Tra arte e guerra
di Karolina Jaklewicz
Immagine copertina: Karolina Jaklewicz, Druga przestrzeń, 130×100 cm, akryl, płótno, 2010
Ho liberamente tradotto dal polacco alcuni passaggi della prosa poetica di Karolina Jaklewicz, artista, pittrice, gallerista di Wrocław intervenuta di recente sul quotidiano “Gazeta Wyborcza”.
“Più bombe cadono meno parole rimangono per raccontare la guerra. Ogni giorno muoiono persone e parole. Muoiono intere famiglie, storie, radici. Muoiono interi versi, metafore, parafrasi. Tra le rovine di storici edifici annegano frasi morbide e ricordi. La guerra consuma le rime fragili, la luce nei capelli, il profumo delle arance.
(…) Nella fossa [scavata dalla bomba] si son nascoste poltrone scassate, vestaglie appese al mattino, un monopattino, un quadro a olio con panorama di montagne. Giacciono ora quelle montagne innevate nella fossa sotto il livello del mare.
(…) Ho sparato virgole, volavano piccoli uccelli neri, nella terra bagnata sono caduti semi di girasole. Dopo la guerra, cresceranno scudi d’oro senza occhi, senza bocca. (…) non abbiamo ordinato questa guerra con consegna a domicilio. Invece si è rivelata troppo puntuale, la guerra arriva sempre non al momento giusto.
Non mentire sul fatto di non essere a casa, alla guerra non importa. Se lo sei [a casa], ti violenterà per fartelo ricordare. In caso contrario, ti troverà altrove. Ti ucciderà per strada, nel tram, al mercato.
Rifugiati nelle pareti umide della cantina, quella in cui avevi paura di andare perché ha ragni grandi come mani. Adesso guardano, con occhi di ragno, la folla ammassata, quante gambe hanno tutte insieme, queste persone. Come improvvisamente non aborrono più i ragni, non ne hanno paura. Rifugiati nelle fresche pareti della metropolitana, quelle che evitavi, perché puzza, perché i topi.
(…) Scenderai in una lingua straniera alla stazione, questa non è casa mia. Scenderai in una grammatica straniera che…” (…)
Leggi tutto il testo nell’originale polacco.
Immagine: Karolina Jaklewicz, Matka III, 110×100 cm, akryl/płótno, 2010