Andare sul campo per riferire sulle tragedie umane
di Mark Rice-Oxley
Immagine di copertina, dettaglio da: UNHCR, Ukraine refugees situation: Poland: Reference Map (18 March 2022)
Mark Rice-Oxley, Executive editor, reader revenues, del quotidiano britannico “The Guardian” ha scritto il 19 aprile scorso una lettera a tutti gli abbonati. Grazie a Caroline Ciechanowicz per la segnalazione. Il contatto con abbonati e lettori è, tra l’altro, una tecnica pubblicitaria, ma alcuni passaggi di ciò che scrive Mark Rice-Oxley sono interessanti. Ne propongo alcuni estratti in libera traduzione dall’inglese:
“All’inizio di questo mese, sono stato in Polonia per alcuni giorni per vedere cosa succede quando due milioni di rifugiati [sono già oltre 2,8 milioni, nota di poli-logo] appaiono improvvisamente in un paese. Scene notevoli. L’intera nazione sembra essersi mobilitata. C’erano doni e aiuti gratuiti ovunque – hamburger, carte sim, vestiti, pannolini, biglietti del treno, persino cibo per cani. La Polonia è il 46° paese più ricco del mondo, ma non ho potuto fare a meno di chiedermi se nazioni molto più ricche come il Regno Unito, gli Stati Uniti, l’Australia e la Francia se la sarebbero cavata altrettanto bene. Cosa ne pensate?
Mi è stato anche ricordato quanto sia questione sensibile riferire su una tragedia umana in modo equo e compassionevole. Ho parlato con 40, forse 50 rifugiati in diversi giorni, tirando fuori il mio russo arrugginito come lingua franca un po’ sfortunata. In ogni conversazione, devi rimanere consapevole che di fronte a te hai una vita, non solo una scatola ambulante di citazioni. Diverse persone sono scoppiate in lacrime mentre parlavo con loro – e non mi dispiace ammettere che anch’io ho pianto. In particolare, quando la giovane madre di un bambino di quattro mesi mi ha chiesto in tutta sincerità dove fossero gli autobus per tornare in Ucraina. La verità è che non riusciva a farcela senza suo marito, che era rimasto in Ucraina a combattere nella città di Krivih Rih.
Le cose che ti passano per la testa in momenti come questo: tutto è veramente precario; siamo tutti a due o tre colpi di sfortuna dall’abiezione; a volte un’intervista può sembrare una forma di sfruttamento; vorresti urgentemente aiutare, ma scrivere un articolo sembra un modo inadeguato per farlo; gli esseri umani sono resilienti e stimolanti; i guerrafondai farebbero meno casino se dovessero fare interviste come questa…
Ma chiaramente scrivere un reportage dai centri per rifugiati in Polonia non è niente in confronto al lavoro che i miei colleghi stanno facendo nell’Ucraina stessa. Stanno dimostrando un coraggio e una professionalità ammirevoli per portarci le loro narrazioni, anche quando sono testimoni del più brutale, cinico, insensato omicidio. In modo significativo, il rapporto dell’OSCE che dettaglia i crimini contro l’umanità compiuti in Ucraina pubblicato la scorsa settimana ha fatto riferimento ai resoconti di “The Guardian” non meno di nove volte nelle sue note a piè di pagina.
Che questo ci serva da promemoria: il giornalismo è al suo meglio quando esce dall’ufficio e testimonia. Farlo è spesso spaventoso, frustrante, difficile, intimidatorio, elaborato, confuso, contorto, stressante e sconvolgente; ma anche coinvolgente, affascinante, un enorme privilegio e assolutamente vitale”.