La curatrice ha spiegato che l’alta presenza di opere fotografiche vuole suggerire che la politica è qualcosa che richiede un intervento rapido, una rapida documentazione di ciò che sta accadendo. Sicuramente per il visitatore questa è una buona occasione per guardare da diversi punti di vista a temi che ci riguardano da vicino in quanto europei e per inoltrarsi in nuove – si spera, fruttuose – riflessioni.
Approfondimenti:
- Alessandro Ajres, Sei mesi dopo. L’esodo continuo delle donne polacche in Cechia per abortire, “Linkiesta” (19 maggio 2021).
- Comunicato stampa del Parlamento Europeo: Polonia: “non una donna di più” deve morire a causa della legge sull’aborto (11/11/2021).
- Claudio Rossi Marcelli, La propaganda del governo polacco a colpi di slogan omofobi, “Internazionale” (04/05/2021).
- Rapporto Amnesty 2021-2022 sui diritti in Polonia.