Appunti dalla cerimonia del 24 aprile 2024 nell’80° della Liberazione di Bologna
di Paolo Morawski
Chi ricorda le cerimonie di una volta presso i cimiteri militari polacchi in Italia (Casamassima, Montecassino, Loreto, Bologna-San Lazzaro di Savena) sottolinea l’aspetto intimo di quelle celebrazioni. Poche decine di persone, amici, commilitoni, emigrati, anzi esuli che periodicamente si incontravano provenienti da molti paesi e vari continenti. Pochi erano i discorsi. Ogni volta, la centralità della messa. Molta commozione. I vivi che passeggiavano tra le tombe fermandosi a deporre fiori, a pregare, a parlare con i defunti, a ricordarli attivi. Pochissime le presenze istituzionali italiane, nessuna per parte polacca (nessuna rappresentanza della PRL comunista). Erano cerimonie tra ex soldati, tra ex carcerati dei Gulag sovietici, tra polacchi rimasti o fuggiti all’estero. Venivano da soli o accompagnati dai familiari. Oggi – un oggi che si è consolidato dopo il 1989 – ogni cosa è diversa. Gli ex combattenti si contano sulle dita di una mano. Al cimitero polacco di San Lazzaro di Savena questa volta era presente uno, forse due – due! – centenari. Corpi gracili carichi di medaglie sorretti da braccia volenterose. Dalla metà degli anni Novanta – con il passare del mezzo secolo – pian piano al posto degli ex combattenti del 2° Corpo d’armata sono subentrate le istituzioni polacche. Chi aveva combattuto sul fronte italiano si è ritrovato progressivamente messo in secondo piano. Passo dopo passo il potere si è inserito nel vuoto lasciato da quella generazione di polacchi che la biologia stessa porta a scomparire. Ora è il potere a occupare tutta la scena. I protagonisti in carne e ossa della ricorrenza sono i rappresentanti dei poteri polacchi (civili, militari, religiosi), italiani in subordine. Ed è la presenza dei media che oggi fa – o si crede che faccia – la differenza.
Per alcuni aspetti il passaggio di testimone è un bene: nutre e perpetua la memoria collettiva dei polacchi. Di contro, nel passaggio di gestione si trasforma la natura stessa di questa memoria: dagli uomini in carne e ossa allo Stato in tutte le sue articolazioni, dai ricordi di una precisa comunità alle astrazioni della Storia, agli usi e talvolta abusi politici di tale Storia.
Eppure l’aspetto forse più sorprendente di quest’ultima cerimonia di Bologna-San Lazzaro di Savena, resa più solenne dalla cifra tonda dell’80a ricorrenza, nonostante la nutrita presenza di militari, di divise stirate a tutto punto, di stivali lucidi da invidiare, di simbologie militari (inni, canti, sbattere di tacchi, bandiere, brani musicali, squilli di tromba, rullare di tamburi, preghiere dei cappellani militari, appello ai caduti, invocazioni in gloria agli eroi, deposizione delle corone), nonostante i sepolti qui siano dei soldati, non vi sono stati accenti militaristi, non si è registrata alcuna esaltazione della guerra. Della patria – si. Di vari valori fondamentali civili e religiosi – si. Dell’Europa, della pace, della libertà – si. Lacrime, commozione, occhi lucidi – si. Sarà lo spirito del luogo, sarà l’architettura che raccoglie, che obbliga a stringersi nello spazio ristretto (ciò che non accade nel cimitero di Montecassino), sarà la semplicità delle tombe i defunti sono ancora presenti, più presenti. Presenze benigne, ancorché numerose, troppo numerose. Molti i giovani. Tombe cattoliche, ortodosse, ebraiche, un buddista. Nonostante tutto, i defunti vengono “usati” con garbo dalle istituzioni che officiano la cerimonia. L’ossessione tutta polacca per la Storia trova in questa occasione una forma quasi poetica, lirica, sicuramente una tensione verso il mito. La celebrazione prevede una messa e ha carattere anzitutto religioso. Ma la ripetizione continua, anno dopo anno, della stessa cerimonia che segue, il reiterarsi della stessa narrazione, talvolta delle stesse formule e parole, diventa a sua volta una sorta di litania, un canto rituale. Una messa civile, se così si può dire, che suscita emozioni ancora autentiche, in cui la condivisione è reale, il senso di comunità radicato, sebbene probabilmente circoscritto a questo particolare momento. Almeno negli adulti la spiritualità è alta, diffusa. Le ragazze e i ragazzi, gli scout meriterebbero una riflessione a parte. Sono lì per altri motivi, portatori di altri sentimenti, di ben diverse esperienze.
I discorsi delle istituzioni sono spesso lunghi, la retorica è parte del copione. Eppure pare in questa circostanza contenuta, addolcita da sentimenti in apparenza genuini. Risuonano gli accenti personali. Dopo tante cerimonie italiane nelle quali è tangibile la distanza con i defunti, qui si percepisce una più effettiva vicinanza, si è colpiti dal calore umano che in qualche modo piega ancora le logiche gerarchiche e istituzionali.
L’epopea-odissea dei soldati del 2° Corpo polacco che nel 1944-1945 hanno contribuito a liberare l’Italia dai nazisti e dai fascisti ha fatto un salto di qualità, è sempre più parte integrante dei miti fondativi dell’odierna Terza Repubblica di Polonia – così percepisce l’osservatore. Un mito geograficamente distante, eccentrico (eccentrus), che si è svolto e tutt’ora rivive fuori e lontano dai confini polacchi. Un mito che si potrebbe definire risorgimentale, ma solo in parte, se si tiene in debito conto le rispettive differenze tra Italia e Polonia. I polacchi sono divisi tra loro per quanto riguarda tutta la loro storia recente, vivono di interpretazioni contrastanti tanto su Solidarność quanto sulla Tavola rotonda tra potere e opposizione (febbraio-aprile 1989), sulle prime elezioni semi-libere del giugno 1989 come, in generale, sulla caduta del e l’uscita dal comunismo. La società polacca contemporanea è in perenne lotta con se stessa, è polarizzata in profondità: “noi” (my) contro “loro” (oni). Le teorie cospirative che di continuo emergono prolificano soprattutto sui social e si diffondono per rivoli imprevisti, per percorsi carsici. Invece, sui soldati del 2° Corpo d’armata polacco il consenso è bi-partisan, sono simbolo positivo a cui ciascuno si ricollega. Quei soldati sono ormai parte della leggenda eroica polacca. Mentre le dure realtà della Seconda guerra mondiale si stemprano, sempre più sfocati appaiono la fatica, il sudore, la solitudine, l’orrore, la follia del conflitto armato. Ciò che conta è che la libera, indipendente, sovrana Polonia post-1989 sia direttamente collegata alla libera, indipendente, sovrana Polonia sognata, anelata dai soldati del 2° Corpo, per la quale essi hanno attraversato tre continenti, per la quale hanno aspramente combattuto, per la quale tanti di loro sono morti. Quell’epopea-odissea non è pietrificata nei monumenti. Al contrario, è memoria calda, condivisa, presente.
Ma la storia non è finita, non finisce mai. Oggi qualcosa di simile accade in Ucraina aggredita dall’imperialismo russo. Ecco perché nell’80° della Liberazione di Bologna e dell’ingresso delle truppe polacche in città i rappresentanti delle istituzioni della Polonia hanno solidarizzato a più riprese, anche tra le tombe di San Lazzaro di Savena, con la lotta degli ucraini e ribadito la necessità di una pace “vera”, duratura per l’Ucraina.