Foto, immagini, icone, quadri, mostre, video, film, monumenti, segni, tracce e altre storie
Antinomie è un blog collettivo fondato da Andrea Cortellessa, Federico Ferrari e Riccardo Venturi, con Alessandra Salvini alla direzione artistica e al coordinamento redazionale. La finalità di Antinomie è – cito – “tenere traccia delle forme di scrittura (poesia, letteratura, saggistica, filosofia, critica, ecc.) che, attraverso il superamento dei confini disciplinari, hanno posto al cuore della propria pratica il rapporto tra la parola e le immagini”. Antinomie ha individuato un tema di riflessione fondamentale nell’attuale civiltà visiva, e lo declina con raffinata estetica, non banali pensieri e percorsi, qualità di ricerche e di scrittura. Molto spesso gli autori parlano in prima persona: all’evidenza si è scelta l’esperienza narrata come chiave di accesso alla condivisione culturale.
Girovagando per il sito, incrociando varie ricerche, di link in link, dedicando tempo, si può provare a tirare il filo “Russia-URSS-Mosca-Cremlino-Pietroburgo”. Senza pretese di esaustività quel filo l’ho tirato andando a ritroso di tre anni. Ecco il risultato: completely out of the box.
- Valentina Parisi, Dalla Russia con orrore. Bacon a Mosca, 8 dicembre 2022 — “Verso la fine del 1985 un giovane gallerista londinese di belle speranze, James Birch, si imbarca in un’impresa apparentemente peregrina: portare i suoi artisti non a New York o a Parigi, come sarebbe stato scontato, bensì a Mosca. A suggerirgli l’idea nel bel mezzo di un party (“Non venderai nulla, ma in compenso farai scalpore!”) è Bob Chenciner, un importatore di tappeti che per i suoi traffici con le repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale e dal Caucaso si avvale della collaborazione di Sergej Klokov, un improbabile diplomatico deciso a sondare fin dove si possa spingere la distensione con l’Occidente nella sfera dei…” – Continua qui.
- Francesco Vitali Rosati, Luce sfondo limite. Florenskij e l’estetica dell’infinità, 30 novembre 2022 — “Nell’inverno moscovita del 1924, nella garbata ostilità dell’istituto VChUTEMAS, Pavel Florenskij, nume tutelare di ogni semiotica dell’icona, accusa le avanguardie di sovvertirne capziosamente il senso. E in effetti Malevič, nel suo quadrato nero del 1915, intendeva proprio rimuovere la Bogomater dagli angoli delle case russe, promuovendo al suo posto una nuova realtà spaziale e materiale. A ben vedere, tuttavia, la blasfemia suprematista non concerneva uno scambio tra sacro e profano (un’operazione simile sarà tentata nelle icone pop di Warhol), quanto, invece, una sostituzione radicale della forma spaziale…” – Continua qui.
- Cecilia Guida, ‘Giù i monumenti?’ Conversazione con Lisa Parola, 28 giugno 2022 — “E qui provo di nuovo ad allargare la geografia. Nel libro mi sono concentrata sulla statua del generale Lee a New Orleans e quella di Lenin a Kiev. In entrambe le situazioni mi sono misurata con una generazione di artisti e attivisti nati nei primi anni ’80. In Ucraina erano persone per la quale la memoria dell’Unione Sovietica era prevalentemente legata ai nonni. Sono stata invitata per una conferenza dalla curatrice Kateryna Ray nell’ambito della residenza Radius e le domande che mi venivano poste erano: cosa ne facciamo? Come elaboriamo questa storia? In quel momento ammetto facevo fatica a comprendere…” – Continua qui.
- Antonina Nocera, Dostoevskij, l’occhio e la penna, 22 giugno 2022 — “Dostoevskij fu un grande divoratore di immagini. Utilizzo questa espressione non a caso, perché il rapporto che lo scrittore intratteneva con le immagini d’arte fu talmente intenso da provocare in lui emozioni e reazioni fisiche talvolta convulse. La meticolosa Anna Grigorevna, nel suo libro di memorie, annota fedelmente il ricordo del momento in cui Dostoevskij incontra due delle opere che più influenzeranno la sua immaginazione, la Madonna Sistina di Raffaello e il Cristo morto di Holbein. Come spesso capitava allo scrittore dopo un’emozione intensa, la sua mente cedeva a quegli stati di quasi incoscienza che accompagnavano gli attacchi epilettici…” – Continua qui.
- Valentina Parisi, Lotman tra le muse, 15 giugno 2022 — “Indefesso propugnatore di un modello sistemico di cultura in cui tutto circola, interagisce e si modifica, Jurij Michajlovič Lotman, essendo inviso alle autorità sovietiche e pertanto privo di un passaporto per l’estero, non aveva mai varcato le frontiere del suo paese. Finché nel 1989, grazie alla fondazione Alexander von Humboldt, poté recarsi in quella che per qualche mese ancora sarebbe stata la Germania dell’Ovest. A Monaco, costretto ad aprire un conto in banca, nell’attesa si auto-ritrasse in un ironico schizzo, pluri-semanticamente intitolato Lotman v banke – v banke in russo può significare ‘in banca’…” – Continua qui.
- Valerio Abate, Marianne von Werefkin. A margine del cuore dell’Europa, 9 giugno 2022 — “Nata a Tula nel 1860, figlia del comandante della fortezza di Pietro e Paolo a San Pietroburgo Vladimir Werefkin e della nobile cosacca pittrice di icone Elizaveta P. Daragan, Marianne si trasferisce a Mosca negli anni ottanta diventando allieva del realista Ilja Repin. Presto viene riconosciuta per i suoi grandi ritratti di maniera seicentesca, ma tanto cambia giunta a Monaco nel 1896, nello Schwabing precisamente, culla modernista, crogiolo di artisti russi e tedeschi: Emil Nolde, Gabriele Münter, Paul Klee, Maria e Franz Marc, Vasilij Kandinsky – Der Blaue Reiter… Tra simbolismo ed esoterismo, psicanalisi e…” – Continua qui.
- Piermario De Angelis, Cecità siberiana. Su un film di Clément Cogitore, 3 maggio 2022 — “Si apre con una profezia Braguino ou la communauté impossibile, il docu-film della durata di 49 minuti che l’artista visuale francese Clément Cogitore (Colmar, 1983) realizza nel 2017 andando appena oltre il chiasso della Storia, precisamente a circa 700 km di distanza da ogni segno di civiltà umana, nel mezzo della Siberia orientale. In questa terra lontana vivono i Braguine e i Kiline: due famiglie e due villaggi – divisi da un confine in un territorio naturalmente sconfinato – ma anche due sguardi ciechi l’uno verso l’altro, in conflitto permanente. Braguino è la superficie di questa rivalità di vicinato, ma anche…” – Continua qui.
- Riccardo Donati, Gabriele Frasca, il desiderio chiamato Trockij, 30 marzo 2022 — “Leggere in questi giorni le Lettere a Valentinov di Gabriele Frasca mi ha fatto pensare a uno dei più affascinanti quadri della storia della pittura occidentale, conservato presso il museo di Capodimonte di Napoli: La parabola dei ciechi. Dipinto da Bruegel intorno al 1568 e ispirato a un celebre passo neotestamentario («Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!», Mt. 15, 14), raffigura un gruppo di uomini che avanza incerto lungo un costone roccioso. Questi sei ciechi, nordici d’origine e meridionali d’adozione, ci inquadrano oggi meglio di …” – Continua qui.
- Francesco Vitali Rosati, Guardare il mare. Sul Talete di Florenskij, 22 marzo 2022 — “A Creta vissero gli avi del pensiero greco; ma è a Milesio che la filosofia muove i suoi «primi passi», come titola il manoscritto delle undici lezioni di Florenskij tenute a Mosca nel 1909, edite da Andrea Dezi per Mimesis. Undici indagini sul legame tra la preistoria egea e la coscienza ionica, tra gli oscuri simbolismi minoici e la luminosità razionale della classicità. Undici riflessioni che preconizzano le opere florenskijane della maturità, come Le porte regalio La prospettiva rovesciata, nella misura in cui dalle immagini si dischiude o esplica lo sviluppo delle idee, sicché «i concetti filosofici non sono altro che trasformazioni delle forme mitiche». Un Florenskij per altri versi…” – Continua qui.
- Valentina Parisi, Le camicie pulite dei Morozov, 10 gennaio 2022 — “Maman, mais sont-ils tous morts? risuona alle mie spalle la voce inaspettatamente nitida, anzi stridula, di un bambino beatamente privo di mascherina nella prima sala della mostra La Collection Morozov. Icônes de l’art moderne, in mezzo ai ritratti di quella famiglia russa – i Morozov appunto – che in maniera alquanto inopinata all’inizio del Novecento si era fatta un punto d’onore nel portare la novissima pittura francese a Mosca. «Sì, ma vedi, questo è Michail Savvič, e questo suo fratello Ivan», spiega la madre in un sussurro evidentemente imbarazzato, illustrando al figlio non più che settenne i soggetti…”– Continua qui.
- Katja Petrowskaja, Storia di una fotografia del 29 settembre 1941, 7 dicembre 2021 — “Questa fotografia è terribile anche perché, più o meno a partire da qui, le donne iniziano a sentire gli spari. Chi è alla testa di quell’infinita colonna che ormai da due giorni attraversa Kiev viene fucilato adesso a Babij Jar. Qui si trova il primo cordone, il primo posto di blocco, d’ora in avanti nessuno potrà più uscire dalla folla. Gli accompagnatori vengono cacciati via. Tutto si accelera. Ray sapeva esattamente dove si trovasse quel punto, aveva studiato la questione nei minimi dettagli, mi aveva inviato vecchie mappe d’anteguerra, altre tedesche, dell’occupazione, e altre ancora, recenti, aggiungendo di aver effettuato più volte lo stesso percorso su Google Maps…” – Continua qui.
- Valentina Parisi, Asja Lācis, la strada del teatro, 3 novembre 2021 — “Se non fosse chiaramente irrealistico pensare di racchiudere in un’unica immagine una esistenza così inquieta e densa come quella di Asja Lācis, l’emblema più pertinente che potremmo scegliere per lei sarebbe quello della strada. «Questa strada si chiama | VIA ASJA LĀCIS| dal nome di colei che | DA INGEGNERE | l’ha aperta dentro l’autore», così nel 1928 un invaghitissimo Walter Benjamin le dedicava Einbahnstraße (Strada a senso unico), collezione di frammenti in prosa o Denkbilder (così li chiamerà Theodor W. Adorno) ‘unidirezionali’ nella loro aforistica sentenziosità. Ma la metafora di una One Way…” – Continua qui.
- Giuseppe Caccavale, L’ombra e l’icona, 21 settembre 2021 — “La montagna è lo specchio dove di tanto in tanto un dio si riflette, l’icona è lo specchio dove di tanto in tanto si riflette un uomo. Discorriamo intorno a due libri. Il primo, ripubblicato da poco, è Icone. Il grande viaggio, a cura di Tania Velmans per le edizioni Jaca Book. Il secondo è una nuova traduzione delle Porte regali di Pavel Florenskij, per le edizioni Adelphi (…) Formatasi con André Grabar, Tania Velmans è diventata una delle più importanti esperte di pittura murale bizantina. Che succede quando si leggono libri di storia dell’arte di studiosi originali? Si percorrono le pagine con la sensazione che i rami…” – Continua qui.
- Maria Teresa Carbone, Mosca, agosto, 22 agosto 2021 — “Il 19 agosto 1991 era un lunedì. Ci eravamo trasferiti a Mosca a metà luglio. Abitavamo negli edifici per stranieri all’inizio del Kutuzovskij Prospekt, intitolato al generale che sconfisse Napoleone nella “guerra patriottica” del 1812. Qualche giorno prima erano venuti a trovarci i miei genitori e la domenica eravamo andati a mangiare in una bettola fuori città dove servivano solo pollo alla griglia. Sulla porta c’era un grosso gatto che teneva fra le zampe un topo. Anche se nessuno di noi sapeva suonare, avevamo deciso di affittare un pianoforte, la consegna era prevista per il 19 alle undici di mattina. Alle sette, forse prima, è squillato il telefono: c’è stato un golpe, tengono prigioniero Gorbacëv, state pronti, forse…” – Continua qui.
- Chiara Casarini, Sergej Tret’jakov: «Scriverò come se fossi una Kodak», 4 maggio 2021 — “Il Viaggiopellicola “Mosca-Pechino” fu realizzato da Sergej Tret’jakov nel 1923 su consiglio dell’amico futurista Osip Brik. Mettendo in pratica l’affascinante espressione russa kodačit’, Tret’jakov avrebbe dovuto raccontare il suo viaggio scrivendo «come una Kodak», ovvero simulando tramite la scrittura quella capacità analitica propria della fotografia, in grado di fornire «un incontrovertibile documento visivo e di registrare o fissare la realtà in maniera precisa». L’esperimento del Viaggiopellicola anticipò di qualche anno quella che fu la grande utopia di Tret’jakov: la «Letteratura del fatto», o…” – Continua qui.
- Riccardo Venturi, Piede d’elefante. Chernobyl 35 anni dopo, 26 aprile 2021 — “Nel complesso è una foto esteticamente povera, venuta male, sgranata e poco leggibile. Ma a Černobyl’, lo sappiamo bene, le foto vengono male. Non parlo dei reportage dei turisti nella Zona d’esclusione, quella terra dal raggio di 30 km che i russi chiamano “zona di alienazione” (otchuzhdenia). Da Kiev agenzie specializzate propongono pacchetti all included con pulmino, guida anglofona (meglio se con parenti stretti che lavoravano alla centrale), una o più notti a Černobyl’ dove il personale amministrativo e scientifico lavora due settimane al mese per non accumulare troppe radiazioni. Se non ci sono scuole né bambini a Černobyl’, se…” – Continua qui.
- Valentina Parisi, Coprire Venere, 24 aprile 2021 — “In un passato non lontano i furori iconoclasti della destra filo-ortodossa russa si abbattevano sull’arte contemporanea; di recente, complice forse la penuria dell’offerta espositiva in tempi di pandemia, si sono dirottati sulla statuaria classica. È notizia di qualche giorno fa che l’amministrazione comunale di San Pietroburgo (ospitata in quello stesso istituto Smol’nyj da cui Lenin dirigeva la presa del Palazzo d’Inverno) ha inoltrato all’Hermitage (con sede nel medesimo Palazzo d’Inverno) la lettera ricevuta da «una cittadina qualsiasi», indignata dalla presenza nel museo di innumerevoli rappresentazioni di nudi, «soprattutto maschili»…” – Continua qui.
- Antonina Nocera, Pavel Florenskij, vedere l’Uno, 11 aprile 2021 — “Tra i testi che nel vasto panorama della teoria d’arte novecentesca hanno affrontato il problema della rappresentazione dello spazio attraverso la prospettiva, due vanno annoverati per la loro importanza teorica: uno è il saggio di Erwin Panofsky La prospettiva come forma simbolica (1961) in cui l’autore inquadra la prospettiva come dispositivo simbolico del mondo materiale; l’altro è il saggio di Rudolph Arnheim, Arte e percezione visiva del 1962, che circoscrive la propria riflessione entro il campo della psicologia della Gestalt. Le posizioni dei due studiosi, pur provenendo da premesse teoriche differenti – Panofsky dalla concezione del simbolo di Cassirer, culminata nella Filosofia…” – Continua qui.
- Luigi Azzariti-Fumaroli, Wassily Kandinsky, musica per gli occhi, 22 marzo 2021 — “E’ con qualche rammarico che, leggendo la ripresa in edizione economica di Punto, linea, superficie, si scopre che nessuna nota redazionale sia stata apposta a soccorso del lettore che, fin da quando, nel 1968, era apparsa la versione di Melisenda Calasso, non aveva potuto trattenersi dal nutrire qualche riserva circa la resa del titolo di questo «abbozzo d’una metafisica della forma», nato, nelle intenzioni dell’autore, come prosecuzione dello Spirituale nell’arte (1910). Punto, linea, superficie è, come si suol dire, titolo di “sicura presa”; ma è altresì vero che è alquanto infedele. Come Philippe Sers aveva messo evidenza nell’edizione di tutti gli scritti di Kandinsky da lui curata nel 1970 per i tipi…” – Continua qui.
- Marco Caratozzolo, Da un banchetto in tempo di peste. Il Nagorno-Karabakh di Mandel’štam, 25 febbraio 2021 — “Il rapporto di Mandel’štam con l’Armenia fu come noto molto stretto e nacque nel 1916, quando il poeta era ancora studente e ascoltò, allora senza particolari reazioni, una lezione del poeta Valerij Brjusov sulla poesia armena presso il Museo Politecnico di Mosca. Nel 1921 Mandel’štam conobbe Kara-Darvish (1872-1932), l’unico poeta armeno di cui tradusse i versi, e nel 1929 pianificò con l’aiuto di Bucharin il primo viaggio in Armenia, che però non ebbe subito séguito. Il poeta avrebbe voluto da un lato allontanarsi da Mosca, dove l’atmosfera era diventata asfissiante, e dall’altro fare un lavoro nell’ambito della cultura, lasciando una traccia importante in quel paese che gli appariva come…” – Continua qui.
- Lorenzo Cardilli, Marionette, che passione! Primi lampi di Ripellino, 5 gennaio 2021 — “Il secondo, più esteso contributo, Chlèbnikov e il futurismo russo, è dedicato a uno degli autori-feticcio di Ripellino. Il padre dello zaum’ viene da subito ritratto come un outsider, un folle per il mondo: «un sognatore […] sempre smanioso di progettare mirabolanti utopie», come ad esempio la trasformazione dei laghi in grandi pentole-serre per produrre minestre. Ripellino passa poi a descrivere le specificità del futurismo russo, distinto e a tratti addirittura opposto rispetto a quello italiano, specie nel rifiuto della guerra e nel ruolo centrale di un certo primitivismo slavo-asiatico. Gileja, il primo nome del gruppo dei…” – Continua qui.
- Valerio Magrelli, Pietroburgo, 21 agosto 2020 — “Cari lettori, il mio prossimo libro di racconti è dedicato a un’arte clinica ancora poco nota: la sovietica «Musica delle ossa” – discreta definizione, per inciso, della scrittura poetica. Neanche a farlo apposta, proprio di questo parla la cartolina inviata. «Passeggiando per un mercato a San Pietroburgo vidi uno strano disco con sopra un bacino. Non capivo se fosse una radiografia o un’incisione musicale. In effetti era entrambe le cose: un disco realizzato su una radiografia”. Chi parla è Stephen Coates, autore del progetto X-Ray Audio con il fotografo Paul Heartfield, e…” – Continua qui.
- Francesco Matteo Cataluccio, Il monumento a Felice, 16 luglio 2020 — “Il signore della statua stava su un alto piedistallo intabarrato in una sorta di mantello e protendeva le mani in avanti con le palme rivolte all’insù. Aveva un’aria triste e sembrava che chiedesse pietà. «Scusi, chi è?», chiesi alla sentinella. Quello mi rispose sorpreso: «Feliks Dzierzynski». Non avendo compreso bene quella scarica di consonanti gettai un’occhiata al basamento. C’era scritto: «Feliks Dzierzynski to duma polskiego ruchu rewolucyjnego» («Feliks Dzierzynski è l’orgoglio del movimento rivoluzionario polacco»). A me risultava fosse un russo sanguinario, fondatore della famigerata Čeka, la polizia politica bolscevica…” – Continua qui.
- Valentina Parisi, Jonas Mekas, momenti di essere, 15 maggio 2020 — “Solo quattro anni prima il regista lituano, giunto a New York nel 1949, aveva rielaborato i filmati realizzati tra il 1989 e il 1991 con la sua videocamera Sony riprendendo pressoché quotidianamente i telegiornali che “raccontavano” agli spettatori statunitensi la crisi in cui versava allora l’Unione Sovietica. In 04 44’ 14’’. Lithuania and the Collapse of the USSR, ovvero il film tratto da quelle immagini ormai d’epoca, l’incommensurabilità degli eventi storici si sostituiva alla “piccolezza” del dettaglio privato; lo svolgimento lineare dei fatti subentrava all’eternità di un singolo istante; l’accostamento alogico di frammenti, episodi, visioni privilegiato di solito da…” – Continua qui.
- Laura Barile, San Pietroburgo, 11 aprile 2020 — “Allontanandoci dal fiume percorremmo larghe strade rettilinee di edifici sovietici, fino a svoltare in un vasto cortile fatiscente segnato dall’umidità, dall’incuria e dall’odore di gatti bagnati. Come in un film in bianco e nero, salimmo vari piani fino alla porta del nostro appartamento: una stanza e mezzo, dice Brodskij nel racconto così intitolato che parla della sua vita a Leningrado e dei vecchi appartamenti divisi in kommunalka (9 mq per cittadino), bagno e cucina in comune. Subito dopo la Seconda guerra, scrive, «eravamo in tre in quella nostra stanza e mezzo: mio padre, mia madre e io. Una famiglia, una tipica famiglia di quel tempo». In quel suo pudico, intimo racconto dove rivivono i genitori…” – Continua qui.
- Valentina Parisi, Lotman va al cinema, 1 aprile 2020 — “Il 17 aprile 1976 Boris Uspenskij annunciava per lettera al collega Jurij Lotman di aver inaspettatamente ricevuto al suo indirizzo moscovita il volume da loro scritto a quattro mani, Semiotica e cultura, appena uscito da Ricciardi a cura di Donatella Ferrari Bravo. Osservando che il suo contenuto coincideva in parte con l’edizione Bompiani apparsa sempre nel 1975, lo studioso si concedeva qualche notazione ironica sui meccanismi a suo dire irrazionali dell’editoria italiana: «Inizio a pensare che la Grande Enciclopedia Sovietica avesse torto nel giudicare gli italiani una nazione borghese. In loro vi è qualcosa di utopico. Si figuri…” – Continua qui.
- Maria Teresa Carbone, Giganti senza zucchero, 4 marzo 2020 — “Sono passati quasi trent’anni dal 25 dicembre 1991. Quella sera, senza nessuna fanfara, la bandiera rossa dell’Unione Sovietica fu ammainata dalla cupola del Cremlino e sostituita dal tricolore russo. Pochi minuti prima Mikhail Gorbaciov, in un discorso televisivo trattenuto e dolente, aveva annunciato le sue dimissioni da presidente dell’Urss, rivendicando la necessità della sua perestroika e insieme constatandone il fallimento: «Il vecchio sistema è crollato prima che il nuovo potesse cominciare a funzionare». Abitavo a Mosca a quel tempo: per noi occidentali era la sera di Natale, la fine della festa si confondeva con l’incertezza del momento. Non eravamo…” – Continua qui.
- Valentina Parisi, Intermezzo berlinese, 18 gennaio 2020 — “Quand’è che avevano capito che né Amalienau, né Königsberg esistevano più? Che la loro casa non era più loro? Che rozzi invasori venuti dall’est calpestavano con gli stivali infangati il parquet lustro del salone, bruciavano per riscaldarsi le opere di Goethe e Schiller nella stufa rivestita di piastrelle, toccavano con le loro sozze ditacce le bambole Lenci che la ragazzina non aveva fatto in tempo a prendere con sé? Da quale momento in avanti Erika K. ha cominciato a nutrire la convinzione che la sua vita apparentemente invidiabile sarebbe stata molto più felice se i sovietici non le avessero rubato l’Heimat?…” – Continua qui.